È apparso come star nel popolare talkshow di satira politica The Colbert Report. Se l’è meritata davvero questa fama Thomas Herndon, che prepara la sua tesi di Ph.D. alla University of Massachussetts di Amherst. Il premio Nobel dell’economia Paul Krugman gli dà atto di avere «confutato lo studio accademico più autorevole degli ultimi anni». Scoprendovi degli errori banali, imbarazzanti per gli autori. Le vittime di Herndon sono due tra gli economisti più stimati del mondo: Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff. Loro due insegnano in una super-università, Harvard, ben più prestigiosa di quella dove studia il 28enne dottorando che li ha messi al tappeto. Rogoff, che è stato economista anche al Fondo monetario internazionale e alla Federal Reserve, insieme con la sua collega Reinhart pubblicò “Growth in a Time of Debt”, una ricerca conclusa proprio quando stava scoppiando la crisi della Grecia. In quel testo vi era la “prova scientifica”, secondo gli autori, che se il debito pubblico di una nazione raggiunge la soglia del 90% del Pil, diventa un ostacolo insuperabile alla crescita.
Quella cifra “magica” venne adottata come un dogma, istantaneamente ripresa da organizzazioni internazionali e governi: da Angela Merkel alla Commissione europea, fino al partito repubblicano negli Stati Uniti. Lo stesso Krugman ricorda che «ebbe un ruolo cruciale nella svolta delle politiche economiche, con l’abbandono delle manovre anti- recessive sostituite prontamente con politiche di austerity ». La tesi di Krugman è che c’erano già poderose correnti ideologiche in azione per interrompere le manovre anti-recessive, e tuttavia quello studio divenne un regalo insperato, una pietra miliare, il fondamento teorico per l’austerity.
Herndon, che si definisce «né conservatore né progressista», non è stato mosso da un’agenda politica. «Non ero partito — racconta — con l’intenzione di demolire lo studio di Reinhart-Rogoff, davvero non ero a caccia di errori. I miei professori di Amherst mi avevano assegnato un compito molto comune: prendi una ricerca fatta da altri economisti, e prova a dimostrare che sei capace di replicarne il risultato». È così, esercitandosi a rifare lo stesso percorso di Reinhart-Rogoff, che il 28enne si è imbattuto nella sua scoperta. «Provavo e riprovavo a fare i loro stessi calcoli, ma i risultati non erano quelli. I conti non tornavano ». Per vederci chiaro lui si rivolse agli stessi autori. Che reagirono con grande fair-play e trasparenza.
Forse sottovalutando il pericolo? Di certo non snobbarono il giovane dottorando di una università meno prestigiosa.
«Su mia richiesta — racconta lui — mi hanno messo a disposizione tutte le loro fonti originarie da cui avevano attinto i dati sulla crescita. Mi hanno dato accesso anche alle varie versioni dei loro calcoli». Mal gliene incolse. Perché il preciso e scrupoloso Herndon scoprì l’errore. Anzi due categorie di errori, grossolani e dalle conseguenze disastrose. La coppia di grandi economisti aveva banalmente commesso una svista di “allineamento” nelle colonne delle cifre da addizionare usando il software Excel della Microsoft. Sicché alcuni calcoli erano sbagliati. In più — questo forse è lo sbaglio più imperdonabile — Reinhart-Rogoff avevano omesso di includere tra le nazioni esaminate ben tre casi (Canada, Australia, Nuova Zelanda) in cui la crescita economica non è stata affatto penalizzata da un elevato debito pubblico.
La rivelazione di Herndon ha avuto un impatto enorme. I due imputati, Reinhart-Rogoff, hanno dovuto ammettere l’errore. Lo hanno fatto con una imbarazzata column sul New York Times, cercando al tempo stesso di prendere le distanze dalle politiche di austerity applicate usando la loro ricerca. E come rivela il Wall Street Journal, «all’ultima riunione del G20 è stato depennato dal comunicato finale ogni riferimento al rapporto debito/Pil, per effetto di questa scoperta».
