giovedì 19 dicembre 2013
Telegraph: L’Irlanda si libera delle catene della Troika, ma non è ancora al sicuro.
Nonostante sia spesso indicata come modello di ripresa europea, sappiamo che l’Irlanda è tutt’altro che un esempio per i paesi mediterranei in difficoltà.
Ce lo ricorda anche Evans-Pritchard, in questo articolo che sottolinea i potenziali rischi del ritorno dell’ex “tigre celtica” sul mercato obbligazionario.
L'Irlanda sta per riconquistare la sua sovranità dopo tre anni sotto il controllo della Troika UE-FMI, il primo degli Stati in crisi dell'eurozona a tornare al libero mercato.
L’ormai paralizzata tigre celtica è stata sottoposta a controlli intrusivi dopo che un collasso bancario, nel novembre 2010, l’ha costretta a cercare un prestito di 78 miliardi di € dall’UE e dal Fondo Monetario Internazionale, che l’hanno costretta a tagliare i salari e a infliggere una stretta fiscale del 19% del PIL.
Il paese non si libererà da tutte le sue catene. Gli ispettori continueranno a effettuare controlli due volte l'anno “almeno”, fino al 2031, nell'ambito di un meccanismo di sorveglianza. L’Irlanda subirà imposizioni deflazionistiche vincolanti in accordo al Fiscal Compact europeo.
Additata come “allievo modello” dell’austerità UE, l’Irlanda ha “fatto i compiti a casa” stoicamente, senzaviolente manifestazioni di piazza o senza derive estremiste in politica, grazie alla stretta collaborazione tra sindacati, imprese e governo nazionale.
Gli esponenti politici europei hanno salutato la ripresa Irlandese come la rivincita della loro strategia di “svalutazione interna”, una politica di taglio ai salari finalizzata al recupero della competitività perduta all’interno dell’unione monetaria. Ciononostante rimane molto dubbio che l’Irlanda sia veramente uscita dal tunnel o che il suo percorso sia replicabile dai paesi mediterranei in crisi di debito.
L’Irlanda ha un settore di export molto competitivo, simile a quello delle cosiddette “tigri asiatiche”. E’ il frutto di una strategia industriale di 20 anni fa, che ha attirato imprese americane di software e farmaceutiche, e ha costruito un settore dei servizi finanziari. Le esportazioni sono pari al 108% del PIL, rispetto al 39% del Portogallo, 32% della Spagna, 30% dell'Italia e 27% della Grecia.
Questa vocazione al commercio rende molto più facile per l'Irlanda uscire dai suoi guai attraverso le esportazioni. Il surplus di partite correnti è del 4% del PIL, anche se quest'anno la scadenza dei brevetti del Viagra e del Lipitor ha tagliato le esportazioni del 17%. .
L'Irlanda non ha una moneta sopravvalutata, al contrario del blocco latino europeo. La sua crisi ha avuto origine da una bolla del credito, causata da una politica monetaria super-allentata commisurata alle esigenze tedesche. La media dei tassi d’interesse reali è stata del – 1% per sette anni, un disastro per un’economia giovane e in rapida crescita.
L’Irlanda è più competitiva rispetto alla Germania, con un mercato del lavoro flessibile e una delle economie europee più dinamiche e aperte. Si piazza al 15° posto nell’indice della Banca Mondiale per la facilità di fare impresa, lo stato dell’eurozona meglio piazzato dopo la Finlandia, rispetto al 30° posto del Portogallo, 44° della Spagna, 73° dell'Italia e 78° della Grecia. Questo le dà un trampolino di lancio unico per la ripresa.
Ma nonostante tutto questo, a 5 anni dallo scoppio della crisi, il disavanzo di bilancio dell'Irlanda è ancora del 7.6% del PIL. Il debito pubblico è salito al 125%. La crescita è stata solo dello 0.2% nel 2012 e quest'anno poco di più. La produzione industriale è caduta del 7.5% in ottobre rispetto all’anno precedente, un promemoria di quanto la situazione rimanga precaria.
"L’Irlanda non ha alcuna crescita interna, ha il deficit di bilancio più alto d’Europa e livelli estremamente elevati di debito” ha detto Megan Greene, capo economista di Intelligence Maverick e membro del Trinity College di Dublino, "Lo stato è totalmente finanziato fino al 2015, ma alla fine si renderà necessaria una ristrutturazione del debito ".
Brendan Howlin, ministro delle finanze, ha detto che l’Irlanda ha 25 miliardi di euro in cassa, avendo approfittato dei tempi tranquilli per costruire un fondo di emergenza. I rendimenti delle obbligazioni irlandesi a 10 anni sono scesi al 3.46% da un picco del 14% alla fine del 2011, anche se Moody's ancora classifica il debito irlandese come "spazzatura", a causa dei timori che la crescita cronicamente bassa metta in pericolo la traiettoria del debito.
Questo accantonamento di sicurezza ha spinto l'Irlanda verso un’"uscita netta" dal controllo della Troika. Dublino ha rifiutato una linea di credito precauzionale dal fondo di salvataggio dell'UE (ESM), temendo le condizioni rigorose che sarebbero state chieste in cambio e un assalto alla sua aliquota fiscale del 12,5% sulle società. Tale linea di credito avrebbe richiesto un voto di approvazione del parlamento tedesco.
"Chiaramente, ci sono rischi nel tornare da soli sul mercato", ha detto Colin Bermingham, di BNP Paribas. Circa il 55% delle obbligazioni irlandesi sono detenute da stranieri, e ci si attende che solo un terzo di essi le rinnoverà.
Un crollo del valore degli immobili del 57% ha lasciato una vera devastazione. I mutui con ritardi di pagamento di 180 giorni sono il 17% del totale, un record. Il debito delle famiglie è ancora il 200% del loro reddito.
C’è la preoccupazione che lo Stato irlandese possa avere sborsato altri soldi per coprire le perdite delle banche, spingendo il livello del debito in una zona pericolosa. I leader europei si sono tirati indietro dall’impegno, preso durante il vertice del luglio 2012, di usare il MES per ricapitalizzare le banche irlandesi appesantite da titoli tossici, nonostante l'avvertimento del FMI che si tratta di una misura essenziale per garantire la ripresa irlandese.
L’idea era che l'Europa avrebbe dovuto avere particolari attenzioni per l'Irlanda, poiché il paese era stato costretto a farsi carico di più di 60 miliardi di euro di passività di cinque banche irlandesi durante la fase più concitata della crisi nel 2008, al fine di proteggere tutta l'Europa da una reazione a catena. Invece, lo stato irlandese dovrà sostenere da solo l'intero peso.
L'episodio ha lasciato l'amaro in bocca all’Irlanda. Il capo del sindacato David Begg ha detto che le autorità UE hanno "fatto più danni dell'impero britannico in 800 anni". L'ex capo del team FMI, Ashoka Mody, ha poi criticato la strategia della Troika, dicendo che una parte del debito avrebbe dovuto essere cancellata. Egli ha dichiarato che "la totale fiducia nell’austerità non era un assunto ragionevole".
