IL RISOLUTORE
Se si vive nei pressi di una linea ferroviaria, presto non si “sentirà” più se passa un treno. La ripetizione dello stimolo causa insensibilità. La macchina umana decide una volta per tutte che quel rumore non è significativo e lo esclude dalla coscienza. Un fenomeno analogo avviene nelle lunghe situazioni drammatiche. Se in casa c’è una persona ammalata senza speranza, naturalmente si vive una tragedia, ma dal momento che la catastrofe nel frattempo non si verifica, alla lunga si vive in una sorta di normalità: tanto che quando l’ammalato effettivamente muore, per quanto strano possa sembrare, la famiglia accoglie il fatto come una sorpresa e ne soffre quasi come se si fosse verificato in modo imprevisto.
A tutto ciò si è indotti a pensare assistendo alla lunga agonia dell’economia europea e italiana in particolare. Ci sono tutti i segni di una malattia inguaribile – e infatti i governanti non riescono a vincerla – e tuttavia la quotidianità ci induce a dimenticare quella situazione. Il malato sembra condannato, ma è vivo. Naturalmente in ciò c’è un’esagerazione: checché accada – una guerra, un’epidemia, una gravissima crisi economica – la geografia non cambia e dopo ci saranno ancora le montagne, i fiumi, i campi e le città. La storia non si ferma. Come ogni pace è seguita da una guerra, ogni guerra è seguita da una pace. Dunque dalla crisi usciremo. Il problema è: come? quando?
Anche in questo gli esseri umani sono spesso vittime dell’illusione di essere i padroni della realtà. Perfino se si annuncia un cambiamento climatico, la prima domanda che comincia a circolare è: che cosa faremo, per evitarlo? E la semplice idea implica che si abbia la pretesa di influenzare il clima. Come se le glaciazioni del passato, e perfino la mini-glaciazione del XVIII secolo, si fossero avute soltanto perché l’umanità non era abbastanza sviluppata per difendersi. Nello stesso modo ci si aspetta che i governi pongano rimedio alla crisi nella quale siamo immersi. Si dimentica che è più facile creare un problema che risolverlo: e con l’euro l’umanità ha dato un’indimenticabile dimostrazione di quanto sia tristemente vero l’assioma.
In questo senso è pure ridicola l’ironia sui “Forconi”. È vero, hanno idee confuse, ma forse che i giornali, il Parlamento e il Governo hanno idee chiare? È triste vedere un popolo affamato disprezzato da un ben pasciuto establishment.
Malgrado ogni esperienza contraria, è difficile sradicare dalla mentalità umana il sogno dell’arrivo del Risolutore: qualcuno che ha l’idea vincente, che sappia separare le acque del Mar Rosso e condurre il popolo alla salvezza. Il bisogno di questo Risolutore è tale che la gente è disposta ad identificarlo nel primo che passa, perfino in un comico che si improvvisa politico o in un sindaco grande intrattenitore. Costoro vendono fumo, come tutti gli altri, soltanto lo fanno in modo allegro: gliene sia reso merito. E tuttavia, potrebbe obiettare qualcuno, dalle crisi si esce: e se non lo si fa guidati da un comico, da un sindaco, da qualche Mosè momentaneamente disoccupato, come lo si fa?
La risposta è che il malato senza speranza alla fine muore. Pensiamo alla storia della Germania. Dal momento in cui Hitler è andato al potere, il Paese si è avvitato in una spirale di dittatura sempre più spietata e di follia sempre più scatenata, tanto che non s’è vista resistenza capace di fermarla. Ma quello che non si è riusciti a fare dall’interno, malgrado i disperati tentativi dei vertici dell’esercito e malgrado l’attentato di von Stauffenberg, alla fine l’hanno fatto gli eserciti degli Alleati. Analogamente il Risolutore dei problemi europei, e in particolare dell’Italia, non è un uomo: è una situazione al di fuori della nostra volontà, acefala e ingovernabile. Irresistibile come la gangrena di un arto che finalmente convince il paziente ad accettare l’amputazione.
Se si guarda la realtà da questo punto di vista si capiscono molte cose. Il discorso di Enrico Letta alla Camera è sembrato vacuo? E che potere ha, il nostro Presidente del Consiglio, di modificare la realtà italiana? La nostra crisi è irrimediabile. Finché abbiamo un euro che è un letto di Procuste, un debito pubblico irredimibile, una pressione fiscale che ci stritola, un sistema produttivo anchilosato e quasi focomelico, perché mai dovremmo ripartire verso la prosperità? L’unica previsione – che certo non possiamo chiamare “speranza” – è che le cose vadano talmente male da indurre l’intero Continente a ripartire con altri parametri. Sperando che in questo cataclisma la democrazia si salvi.
Non bisogna farsi illusioni. Come dopo la Seconda Guerra Mondiale, la ricostruzione ci sarà, ma il Risolutore sarà spietato e il prezzo da pagare spaventoso.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
12 dicembre 2013
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