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mercoledì 31 luglio 2013

Lavoro, il M5S vuole tagliare l’Irap a chi assume 5 disoccupati: inspiegabile il no di Pd e Pdl


Scritto da Ilfattoquotidiano.it |
Pubblicato Mercoledì, 31 Luglio 2013 07:21
pd pdl no taglio irap

Si riempiono la bocca raccontandoci una marea di frottole sull’importanza del lavoro per far ripartire il “sistema paese” e su come ridurre la disoccupazione per rilanciare l’economia dei territori. Poi, all’atto pratico, si dimostrano i soliti cazzari: di fronte ad un emendamento del M5S sul taglio dell’Irap in favore delle imprese che assumono 5 disoccupati, arriva il no di Pd, Pdl, Lega e Scelta Civica. E nel frattempo c’è chi si suicida per mancanza di occupazione.


Un emendamento per favorire l’assunzione dei giovani senza lavoro, bocciato da Partito democratico, Popolo della libertà e Scelta civica. Il Movimento 5 Stelle in Senato ha proposto una modifica al decreto sul lavoro per favorire l’entrata nelle aziende dei disoccupati tra i 18 e i 29 anni che non ha trovato però l’appoggio delle altre parti politiche. La modifica numero 1219 del gruppo grillino a Palazzo Madama prevedeva: l’esenzione dal pagamento dell’Irap “per i datori di lavoro che assumano, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, cinque lavoratori che rientrino in una delle seguenti condizioni: siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi; siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale; vivano soli con una o più persone a carico. Il datore di lavoro è esentato dall’Irap per ciascuno degli anni di imposta in cui gli incrementi occupazionali raggiunti con la quinta assunzione vengono mantenuti”. L’incentivo sarebbe durato per cinque anni e non avrebbe potuto superare i 650 euro per lavoratore assunto. Per coprire l’emendamento, i 5 Stelle proponevano un aumento dal 26% al 27% della tassazione sulle rendite da capitale per i grandi patrimoni.
La bocciatura dell’emendamento ha scatenato molte polemiche. Così Sergio Puglia, senatore della Campania e primo firmatario dell’emendamento ha commentato: “Il Pdl si riempie la bocca tutti i giorni di tutela delle nostre impresee defiscalizzazione per chi assume giovani senza lavoro. Li abbiamo messi alla prova. Bene, anzi malissimo: a parte 2-3 dissidenti dal gruppo Pdl, tutto il partito berlusconiano, Pd e montiani hanno bocciato il nostro emendamento”. Un rifiuto che, secondo il senatore a 5 Stelle, sarebbe un segno di disinteresse verso il miglioramento delle condizioni di lavoro per gli altri partiti: “Il risultato delle votazioni parla chiaro a favore dell’emendamento del M5S hanno votato solo 64 senatori, 200 i contrari”. 
Non è il solo emendamento bocciato. A modifica del decreto sul lavoro, il Movimento 5 Stelle in Senato ha infatti proposto altre modifiche. Innazitutto il “ripristino delle garanzie previste dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori precedente alla legge Fornero“. Sara Paglini, segretario della Commissione lavoro ha commentato: “La demagogia del Partito Democratico tradisce di nuovo i lavoratori italiani”.  A favore dell’emendamento del Movimento 5 Stelle ha votato solo Sel. Si sono schierati contro le senatrici ed i senatori di Pd, Pdl, Scelta Civica e Lega. “Questa è la coerenza del Pd”, ha continuato Paglini, “Per mesi hanno parlato di articolo 18, raccolto firme ed oggi in aula non hanno avuto il coraggio di sostenere l’emendamento. In democrazia contano i fatti, non le parole e le promesse”.
Altro punto contestato riguardava l’estensione delle agevolazioni per le assunzioni previste dal decreto lavoro anche ai “laureati disoccupati da più di tre mesi“. L’emendamento è stato bocciato ancora una volta dalle altre parti politiche. “Il testo del Governo” – ha commentato Elisa Bulgarelli, senatrice M5S – “favorisce in maniera incomprensibile solo quelle persone in cerca di occupazione che siano prive di un titolo di studio superiore. Che senso ha? Che discriminazione è mai questa? I contributi non sono molto alti, ma non c’è alcuna ragione per supporre che non possano essere molto comodi anche per assumere un laureato. Adesso voglio vedere i nostri governanti venirci a parlare di ‘aiuto all’occupazione’”.