E se il tasso di disoccupazione dell'Irlanda lo scorso anno è sceso dal 14.5% al 12.6%, il calo è principalmente dovuto all’emigrazione di massa. L’anno scorso hanno lasciato l'Irlanda 33.000 persone, per lo più le meglio istruite. Un quarto è andato in Gran Bretagna e il 17% in Australia.
I critici dicono che l’enorme spreco della risorsa lavoro ha eroso il livello delle competenze e abbassato il tasso di crescita potenziale dell'Irlanda per i prossimi due decenni. Se è così, qualsiasi ripresa dovesse arrivare, arriverà nonostante il salvataggio della Troika, non grazie ad esso.
domenica 15 dicembre 2013
I POTERI NEOLIBERISTI DI CONTROLLO DELL'ECONOMIA EUROPEA TENTANO DI CANCELLARE DEFINITIVAMENTE LE CONQUISTE SOCIALI DELLA CLASSE OPERAIA.
Bruxelles produce odio, cresce il rischio di una guerra
UN NUOVO MEDIOEVO SOCIALE
Ciò che sta accadendo in Italia va letto nel contesto della deflagrazione dell’Unione Europea, provocata dall’aggressione finanzista guidata dalla Banca centrale europea e dal governo tedesco. Da Maastricht in poi, il ceto finanzista globale ha deciso di cancellare inEuropale tracce della forza operaia del passato, lademocrazia, la garanzia salariale, la spesa sociale. In nome del fanatismo liberista ha finito per sradicare le radici del consenso su cui si fondava l’Unione Europea. L’effetto, però, non è solo il dimezzamento del monte salari dei lavoratori europei, la distruzione della scuola e della sanità pubblica, l’abolizione del limite dell’orario di lavoro, la precarizzazione generalizzata. E’ anche laguerra. Era prevedibile, era previsto, ora comincia ad accadere.
La disgregazione finale dell’Unione europea possiamo leggerla sulla carta geografica. Cominciamo da est. L’insurrezione ucraina è prova di come sia mutata la natura d’Europa. Nata come progetto di pace tra tedeschi e francesi, e quindi di pace in tutto il continente, l’Unione è oggi divenuta l’esatto contrario. Gli europeisti ucraini usano l’europeismo come arma puntata contro l’imperialismo russo, e risvegliano fantasmi del nazismo. L’ingresso inEuropaè visto come una promessa diguerra, e la precipitazione del conflitto in Ucraina non potrà che avere conseguenze spaventose per l’Europaintera. Bruxelles reagirà aprendo un confronto con la Russia di Putin, oppure lascerà che la Russia di Putin soffochi una rivolta che è nata nel nome dell’Europa?
Spostiamoci a ovest. Il Parlamento catalano ha indetto il referendum indipendentista per l’autunno del 2014. I franchisti del governo madrileno hanno risposto che il referendum non si farà mai. Nel frattempo, in Francia i sondaggi prevedono che il Front National diverrà partito di maggioranza alle prossimeelezioni. A quel punto il patto franco-tedesco su cui si fonda l’Unione sarà cancellato nella coscienza della maggioranza dei francesi, e la balcanizzazione del continente precipiterà. Questa dinamica mi pare il contesto in cui leggere le convulsioni agoniche della penisola italiana. Il governo Letta Alfano Napolitano, filiale del partito distruttori d’Europa, è in camera di rianimazione. Può durare o crollare poco importa: non è in grado di mantenere nessuna promessa, neppure quelle fatte ai suoi padroni di Francoforte.
Il movimento dei forconi è tracimare del nervosismo sociale. Nel 2011 il movimento anticapitalista tentò di fermare l’aggressione finanzista, ma non ebbe la forza per mettere in moto una sollevazione solidale. La precarizzazione ha sgretolato la solidarietà tra lavoratori, e il movimento si risolse in una protesta che il ceto politico-finanziario, per criminale interesse e per imbecillità conformista, rifiutò perfino di ascoltare. Ma la sollevazione non si ferma, perché ha i caratteri tellurici di una disgregazione della base stessa del consenso sociale. E’ una sollevazione priva di interna coerenza, priva di strategia progressiva. Ci sono dentro elementi di nazionalismo, di razzismo, di egoismo piccolo-proprietario, ma anche elementi di ribellione operaia, didemocraziadiretta e rabbia libertaria. Non è importante la sua confusa coscienza, le contrastanti ideologie e i contrastanti interessi che la mobilitano. Conta il fatto che il suo collante obbiettivo è l’odio contro l’Europa. Questo odio non può che essere portatore di disgrazie.
(Franco “Bifo” Berardi, “I forconi e la deflagrazione dell’Europa”, da “Micromega” del 13 dicembre 2013).
Ciò che sta accadendo in Italia va letto nel contesto della deflagrazione dell’Unione Europea, provocata dall’aggressione finanzista guidata dalla Banca centrale europea e dal governo tedesco. Da Maastricht in poi, il ceto finanzista globale ha deciso di cancellare in Europa le tracce della forza operaia del passato, la democrazia, la garanzia salariale, la spesa sociale. In nome del fanatismo liberista ha finito per sradicare le radici del consenso su cui si fondava l’Unione Europea. L’effetto, però, non è solo il dimezzamento del monte salari dei lavoratori europei, la distruzione della scuola e della sanità pubblica, l’abolizione del limite dell’orario di lavoro, la precarizzazione generalizzata. E’ anche la guerra. Era prevedibile, era previsto, ora comincia ad accadere.
La disgregazione finale dell’Unione europea possiamo leggerla sulla carta geografica. Cominciamo da est. L’insurrezione ucraina è prova di come sia mutata la natura d’Europa. Nata come progetto di pace tra tedeschi e francesi, e quindi di pace in tutto il continente, l’Unione è oggi divenuta l’esatto contrario. Gli europeisti ucraini usano l’europeismo come arma puntata contro l’imperialismo russo, e risvegliano fantasmi del nazismo. L’ingresso inEuropa è visto come una promessa di guerra, e la precipitazione del conflitto in Ucraina non potrà che avere conseguenze spaventose per l’Europa intera. Bruxelles reagirà aprendo un confronto con la Russia di Putin, oppure lascerà che la Russia di Putin soffochi una rivolta che è nata nel nome dell’Europa?
Spostiamoci a ovest. Il Parlamento catalano ha indetto il referendum indipendentista per l’autunno del 2014. I franchisti del governo madrileno hanno risposto che il referendum non si farà mai. Nel frattempo, in Francia i sondaggi prevedono che il Front National diverrà partito di maggioranza alle prossime elezioni. A quel punto il patto franco-tedesco su cui si fonda l’Unione sarà cancellato nella coscienza della maggioranza dei francesi, e la balcanizzazione del continente precipiterà. Questa dinamica mi pare il contesto in cui leggere le convulsioni agoniche della penisola italiana. Il governo Letta Alfano Napolitano, filiale del partito distruttori d’Europa, è in camera di rianimazione. Può durare o crollare poco importa: non è in grado di mantenere nessuna promessa, neppure quelle fatte ai suoi padroni di Francoforte.