L’anchorman satirico Stephen Colbert conclude: «E ora chi glielo dice agli europei? Sono così contenti dell’austerity, che ogni tanto per festeggiarla scendono in piazza e accendono dei fuochi…». La lezione di umiltà vale anche per gli avversari del rigore. I grandi nomi del pensiero neokeynesiano, da Krugman a Joseph Stiglitz, non avevano mai accettato il dogma di Reinhart-Rogoff. Ma le loro contestazioni volavano alto, troppo alto. Nessuno si era imbarcato nella fatica di fare il lavoro “operaio” del 28enne Herndon: prendersi tutti i numeri, uno per uno, e rifare le addizioni.
Quella cifra “magica” venne adottata come un dogma, istantaneamente ripresa da organizzazioni internazionali e governi: da Angela Merkel alla Commissione europea, fino al partito repubblicano negli Stati Uniti. Lo stesso Krugman ricorda che «ebbe un ruolo cruciale nella svolta delle politiche economiche, con l’abbandono delle manovre anti- recessive sostituite prontamente con politiche di austerity ». La tesi di Krugman è che c’erano già poderose correnti ideologiche in azione per interrompere le manovre anti-recessive, e tuttavia quello studio divenne un regalo insperato, una pietra miliare, il fondamento teorico per l’austerity.
Herndon, che si definisce «né conservatore né progressista», non è stato mosso da un’agenda politica. «Non ero partito — racconta — con l’intenzione di demolire lo studio di Reinhart-Rogoff, davvero non ero a caccia di errori. I miei professori di Amherst mi avevano assegnato un compito molto comune: prendi una ricerca fatta da altri economisti, e prova a dimostrare che sei capace di replicarne il risultato». È così, esercitandosi a rifare lo stesso percorso di Reinhart-Rogoff, che il 28enne si è imbattuto nella sua scoperta. «Provavo e riprovavo a fare i loro stessi calcoli, ma i risultati non erano quelli. I conti non tornavano ». Per vederci chiaro lui si rivolse agli stessi autori. Che reagirono con grande fair-play e trasparenza.
Forse sottovalutando il pericolo? Di certo non snobbarono il giovane dottorando di una università meno prestigiosa.
«Su mia richiesta — racconta lui — mi hanno messo a disposizione tutte le loro fonti originarie da cui avevano attinto i dati sulla crescita. Mi hanno dato accesso anche alle varie versioni dei loro calcoli». Mal gliene incolse. Perché il preciso e scrupoloso Herndon scoprì l’errore. Anzi due categorie di errori, grossolani e dalle conseguenze disastrose. La coppia di grandi economisti aveva banalmente commesso una svista di “allineamento” nelle colonne delle cifre da addizionare usando il software Excel della Microsoft. Sicché alcuni calcoli erano sbagliati. In più — questo forse è lo sbaglio più imperdonabile — Reinhart-Rogoff avevano omesso di includere tra le nazioni esaminate ben tre casi (Canada, Australia, Nuova Zelanda) in cui la crescita economica non è stata affatto penalizzata da un elevato debito pubblico.
La rivelazione di Herndon ha avuto un impatto enorme. I due imputati, Reinhart-Rogoff, hanno dovuto ammettere l’errore. Lo hanno fatto con una imbarazzata column sul New York Times, cercando al tempo stesso di prendere le distanze dalle politiche di austerity applicate usando la loro ricerca. E come rivela il Wall Street Journal, «all’ultima riunione del G20 è stato depennato dal comunicato finale ogni riferimento al rapporto debito/Pil, per effetto di questa scoperta».
L’anchorman satirico Stephen Colbert conclude: «E ora chi glielo dice agli europei? Sono così contenti dell’austerity, che ogni tanto per festeggiarla scendono in piazza e accendono dei fuochi…». La lezione di umiltà vale anche per gli avversari del rigore. I grandi nomi del pensiero neokeynesiano, da Krugman a Joseph Stiglitz, non avevano mai accettato il dogma di Reinhart-Rogoff. Ma le loro contestazioni volavano alto, troppo alto. Nessuno si era imbarcato nella fatica di fare il lavoro “operaio” del 28enne Herndon: prendersi tutti i numeri, uno per uno, e rifare le addizioni.
di Federico Rampini, da Repubblica.it, 29 aprile 2013
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