‘’Il Canestrato d’oro Moliterno’’ e lo sviluppo possibile

Riceviamo e pubblichiamo queste riflessioni inviate alla nostra redazione da Gaetano De Luca, lucano, che lavora nel settore dell'agroalimentare; dopo un'esperienza in Emilia Romagna nella progettazione e sviluppo in ambito rurale per un importante gruppo della cooperazione agricola, è tornasto in Basilicata. 

Da Siritide.it  30/07/2013



Nei primi giorni di Agosto ci sarà l’ennesima sagra del Canestrato Igp di Moliterno; il Pecorino dal nome ridondante per tradizione ma che stenta a decollare perché incapace di superare la frammentazione produttiva e di presentarsi con forza commerciale sui mercati di sbocco. 
Per una volta evitiamo di fare annunci e promesse; speriamo, invece, che l’evento possa costituire un punto di partenza per azioni concrete di rilancio di una filiera ormai rarefatta, presente solo sui tavoli della Regione Basilicata e in qualche fiera locale. 
Il Consorzio di Tutela raggruppa pochissimi soggetti rispetto al potenziale produttivo dei 60 comuni coinvolti nell’Igp e riesce al più a soddisfare le esigenze del mercato locale. 
Credo che ridurre la dialettica progettuale ad una mera risoluzione delle problematiche organizzative dei singoli Consorziati contribuisca a ridurre la filiera ad un sistema chiuso, poco imprenditoriale, privo di prospettive. Interrogarsi sulla necessità di nuovi modelli gestionali, non difendere a tutti i costi l’esistente, mettersi in discussione è essenziale per costruire nuovi punti fermi per il futuro. 
Il ‘’ Canestrato Igp’’ va salvaguardato non semplicemente per le proprie qualità eccellenti da un punto di vista gastronomico; ma perché insieme agli altri prodotti tipici può costituire il punto di partenza per uno sviluppo equilibrato dei nostri territori che esalti la vocazione ambientale e la qualità come motore di crescita e distintività. 
Chi scrive ha provato a mettere al servizio della comunità la propria esperienza in ambito agroalimentare, sono stati due anni ostinati di duro lavoro nel tentativo di creare una visione imprenditoriale di filiera che crei opportunità reali per il territorio ma, troppe volte mi è sembrato di lottare contro i mulini al vento: divisioni inspiegabili, ostruzionismo avvilente stanno rallentando i necessari processi di riorganizzazione della filiera. 
Ma per carattere non mi arrendo mai per questo ho pensato di scrivere la mia a pochi giorni della rinomata sagra del pecorino Canestrato Igp. 
E’ falsa l’assunzione che il nostro oggi sia un prodotto di nicchia, il nostro è semplicemente un non prodotto; perché non rispondente a quei criteri minimi di volume e omogeneizzazione qualitativa. 
Eppure, sono circa 3.000.000 di euro i fondi del Po Val d’Agri stanziati in infrastrutture a servizio della filiera di cui beneficerà principalmente il Comune di Moliterno. 
Insomma, probabilmente si costruiranno degli ottimi contenitori privi però di sostanza imprenditoriale col rischio di creare infrastrutture utili più ai progettisti che al territorio. L’esiguità dei soggetti coinvolti nel processo rischiano di rendere poco impattante per la collettività l’intervento sulla filiera; con risorse spropositate rispetto al numero dei beneficiari coinvolti. 
Senza l’avvio di un processo di ruralità organizzata in grado di garantire volumi e qualità mettendo in moto nuove energie che abbiano la cultura del mercato e della diversificazione difficilmente si potrà invertire la rotta. 
Penso ad una Cooperativa che sia in grado rendere la filiera credibile per organizzazione, qualità e potenziale pervasivo; che costituisca un opportunità di mercato non solo per gli attuali aderenti al Consorzio di Tutela, ma che si presenti come un canale redditizio per l’intero tessuto ovi-caprino, senza violentare la discrezionalità imprenditoriale dei singoli che devono poter essere imprenditori di sé stessi e decidere le sorti della propria organizzazione imprenditoriale. 
Qualsiasi sostegno pubblico può essere utile nella misura in cui sussista un governo unitario reale del prodotto che sia in grado di fare sistema. 
Oggi le risorse ci sono; da quelle previste dal Po Val d’agri; a quelle dirette alla valorizzazione di alcuni operatori già aderenti al Consorzio di Tutela; (come nel caso del progetto ‘’Ricamo’’ Misura 124 Psr 2007-2013); a quelle potenzialmente attivabili dal ‘’Gal di zona’’ sul versante della promozione dei prodotti tipici. 
E’ sufficiente ripartire da una governance unitaria e condivisa tra pubblico e privato provando a superare il limite di filiere poco organizzate, di difficile concepimento, partorite sulla base di istanze politiche e poco imprenditoriali.