Il movimento dei forconi è tracimare del nervosismo sociale. Nel 2011 il movimento anticapitalista tentò di fermare l’aggressione finanzista, ma non ebbe la forza per mettere in moto una sollevazione solidale. La precarizzazione ha sgretolato la solidarietà tra lavoratori, e il movimento si risolse in una protesta che il ceto politico-finanziario, per criminale interesse e per imbecillità conformista, rifiutò perfino di ascoltare. Ma la sollevazione non si ferma, perché ha i caratteri tellurici di una disgregazione della base stessa del consenso sociale. E’ una sollevazione priva di interna coerenza, priva di strategia progressiva. Ci sono dentro elementi di nazionalismo, di razzismo, di egoismo piccolo-proprietario, ma anche elementi di ribellione operaia, di democrazia diretta e rabbia libertaria. Non è importante la sua confusa coscienza, le contrastanti ideologie e i contrastanti interessi che la mobilitano. Conta il fatto che il suo collante obbiettivo è l’odio contro l’Europa. Questo odio non può che essere portatore di disgrazie.
L'UNIONE BANCARIA PER EVITARE ULTERIORI CRISI.
Unione Bancaria: la Germania si mette di traverso
Pubblicato il 14 dicembre 2013 da Giuseppe Briganti.
Ormai è risaputa la tendenza della Germania a porre veti su qualsiasi provvedimento che possa favorire una più compiuta integrazione europea. L’ultimo “no” è giunto in occasione della discussione circa l’Unione Bancaria. Il risultato è che la Bce e il paese della Merkel sono ora ai ferri corti, almeno da questo punto di vista.
Ufficialmente, le posizioni prevedono una identità di vedute circa la necessità di procedere con l’Unione Bancaria. Il problema è il “come”. Le richieste della Germania, però, danno l’impressione di essere una scusa per ritardare il più possibile l’adozione di questo importante sistema di supervisione centrale.
Cosa vuole la Bce e cosa chiede la Germania? Mario Draghi, in estrema sintesi, vuole un’Unione Bancaria che si fonda su una sorta di Autorità Garante indipendente, che non faccia capo a nessun paese in particolare, in grado di esercitare i suoi “poteri”, che sono di monitoraggio e parzialmente di controllo, su tutte le banche dell’Unione Europea. La Germania, che in questi giorni sta facendo la voce grossa con Schauble, ministro delle Finanze del Governo Merkel, reputa questa proposta ingiusta. Le riserve riguardano proprio “l’indipendenza”. L’autorità non deve essere un organismo a sé stante, bensì un network di autorità nazionali. Ovviamente, questa seconda ipotesi, rispecchierebbe a pieno gli equilibri di potere europei e perpetrerebbe quello status quo che tanto piace a Berlino. Secondo gli uomini della Merkel, inoltre, sono gli stessi trattati a impedire la realizzazione di un organo indipendente – interpretazione rigettata dalla Bce – e quindi tutto ciò andrebbe a discapito dello spirito dell’Europa.
La verità, però, è che la Germania non vede affatto di buon l’occhio l’idea di Draghi perché permetterebbe agli “Stati canaglia” dell’Ue di ricoprire un ruolo importante nella gestione dell’organismo di supervisione.
Apparentemente, le posizioni sono inconciliabili. I tedeschi hanno già dimostrato in passato di essere un osso duro quando ci sono in gioco gli interessi particolari della Germania. D’altronde, ci sarà un motivo se sono naufragati uno dopo l’altro tutte le proposte di condivisione dei rischi e dei poteri in Europa (vedi eurobond).
Tra i due litiganti, in questo caso, nessuno gode ma, anzi, c’è qualcuno che cerca di fare da paciere. Si tratta diJorg Asmussen, membro dell’Esecutivo della Bce e uomo, si dice, molto vicino a Schauble. Ebbene, il pallino della mediazione a quanto pare passerà presto a lui. Una soluzione, stando alle ultime dichiarazione, c’è già: istituire l’Unione Bancaria sul modello proposto dalla Bce, ma imporre la supervisione non su tutte le banche, ma solo su quelle più grandi, che sono 130. In questo modo, i piccoli istituti di credito tedeschi (vera preoccupazione di Schauble in quanto più deboli) saranno lontani dalle “grinfie” dei Piigs.
Se è vero che la Germania spinge per mantenere la sua leadership, altrove, fuori dalle stanze del potere di Bruxelles e di Berlino, si invoca a gran voce l’introduzione dell’Unione Bancaria. E’ opinione comune, tra i media e gli opinion leader, che si debba procedere in questo senso. In Italia, molto attivo si sta rivelando Il Sole 24 Ore, che la reputa fondamentale al fine di evitare nuove crisi del debito pubblico: “Un sistema di supervisione unico è necessario per contribuire ad evitare che ciò si ripeta in futuro. Una supervisione comune a livello europeo riduce le pressioni nazionali, che negli anni passati hanno permesso l’accumulo di disequilibri nei conti delle banche, magari per proteggere i campioni nazionali”.
L'ECOFIN: REGOLE PRECISE SUL FALLIMENTO DELLE BANCHE
I dieci giorni che cambieranno l’Europa (e la Germania)
Non è il 2014 l’anno in cui capiremo come andrà a finire l’Europa, come dice il nostro premier Letta.
Il nostro destino lo capiremo prima di Natale.
Il countdown è già cominciato con l’Ecofin di ieri, dove era attesa la decisione dei 28 ministri sui due pilastri mancanti dell’Unione Bancaria. I ministri si sono ritrovati a dover dipanare una matassa intricatissima, ossia quale fosse l’autorità deputata a decidere sul fallimento di una banca, e insieme chi dovesse pagare il conto a partire dal ottobre del 2014, quando inizierà la sorveglianza della Bce sui principali istituti di credito europeo.
Dopo la solita maratona notturna, si è deciso di prendersi qualche altro giorno. L’accordo per grandi linee è stato definito, ma bisogna mettere a punto i dettagli, mei quali com’è è noto si annida sempre il diavolo.
Nel caso in ispecie, anche il quadro generale è un po’ confuso. Ancora non è ben chiaro se e come sarà costituità l’autorità sovranazionale di risoluzione, nè come e chi pagherà il conto. I documenti circolati in queste ore lasciano aperte più domande di quante risposte diano. Quindi toccherà attendere per capire meglio.
Rimane il fatto che queste decisioni, assolutamente tecniche, hanno pesanti ripercussioni politiche che impattano in maniera rilevante sul futuro dell’eurozona, innanzitutto, ma di tutta l’Unione europea.
Ciò spiega perché siano aumentate le pressioni sui governi europei affinché la smettano di cincischiare e decidano il da farsi.
E’ stata fissata anche una scadenza: l’accordo dell’Ecofin deve arrivare entro la metà della prossima settimana, prima quindi del vertice fra i capi di stato e di governo, che si incontreranno fra il 19 e il 20 dicembre che dovrebbe asseverare tali decisioni e quindi aprire di fatto l’iter parlamentare, che dovrebbe procedere a tappe forzate fino all’aprile del 2014, quando l’europarlamento chiuderà per elezioni.
Insomma: ora o chissà quando. Per non dire mai più.
Anche perché, e qui ha ragione Letta, è difficile fare previsione sul prossimo europarlamento, che magari verrà fuori dalle urne assai piùù euroscettico di quanto non sia oggi, e quindi assai meno disposto a recepire una roba sistemica come un’Unione bancaria.
Per capire il nostro destino, e più precisamente quello dell’Unione bancaria dal quale dipende quello della buona salute dell’Unione monetaria, basterà quindi aspettare una decina di giorni.
La prima questione, quella di identificare la fisionomia del Risolutore, dicono i beneinformati, vedeva due inediti schieramenti. Da una parte coloro che vorrebbero che tale struttura coincidesse con il gruppone dell’Ecofin, con tanto di diritto di veto, che dovrebbe esser chiamato a decidere sui fallimenti bancari. Qui troviamo la Germania, la Finlandia e la Slovacchia. Dall’altra parte, ossia fra coloro che vorrebbero che il risolutore fosse un’entità sovranazionale, troviamo il resto dei paesi dell’Ue, oltre alla Bce e la Commissione europea, che ha già presentato una proposta di risoluzione in tal senso.
Si può questionare a lungo sul perché la Germania non voglia che sul fallimento della sue banche decida uno “straniero”. Ma è chiaro che se nascerà l’autorità sovranazionale di risoluzione, come è molto probabile che sia, allora la Germaniadovrà incassare un pesante ridimensionamento politico che cambierà, anche a livello di percezione pubblica, il suo ruolo nel lungo processo di costruzione europea. Si capirebbe, vale a dire, che le dispute europee non sono autenticamente fra i singoli stati, come gran parte della pubblicistica contemporanea induce a credere, ma fra le entità sovranazionali (compreso il Fmi) e gli stati nazionali.
Sulla seconda questione, quella del finanziamento del fondo sui salvataggi bancari, bisogna capire se i soldi arriveranno dagli stati, come dice la Bce, o se si potrà attingere ai fondi dell’ESM, come propongono alcuni ministri dell’Ue, almeno fino a quando il fondo unico di risoluzione (Single Resolution Fund), che sarà alimentato dalle stesse banche europee, non avrà sufficiente capienza finanziaria.
Anche qui, la Germania si oppone all’idea di usare l’Esm, adducendo a cagione il fatto che sarebbe un modo indiretto per socializzare le perdite fa tutti gli Stati. Dal punto di vista tedesco è molto più opportuno che siano gli azionisti e gli obbligazionisti a pagare, e anche i depositanti non assicurati (bail-in). Opinione che peraltro è diventata patrimonio della legislazione europea, ma a partire dal 2018. Quindi è probabile che pur di spuntarla su questo punto, elettoralmente assai più sensibile, ottenendo magari l’anticipazione dell’entrata in vigore delle regole del bail-in la Germania ceda sul primo, che però è assai più intrusivo nel perimetro della sovranità finanziaria. Sarebbe una vittoria di Pirro.
Anche qui la decisione finale, se mai arriverà, ci dirà molto sul peso politico reale della Germania.
Molti osservatori in queste settimane hanno messo sull’avviso di un accordo al ribasso che, dicono, minerebbe la fiducia nella reale capacità dell’Ue, e dell’eurozona in particolare, di fare quanto è necessario, per usare un’espressione resa celebra da Draghi, per uscire in maniera strutturale dalla crisi.
E proprio ieri Mario Draghi, parlando a un convegno in Banca d’Italia in memoria di Curzio Giannini, ha insistito sulla necessità di arrivare al più presto all’approvazione dell’Unione bancaria. E guarda il caso, la stessa cosa ha detto la presidente del Fmi Lagarde che, sempre ieri, ha rilasciato un discorso con un outlook sull’eurozona.
Insomma, il grande mondo della finanza si aspetta che i governi europei approvino presto e bene l’Unione bancaria.
L’alternativa, assai rischiosa, non sembra contemplata.
Almeno per i prossimi dieci giorni.
CHI GOVERNA L'EUROZONA: I POLITICI O I GOVERNATORI?
I governatori dell’eurozona battono un colpo
Dunque Mario Draghi ha confermato, nel corso di un dibattito al Parlamento europeo, che “i bond sovrani verranno sottoposti a stress come altri titoli”.
Non era difficile immaginare che sarebbe finita così, ma averne la conferma serve anche a comprendere che la partita che si sta giocando su questa class di asset è la più strategica, per non dire sistemica, dell’intera eurozona.
Non che avessi dubbi. Ne avevo talmente pochi che mi sono portato avanti col lavoro e, qualche post fa, mi sono inerpicato con grande fatica nella ragnatela della regolamentazione bancaria di Basilea II e III, che anche ieri Draghi ha citato come fonte di ispirazione normativa, spiegando che non tocca certo alla Bce decidere come trattare i bond sovrani, ma proprio ai banchieri di Basilea (che per la cronaca è espressione delle Banche centrali). Alludendo con ciò al fatto, già messo in evidenza dal suo collega della Bundesbank Weidmann, che i regolatori di Basilea fossero stati troppo generosi nel giudicare risk free (e quindi non bisognosi di accantonamento nel capitale di vigilanza delle banche) i titoli di stato.
Abbiamo visto che non è così. Le regole di Basilea, di recente ribadite anche dalla Bri, dicono esattamente il contrario: ossia che tutte le classi di titoli, quindi anche quelli sovrani, sono soggetti a una classificazione del rischio. E fissa anche un criterio di ponderazione, legato al rating, in virtù del quale le banche possono sapere esattamente quanto capitale devono mettere da parte ogni tot di titoli di stato.
Quello che i nostri governatori (Weidmann, Draghi) omettono di dire (difficile credere che sia sfuggito a tutti), è che le regole di Basilea III sono state tradotte nella direttiva europea CRD IV (36/2013) sui requisiti della patrimonializzazione bancaria e in un regolamento (575/2013) che entreranno in vigore dal prossimo gennaio. Il regolamento, in particolare, (articolo 114) fissa un rischio zero per i titoli di stato denominati in valuta nazionale da parte di tutti i paesi europei. Quindi non è tanto Basilea ad aver creato il “problema”, ma semmai il mondo politico europeo.
Questo ovviamente i nostri eurogovernatori non lo dicono.
La conseguenza di questa regolamentazione, quindi, è che i titoli italiani, denominati in euro, hanno la stessa classificazione di rischio di quelli tedeschi. Non per scelta dei banchieri, ma dei politici.