Rileggiamo la Storia


La vera storia dell'unità d'Italia in 2' a cartoni animati


                           

Noi, oppressi dal debito: gli schiavi di Roma stavano meglio

Da una parte l’umanità e dall’altra il denaro – che ha vinto la sua guerra millenaria, e ora impone la sua legge dura e spietata. Se Roma evitava almeno di spillare tasse agli schiavi, a spremere anche loro provvide il feudalesimo, cioè la condizione storica alla quale stiamo tornando, come “profetizzato” in tempi non sospetti da Giuliano Amato. Di questo passo, con l’eclissi storica della sovranità, non ci saranno più diritti di nessun tipo: cittadini e popoli saranno semplicemente ridotti a chiedere l’elemosina, pronti anche a combattere le guerre di clan organizzate dei nuovi imperi. Analisi storica suggestiva, firmata dall’economista greco Dimitris Kazakis: che, attraverso fonti eterodosse – da Tacito a Engels, fino a Hitler – “spiega” che il dramma nel quale stiamo sprofondando, in primis come Eurozona, è paragonabile soltanto al più spaventoso cataclisma della storia dell’Occidente, ovvero la caduta dell’Impero Romano.
Punto di partenza, proprio la decadenza di Roma, che era «una specie di Unione Europea dell’epoca»: mentre «trasformava i suoi sudditi in schiavi catenesmidollati», la società iniziava a disintegrarsi, a causa «della classe dirigente più spietata e parassitaria che il mondo avesse conosciuto fino ad allora». Addio alle virtù che avevano fatto la grandezza di Roma: abilità personale, coraggio, amore per la libertà e istinto democratico del popolo, «che considerava tutti gli affari di Stato come propri». Al loro posto c’era «un parassitismo senza precedenti», mentre la folla «riusciva a sopravvivere grazie a opere di carità nel mezzo di guerre civili tra le fazioni dei governanti». Non era la frusta che soggiogava gli schiavi, i plebei e la miriade dei proletari, non era il carnefice che li costringeva a vivere una vita servile sotto i piedi dei signori. «Dove non c’è coraggio e amore per la libertà i tiranni non hanno bisogno della frusta, né del carnefice: il posto della frusta lo presero le insopportabili tasse e il debito usurario», scrive Kazakis in un intervento ripreso da “Come Don Chisciotte”.
«Per sfuggire al peso insopportabile delle tasse, molti piccoli agricoltori preferivano vendersi come schiavi, in quanto questi ultimi non pagavano tasse e la libertà dall’esattore era più dolce come motivazione rispetto a quella della libertà personale», spiega Kazakis, che in Grecia è oggi segretario politico dell’Epam, il “Fronte Popolare Unitario”. Nel primo periodo della Repubblica Romana, continua l’economista, la servitù per debiti (“nexum”) era accettata: il mutuatario poneva se stesso o un membro della sua famiglia come garanzia nel caso in cui non potesse pagare il debito. Ma l’usura era inaccettabile, così come il maltrattamento dei debitori insolventi: fu addirittura abrogato per legge nel 326 avanti Cristo, come ricorda Tito Livio. «Tuttavia, man mano che l’usura si trasformò in una delle attività d’arricchimento preferite dei governanti dell’antica Roma, i tribunaliDimitris Kazakisemettevano delle sentenze che trasformavano i debitori che non potevano pagare i loro debiti in schiavi del creditore».