Vale la pena fare un ulteriore approfondimento andandosi a leggere il parere proprio su questo regolamento che la Bce depositò presso parlamento e consiglio europeo, citato nel preambolo. Un passaggio in particolare, laddove si sottolinea che “la Bce sostiene fermamente l’obiettivo di affrontare esposizioni al rischio specifiche relative, tra l’altro, a determinati settori, regioni o stati membri per mezzo di atti delegati che affidino alla Commissione la facoltà di imporre requisiti prudenziali più stringenti”.
Quindi non è che i banchieri non ci abbiano provato a dire come la pensavo. Solo che non hanno avuto successo.
Senonché i nostri governatori centrali intendono spezzare una volta per tutte il legame fra stati sovrani e banche residenti. Che poi è uno dei punti qualificanti dell’Unione Bancaria, sempre che si riesca ad approvarla entro aprile come Draghi ha esortato anche ieri l’europarlamento a fare.
E siccome questa certezza non c’è, ecco che intanto scatta il piano B: ossia usare la supervisione bancaria, che di sicuro è l’unico momento sovranazionale già operativo sul quale nessuno può mettere bocca, come grimaldello per scardinare il più possibile questo nesso stati-banche, in nome della prudente regolazione finanziaria e per evitare che la disciplina di mercato faccia più danni. Quindi per il nostro bene.
Il “fantasma” del governo degli eurobanchieri batte un colpo.
La conseguenza di tale prezzatura dei bond sovrani è evidente: detenere titoli dei Piigs sarà costoso per le banche dell’eurozona, mentre i titoli a rating elevato saranno a rischio zero, quindi gratis, proprio per le regole di Basilea hanno fissato. Una scelta che potrebbe amplificare la frammentazione dell’eurozona, anziché ridurla.
Sinceramente ammirato da tanta finezza, ho visto emergere la questione dei bond sovrani nel dibattito esoterico dei banchieri centrali fino a diventare di dominio pubblico, quindi essoterico, in queste ultime ore. Nella mattina in cui si è tenuto il dibattito di Draghi, il Financial Times riportava una pregevole intervista al responsabile della divisione economica della Bce Peter Praet, che spiegava come fosse necessario prevedere una qualche forma di meccanismo capace di arrivare a una “prezzatura” del rischio dei bond sovrani. Magari un fondo dove le banche siano “invitate” a depositare capitale di vigilanza.
Non è tanto lo strumento tecnico che interessa, ma il principio. E il pretesto economico anche.
Il pretesto economico è questo: i nostri governatori, che temono un’ondata deflazionaria nell’eurozona anche se dicono il contrario (ultimo sempre Draghi ieri), hanno il problema di fare arrivare credito alle imprese evitando che finisca come in passato, ossia che le banche facciano carry trade con i soldi della Bce. Per riuscirci devono “costringere” le banche a dare credito all’economia, scoraggiando quindi l’accumulo di bond sovrani. Così potranno anche spezzare il famoso legame fra stati e banche residenti, la qualcosa obbligherà gli stati a dare corso a tutti i necessari consolidamenti fiscali, visto che non potranno più contare sui soldi delle “loro” banche per finanziare i propri deficit.
Il principio è questo: usare il bastone della presunta market discipline (ovvero la minaccia che i mercati punirebbero scelte non coerenti con la loro fame di certezze) e la carota della regolazione (le famose norme di Basilea) per bypassare una precisa norma votata dalle autorità europee. Ossia che tutti i titoli dell’eurozona siano risk free.
Se la logica economica che guida questo ragionamento può essere comprensibile, rimane un dubbio metodologico sul principio.
E anche una domanda: chi governa l’eurozona: i politici o i governatori?
Scritto da Maurizio Sgroi
13/12/2013
Dunque Mario Draghi ha confermato, nel corso di un dibattito al Parlamento europeo, che “i bond sovrani verranno sottoposti a stress come altri titoli”.
Non era difficile immaginare che sarebbe finita così, ma averne la conferma serve anche a comprendere che la partita che si sta giocando su questa class di asset è la più strategica, per non dire sistemica, dell’intera eurozona.
Non che avessi dubbi. Ne avevo talmente pochi che mi sono portato avanti col lavoro e, qualche post fa, mi sono inerpicato con grande fatica nella ragnatela della regolamentazione bancaria di Basilea II e III, che anche ieri Draghi ha citato come fonte di ispirazione normativa, spiegando che non tocca certo alla Bce decidere come trattare i bond sovrani, ma proprio ai banchieri di Basilea (che per la cronaca è espressione delle Banche centrali). Alludendo con ciò al fatto, già messo in evidenza dal suo collega della Bundesbank Weidmann, che i regolatori di Basilea fossero stati troppo generosi nel giudicare risk free (e quindi non bisognosi di accantonamento nel capitale di vigilanza delle banche) i titoli di stato.
Abbiamo visto che non è così. Le regole di Basilea, di recente ribadite anche dalla Bri, dicono esattamente il contrario: ossia che tutte le classi di titoli, quindi anche quelli sovrani, sono soggetti a una classificazione del rischio. E fissa anche un criterio di ponderazione, legato al rating, in virtù del quale le banche possono sapere esattamente quanto capitale devono mettere da parte ogni tot di titoli di stato.
Quello che i nostri governatori (Weidmann, Draghi) omettono di dire (difficile credere che sia sfuggito a tutti), è che le regole di Basilea III sono state tradotte nella direttiva europea CRD IV (36/2013) sui requisiti della patrimonializzazione bancaria e in un regolamento (575/2013) che entreranno in vigore dal prossimo gennaio. Il regolamento, in particolare, (articolo 114) fissa un rischio zero per i titoli di stato denominati in valuta nazionale da parte di tutti i paesi europei. Quindi non è tanto Basilea ad aver creato il “problema”, ma semmai il mondo politico europeo.
Questo ovviamente i nostri eurogovernatori non lo dicono.
La conseguenza di questa regolamentazione, quindi, è che i titoli italiani, denominati in euro, hanno la stessa classificazione di rischio di quelli tedeschi. Non per scelta dei banchieri, ma dei politici.
Vale la pena fare un ulteriore approfondimento andandosi a leggere il parere proprio su questo regolamento che la Bce depositò presso parlamento e consiglio europeo, citato nel preambolo. Un passaggio in particolare, laddove si sottolinea che “la Bce sostiene fermamente l’obiettivo di affrontare esposizioni al rischio specifiche relative, tra l’altro, a determinati settori, regioni o stati membri per mezzo di atti delegati che affidino alla Commissione la facoltà di imporre requisiti prudenziali più stringenti”.
Quindi non è che i banchieri non ci abbiano provato a dire come la pensavo. Solo che non hanno avuto successo.
Senonché i nostri governatori centrali intendono spezzare una volta per tutte il legame fra stati sovrani e banche residenti. Che poi è uno dei punti qualificanti dell’Unione Bancaria, sempre che si riesca ad approvarla entro aprile come Draghi ha esortato anche ieri l’europarlamento a fare.
E siccome questa certezza non c’è, ecco che intanto scatta il piano B: ossia usare la supervisione bancaria, che di sicuro è l’unico momento sovranazionale già operativo sul quale nessuno può mettere bocca, come grimaldello per scardinare il più possibile questo nesso stati-banche, in nome della prudente regolazione finanziaria e per evitare che la disciplina di mercato faccia più danni. Quindi per il nostro bene.
Il “fantasma” del governo degli eurobanchieri batte un colpo.
La conseguenza di tale prezzatura dei bond sovrani è evidente: detenere titoli dei Piigs sarà costoso per le banche dell’eurozona, mentre i titoli a rating elevato saranno a rischio zero, quindi gratis, proprio per le regole di Basilea hanno fissato. Una scelta che potrebbe amplificare la frammentazione dell’eurozona, anziché ridurla.
Sinceramente ammirato da tanta finezza, ho visto emergere la questione dei bond sovrani nel dibattito esoterico dei banchieri centrali fino a diventare di dominio pubblico, quindi essoterico, in queste ultime ore. Nella mattina in cui si è tenuto il dibattito di Draghi, il Financial Times riportava una pregevole intervista al responsabile della divisione economica della Bce Peter Praet, che spiegava come fosse necessario prevedere una qualche forma di meccanismo capace di arrivare a una “prezzatura” del rischio dei bond sovrani. Magari un fondo dove le banche siano “invitate” a depositare capitale di vigilanza.
Non è tanto lo strumento tecnico che interessa, ma il principio. E il pretesto economico anche.
Il pretesto economico è questo: i nostri governatori, che temono un’ondata deflazionaria nell’eurozona anche se dicono il contrario (ultimo sempre Draghi ieri), hanno il problema di fare arrivare credito alle imprese evitando che finisca come in passato, ossia che le banche facciano carry trade con i soldi della Bce. Per riuscirci devono “costringere” le banche a dare credito all’economia, scoraggiando quindi l’accumulo di bond sovrani. Così potranno anche spezzare il famoso legame fra stati e banche residenti, la qualcosa obbligherà gli stati a dare corso a tutti i necessari consolidamenti fiscali, visto che non potranno più contare sui soldi delle “loro” banche per finanziare i propri deficit.
Il principio è questo: usare il bastone della presunta market discipline (ovvero la minaccia che i mercati punirebbero scelte non coerenti con la loro fame di certezze) e la carota della regolazione (le famose norme di Basilea) per bypassare una precisa norma votata dalle autorità europee. Ossia che tutti i titoli dell’eurozona siano risk free.
Se la logica economica che guida questo ragionamento può essere comprensibile, rimane un dubbio metodologico sul principio.
E anche una domanda: chi governa l’eurozona: i politici o i governatori?
Scritto da Maurizio Sgroi
13/12/2013
sabato 14 dicembre 2013
L'EURO E' UNA PATACCA INSOSTENIBILE
M.Friedman, J.Stigliz, A.Sen, J.Mirrless, C.Pissarides): “l’Euro e’ una patacca”
Sei Premi Nobel per l’economia, di diverse ideologie, ci dicono tutti la stessa cosa: l’Euro e’ una patacca insostenibile.
Gli ultimi due ad aggiungersi alla lista di Nobel che sostengono cio’ sono James Mirrless e Christopher Pissarides. Tra un po’ rischiamo di perdere il conto.
Partiamo da Paul Krugman che ci spiega perche’: “L’euro è campato in aria” (clicca sul Titolo per vedere l’articolo integrale; sotto gli estratti piu’ significativi)
… penso che l’euro fosse un’idea sentimentale, un bel simbolo di unità politica. Ma una volta abbandonate le valute nazionali avete perso moltissimo in flessibilità. Non è facile rimediare allaperdita di margini di manovra. In caso di crisi circoscritta esistono due rimedi: la mobilità della manodopera per compensare la perdita di attività e soprattutto l’integrazione fiscale per ripianare la perdita di entrate. Da questa prospettiva, l’Europa era molto meno adatta alla moneta unica rispetto agli Stati Uniti. Florida e Spagna hanno avuto una stessa bolla immobiliare e uno stesso crollo. Ma la popolazione della Florida ha potuto cercare lavoro in altri stati meno colpiti dalla crisi. Ovunque l’assistenza sociale, le assicurazioni mediche, le spese federali e le garanzie bancarie nazionali sono di competenza di Washington, mentre in Europa non è così.…l’Europa sarà sempre fragile. La sua moneta è un progetto campato in aria e lo resterà fino alla creazione di una garanzia bancaria europea. … Ricordiamoci però una cosa: l’Europa non è in declino. È un continente produttivo e dinamico. Ha soltanto sbagliato a scegliersi la propria governance e le sue istituzioni di controllo economico, ma a questo si può sicuramente porre rimedio.
Passiamo a Milton Friedman, che gia’ nel 1998 spiegava che la Moneta Unica e’ un Soviet e Bruxelles e Francoforte prenderanno il posto del Mercato (clicca sul Titolo per vedere l’articolo integrale; sotto gli estratti piu’ significativi)
Niente di sbagliato, in generale, a volere un’unione monetaria. Ma in Europa c’e’ gia’ ed e’ quella esistente di fatto tra Germania, Austria e Paesi del Benelux. Niente vieta che, se ci tiene, l’Italia aderisca a quella. Il resto e’ una costruzione non democratica“.Piu’ che unire, la moneta unica crea problemi e divide. Sposta in politica anche quelle che sono questioni economiche. La conseguenza piu’ seria, pero’, e’ che l’euro costituisce un passo per un sempre maggiore ruolo di regolazione da parte di Bruxelles. Una centralizzazione burocratica sempre piu’ accentuata. Le motivazioni profonde di chi guida questo progetto e pensa che lo guidera’ in futuro vanno in questa direzione dirigista.….…Ma non vedo la flessibilita’ dell’economia e dei salari e l’omogeneita’ necessaria tra i diversi Paesi perche’ sia un successo. Se l’Europa sara’ fortunata e per un lungo periodo non subira’shock esterni, se sara’ fortunata e i cittadini si adatteranno alla nuova realta’, se sara’ fortunata e l’economia diventera’ flessibile e deregolata, allora tra 15 o 20 anni raccoglieremo i frutti dati dalla bendizione di un fatto positivo. Altrimenti sara’ una fonte di guai“.Cosa prevede succedera’? Una riduzione della liberta’ di mercato. A Francoforte siedera’ un gruppo di banchieri centrali che decidera’ i tassi d’interesse centralmente. Finora, le economie, come quella italiana, avevano una serie di liberta’, fino a quella di lasciar muovere il tasso di cambio della moneta. Ora, non avranno piu’ quell’opzione. L’unica opzione che resta e’ quella di fare pressione sulla Ue a Bruxelles perche’ fornisca assistenza di bilancio e sulla Banca centrale europea a Francoforte perche’ faccia una politica monetaria favorevole. Aumenta cioe’ il peso dei governi e delle burocrazie e diminuisce quello del mercato. Sarebbe meglio fare come alla fine del secolo scorso, quando, col Gold Standard, l’Europa aveva gia’ una moneta unica, l’oro: col vantaggio che non aveva bisogno di una banca centrale.…Quello che c’e’ da dire sul mercato unico, piuttosto, e’ che e’ reso piu’ complicato proprio dall’Unione monetaria che rende piu’ difficili le reazioni delle economie, toglie loro strumenti e le rende piu’ dipendenti dalle burocrazie”.