Da subito, aggiunge Kazakis, il peso del debito cominciò a cadere sugli strati plebei dell’antica Roma: «Quando nel 133 a.C. i fratelli Gracchi e i loro seguaci cercarono di “tagliare” i debiti dei plebei, la classe dirigente che controllava il Senato rispose con la violenza, uccidendo, mutilando e bruciando i loro nemici in una aperta guerra civile». L’ultimo tentativo organizzato per farla finita con la morsa del debito per i plebei fu la cosiddetta cospirazione di Catilina nel 63-62 avanti Cristo: «Chiunque avesse avuto il coraggio solo di parlare di cancellazione dei debiti faceva una brutta fine, mentre alle reazioni delle masse seguivano sempre stragi e guerre». Nei suoi “Annali”, lo storico romano Tacito scrive che «la maledizione dell’usura era in effetti vecchia come Roma e costituiva sempre la ragione più comune per la rivolta e la discordia».
Poi, nel quinto secolo dopo Cristo, l’economia di Roma era ormai crollata. «Sollevazioni frequenti e guerre civili, così come gli innumerevoli affamati che si accumulavano nelle città, costringevano molti a fuggire verso la campagna». E quando il numero degli schiavi che non pagavano le imposte imperiali proliferò al punto che le casse dello Stato «non erano più in grado di raccogliere ciò che era necessario per finanziare lusso, parassitismo e guerre della cricca imperiale», venne messo a punto «un nuovo sistema di schiavitù». Prima mossa: «Fu vietato vendere se stessi come schiavi». Conseguenza: «Si moltiplicarono i debitori». E così il debitore, «legato per forza ormai al creditore, era molto spesso costretto a lavorare un pezzo di terra cedutogli (dal prestatore-signore) affinché ripagasse il debito». Passaggio chiave: «Così lo schiavo diventò un servo della gleba che ora poteva essere tassato, mentre l’opera sua e quella della sua famiglia così come il prodotto della terra appartenevano al signore, fino al pagamento del debito». Ma dato che il signore controllava il debito, il servo era certo che Servi della glebanon avrebbe mai potuto ripagarlo – né lui, né i suoi figli, né i figli dei suoi figli.
«Con questo sistema della servitù del “debito del peone”, come anche si chiama, entrò nella scena storica il feudalesimo: il piccolo proprietario terriero e artigiano di un tempo, che dominava la scena nella vecchiademocrazia di Roma, era stato sostituito dal servo dello Stato e del sovrano, avendo perso tutto, insieme alla voglia di vivere». Il nuovo schiavo, aggiunge Kazakis, «era diventato il mendicante dei potenti, e i mendicanti non esercitano né rivendicano diritti: semplicemente, sopravvivono grazie alla magnanimità del potente e del potere. Ecco perché le popolazioni che nella storia sono state ridotte allo stato di mendicante, non sono mai state in grado di niente di meglio che venire alle mani, saccheggiare in stragi reciproche e servire i tiranni». Con la società imperiale romana nel declino più assoluto, senza forze sociali disponibili a rovesciare il regime in bancarotta, non era rimasto altro che le incursioni di orde barbariche. Scrisse giustamente Friedrich Engels: «Ciò che di vivo e di vivificante che i tedeschi hanno dato al mondo romano era barbaro». In effetti, «solo i barbari possono ridare vita ad un mondo che giace tra le braccia di una civiltà morta».