Passiamo a Joseph Stiglitz, che ci spiega che l’Euro, o cambia oppure è meglio lasciarlo morire (clicca sul Titolo per vedere l’articolo integrale; sotto gli estratti piu’ significativi)
Il progetto europeo, per quanto idealista, è sempre stato un impegno dall’alto verso il basso. Ma incoraggiare i tecnocrati a guidare i vari paesi è tutta un’altra questione, che sembra eludere il processo democratico, imponendo politiche che portano ad un contesto di povertà sempre più diffuso.Mentre i leader europei si nascondono al mondo, la realtà è che gran parte dell’Unione europea è indepressione. La perdita di produzione in Italia dall’inizio della crisi è pari a quella registrata negli anni ’30. ……La realtà tuttavia è che la cura non sta funzionando e non c’è alcuna speranza che funzioni; o meglio che funzioni senza comportare danni peggiori di quelli causati dalla malattia….. L’Europa ha bisogno di un maggiore federalismo fiscale e non solo di un sistema di supervisione centralizzato dei budget nazionali. ….E’ poi necessaria un’unione bancaria, ma deve essere una vera unione con un unico sistema di assicurazione dei depositi, delle procedure risolutive ed un sistema di supervisione comune. Inoltre, sarebbero necessari gli Eurobond o uno strumento simile.I leader europei riconoscono che senza la crescita il peso del debito continuerà a crescere e che le sole politiche di austerità sono una strategia anti-crescita. Ciò nonostante, sono passati diversi anni enon è stata ancora presentata alcuna proposta di una strategia per la crescita sebbene le sue componenti siano già ben note, ovvero delle politiche in grado di gestire gli squilibri interni dell’Europa e l’enorme surplus esterno tedesco che è ormai pari a quello della Cina (e più alto del doppio rispetto al PIL). In termini concreti, ciò implica un aumento degli stipendi in Germania e politiche industriali in grado di promuovere le esportazioni e la produttività nelle economie periferiche dell’Europa.Quello che non può funzionare, almeno per gran parte dei paesi dell’eurozona, è una politica di svalutazione interna (ovvero una riduzione degli stipendi e dei prezzi) in quanto una simile politica aumenterebbe il peso del debito sui nuclei familiari, le aziende ed il governo (che detiene un debito prevalentemente denominato in euro).I leader europei continuano a promettere di fare tutto il necessario per salvare l’euro. La promessa del Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, di fare “tutto il necessario” ha garantito un periodo di tregua temporaneo. Ma la Germania si è opposta a qualsiasi politica in grado di fornire una soluzione a lungo termine tanto da far pensare che sia sì disposta a fare tutto tranne quello che è necessario.E’ vero, l’Europa ha bisogno di riforme strutturali come insiste chi sostiene le politiche di austerità. Ma sono le riforme strutturali delle disposizioni istituzionali dell’eurozona e non le riforme all’interno dei singoli paesi che avranno l’impatto maggiore. Se l’Europa non si decide a voler fare queste riforme, dovrà probabilmente lasciar morire l’euro per salvarsi.L’Unione monetaria ed economica dell’UE è stata concepita come uno strumento per arrivare ad un fine non un fine in sé stesso. L’elettorato europeo sembra aver capito che, con le attuali disposizioni, l’euro sta mettendo a rischio gli stessi scopi per cui è stato in teoria creato.
Passiamo ad Amartya Sen, con la recente intervista “Che orribile idea l’euro” (clicca sul Titolo per vedere l’articolo integrale; sotto gli estratti piu’ significativi)
«….. Mi preoccupa molto di più quello che succede in Europa, l’effetto della moneta unica. Era nata con lo scopo di unire il continente, ha finito per dividerlo».«L’euro è stato un’idea orribile. Lo penso da tempo. Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata. Una moneta unica non è un buon modo per iniziare a unire l’Europa. I punti deboli economici portano animosità invece che rafforzare i motivi per stare assieme. Hanno un effetto-rottura invece che di legame. Le tensioni che si sono create sono l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Europa. ….».«Quando tra i diversi Paesi hai differenziali di crescita e di produttività, servono aggiustamenti dei tassi di cambio. Non potendo farli, si è dovuto seguire la via degli aggiustamenti nell’economia, cioè più disoccupazione, la rottura dei sindacati, il taglio dei servizi sociali. Costi molto pesanti che spingono verso un declino progressivo».«È successo che a quell’errore è stata data la risposta più facile e più sbagliata, si sono fatte politiche di austerità. L’Europa ha bisogno di riforme: pensioni, tempo di lavoro, eccetera. E quelle vanno fatte, soprattutto in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia. Ma non hanno niente a che fare con l’austerità. È come se avessi bisogno di aspirina ma il medico decide di darmela solo abbinata a una dose di veleno: o quella o niente. No, le riforme si fanno meglio senza austerità, le due cose vanno separate».«La Germania ha sicuramente beneficiato della moneta unica. Oggi abbiamo un euro-marco sottovalutato e una euro-dracma sopravvalutata, se così si può dire. Ma non credo che ci sia uno spirito del male tedesco. Non ci sono malvagi in questa cosa terribile che sta succedendo. È che hanno sbagliato anche i tedeschi. E si è finiti con la Germania denigrata. ….».
E’ il turno di James Mirrless, che nel suo intervento a Venezia all’Auditorium Santa Margherita per il ciclo ‘Nobels colloquia 2013′ dell’Università Ca’ Foscari, ha testualmente detto che “all’Italia conviene uscire dall’Euro subito” (clicca sul Titolo per vedere l’articolo integrale; sotto gli estratti piu’ significativi)
«Non voglio suggerire politiche per mutare la situazione attuale e mi sento a disagio nel fare raccomandazioni altisonanti, perché non ho avuto il tempo di valutarne le conseguenze. Però,guardando dal di fuori, dico che non dovreste stare nell’euro, ma uscirne adesso».
«L’uscita dall’euro non risolverebbe in automatico i problemi dell’Italia, visto che, ad esempio, rimarrebbero le questioni derivanti dalle politiche adottate dalla Germania. Ma non è comunque corretto collegare le conseguenze di un’eventuale uscita da Eurolandia al venir meno della lealtà e fedeltà come membri dell’Unione europea. Finché l’Italia resterà nell’euro non potrà espandere la massa di moneta in circolazione o svalutare: ecco perché si impone la necessità di decidere se rimanere o meno nella moneta unica, questione non facile da dirimere, perché la gente toglierà il denaro dai conti in banca prima che questo accada. Probabilmente, dovreste sostenere il costo di un’eventuale uscita, come avvenuto in Gran Bretagna (che non ha mai abbandonato la sterlina), ma dovete essere pronti a pagare questo prezzo».«Se l’Italia tornasse in grado di svalutare ci sarebbe sicuramente la possibilità di arricchirsi per chi togliesse in tempo i soldi dalle banche; ma, per la Gran Bretagna, è valsa la pena, perché poi ha avuto un andamento economico soddisfacente”. ”Tutto ciò non comporta automaticamente l’aumento o la riduzione della pressione fiscale. Però, in una certa misura, raccomanderei misure di sostegno ai redditi, per aumentare il potere d’acquisto della popolazione. Ma solo temporaneamente”. ”Se l’Italia dovesse uscire dall’euro alcuni grossi problemi continuerebbero ad esistere, perché la Germania continua a mantenere i livelli dei prezzi troppo bassi. E, se la Germania continuerà questo atteggiamento, cosa che non intende cambiare, anche per l’Italia continuerebbero le difficoltà di oggi».«Uscire dall’Euro significa fuggire, la crisi si può affrontare resistendo ad essa e combattendo, ma i Paesi che scelgono di combattere lo facciano considerando anche l’opzione della fuga. Mi sento però a disagio, come persona esterna, nell’offrire soluzioni, anche perché mi chiedo se abbiate abbastanza manager economici in grado di mettere in atto e gestire l’espansione che potrebbe esserci».
E passiamo ora a Christopher Pissarides, nobel per l’economia nel 2010, presidente del new Centre for Macroeconomics che dichiara “Abbandonare l’Euro” dopo esserne stato nel passato un fautore (clicca sul Titolo per vedere l’articolo integrale; sotto gli estratti piu’ significativi)
«L’Unione Monetaria ha creato una generazione persa di giovani disoccupati e dovrebbe essere dissolta». «Sono completamente stato ingannato. Allora, l’euro sembrava una grande idea, ma ora ha prodotto l’effetto contrario di quello che si aveva in mente ed ha bloccato crescita e la creazione del lavoro. In questo momento sta dividendo l’Europa e la situazione attuale non è sostenibile».«L’Euro divide l’Europa e la sua fine e’ necessaria per ricreare quella fiducia che le nazioni europee una volta avevano l’una all’altro. Non andremo da nessuna parte con l’attuale linea decisionale ed interventi ad hoc sul debito. Le politiche perseguite ora per salvare l’euro stanno costando all’Europa lavori e stanno creando una generazione persa di giovani laureati. Non certo quello che i padri costituenti avevano in mente».
CONCLUSIONI
Che’ l’EURO fosse un esperimento destinato al fallimento, c’era chi ce lo diceva gia’ nel 1971: L’Economista Kaldor nel 1971 spiegava con precisione millimetrica il perche’ l’Euro avrebbe fatto collassare il sistemaI nostri lettori sanno gia’ le ragioni della crisi: Esclusiva – L’Intervista in forma integrale all’economista Alberto Bagnai – Euro e CrisiAbbiamo visto che ogni studio ci dice che un ritorno a Valuta Nazionale e’ conveniente per l’Italia ( Esclusiva simulazione di cosa accadrebbe con Euro (con e senza austerity) e senza Euro ), ed un pessimo affare per la Germania ( Nove studi e rapporti a confronto sul break-up dell’Euro ).Abbiamo analizzato il perche’ della Crisi ( Capire la Crisi dell’Europa in 80 slides ), spiegato perche’ all’italia conviene uscire ( EURO: Analisi di dettaglio del perche’ all’Italia conviene uscire ), analizzato la svalutazione del 1992 ( Analisi della Svalutazione del 1992-1995 ) e spiegato perche’ necessario farne un’altra in termini difensivi (La necessità di una bella svalutazione difensiva ).Abbiamo demolito una per una le argomentazioni dei fautori dell’EURO ( Fact Checking alle argomentazioni pro-euro: smontiamole una ad una ).Infine abbiamo spiegato cio’ che i Nobel hanno ribadito, cioe’ che l’Euro e’ il vero nemico dell’Europa ( Meglio l’Europa o l’Euro ? ), e spiegato perche’ alla fine il Leviatano Sovietico-Burocratico crollera’ (Ecco perche’ la DISGREGAZIONE dell’EURO e’ lo scenario piu’ probabile).
By GPG Imperatrice
Mail: gpg.sp@email.it
Clicca Mi Piace e metti l’aggiornamento automatico sulla Pagina Facebook di Scenarieconomici.it
AFFONDEREMO TUTTI INSIEME APPASSIONATAMENTE
QUOTIDIANI SVIZZERI DENUNCIANO: FRANCIA IN DEFAULT. NON PAGA I DEBITI CON LO STATO SVIZZERO (DEVE MEZZO MILIARDO DI CHF)
venerdì 13 dicembre 2013
Lugano - L’affare del mezzo miliardo di franchi di imposte dei frontalieri che la Francia avrebbe dovuto pagare a diversi cantoni svizzeri in questi mesi (e che non sta pagando) oscilla fra due interpretazioni.
Prima ipotesi : la Francia esercita misure di ritorsione a seguito di un clima attualmente poco favorevole in Svizzera, trattandosi di un contenzioso fra vicini. Potrebbe anche trattarsi di pressioni a causa del dibattito sulla nuova imposizione franco-svizzera sulle successioni. Queste presunte intenzioni sembrano in realtà talmente mediocri che equivalgono a ridurre la nazione francese a livelli drammaticamente insignificanti.
Seconda ipotesi, più credibile (e che non esclude la prima) : la Francia si trova in default di pagamento. Non ha più i mezzi per far fronte ai suoi impegni finanziari, con l’aggiunta di una capacità di indebitamento molto ridotta. Questo significa che i redditi fiscali incassati che deve alla Svizzera stanno finendo nell’intervento armato nella Repubblica Centrafricana.
I sorpassi del bilancio dovuti alle operazioni militari esteriori della Francia, circa 1,25 miliardi di euro per il 2013, sono cominciati ben prima dei movimenti delle truppe venerdì scorso. In queste condizioni, le proteste in Svizzera per le fatture non pagate dalla Francia potrebbero ben presto sembrare fuori luogo. La Francia è in missione nel mondo, addirittura starebbe forse salvando l’Africa.
Dopo che di fronte alla Siria gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno deposto le armi per motivi economici, la cosa più importante oggi sembra essere non lasciare sola la Francia di fronte a questa immensa responsabilità. Questo semplice esempio fiscale localizzato rende l’idea dei vicoli ciechi nei quali è andato a fermarsi il mondo sviluppato.
(Fonte : agefi.com)
Iscriviti a:
Post (Atom)