Molti anni dopo citò Engels un altro socialista tedesco, Paul Lensch, sostenendo la partecipazione alla guerra mondiale causata dal Kaiser tedesco: «Ci chiamano barbari, molto bene! I nostri antenati erano ancora barbari quando hanno reso un grande servizio all’umanità, frantumando l’Impero Romano a pezzi e aprendo la strada allo sviluppo storico che sembrava trovarsi in una situazione di stallo, uno sbocco di grande significato storico per tutto il mondo». E cosa ha permesso alla «razza tedesca» di «svolgere la sua missione nella storia del mondo», infondendo «nuova vita» in Europa? «Quello che ha proclamato Engels: esclusivamente la loro brutalità». In piena Prima Guerra Mondiale, osserva Kazakis, i socialdemocratici tedeschi concepivano la guerra «come una battaglia per Paul Lenschl’affermarsi della civiltà globale», schierandosi «a favore di chi sembrava ai loro occhi come il meno brutale».
Su un punto, dice Kazakis, i tedeschi avevano ragione: nei momenti più cruciali della storia del mondo, hanno potuto «ricattare gli sviluppi globali con il quasi esclusivo uso della loro più sfacciata barbarie». Ieri il nazismo, oggi il super-potere oligarchico di Bruxelles, agli ordini di Berlino. Leva strategica: l’Eurozona, che costringe la federazione europea ad unacrisi senza precedenti, facendole vivere «giorni simili a quelli dell’ultima Roma». E’ un fatto: «Il tremendo declino che copre tutto come cenere, uccide tutto ciò che è vivo nelle società sviluppate degli Stati membri». Un’atmosfera soffocante, «dove tutto è deciso da qualche parte lontana, inaccessibile, con i popoli a perdere anche la voglia di vivere: se non sono già convertiti, certamente si trasformano in subordinati, in miseri sudditi, capaci solo di chiedere l’elemosina».
L’assolutismo, per come si è ora stabilito in Europa, «può confrontarsi storicamente solo con la decadenza di Roma». Ovvero: «I popoli europei perdono lentamente la loro identità, le loro radici e la loro storia per divenire misere ombre dei loro lontani se stessi, uniformi cliché di consumatori e cittadini del mercato, capaci solo di sopravvivere in un mondo virtuale che viene creato quasi esclusivamente da società di marketing e sinistre autorità sovranazionali». E ancora: «L’abiura della nazione, l’alto tradimento, il collaborazionismo che una volta i popoli, le nazioni e gli Stati consideravano come dei peccati estremi, oggi vengono considerati come pratica comune, che non scandalizza più di tanto, né a destra né a sinistra: si tratta del prodotto necessario per la catalisi dello Stato nazionale e l’imposizione di un supposto “internazionalismo”, che in pratica e come ideologia coincide con la prevalenza di frontiere aperte, Hitlermercati aperti e società aperte alla promiscuità dei capitali a livello globale».
Tutto ora ha il suo valore di scambio nei mercati dei capitali nel mondo, «anche l’onore personale e la dignità». Continua Karakis: «Non ci sono diritti e quindi non ci sono rivendicazioni. Non c’è bisogno di lotte. C’è solo la legge del pugno e del potere». E in un mondo in cui non sono più riconosciuti i diritti delle persone, non è riconosciuto il diritto all’autodeterminazione e alla sovranità democratica, «allora non ha senso neanche il tradimento: ciò che i collaborazionisti presentano oggi come un atteggiamento responsabile, la sinistra apparentemente rivoluzionaria giustifica con il familiare “è il capitalismo, stupido!”». La storia ha dimostrato che le nazioni che hanno deposto le armi senza essere state assolutamente costrette, preferiscono in seguito accettare le peggiori umiliazioni e fare le concessioni più umilianti, piuttosto che lottare per cercare di cambiare il loro destino. Chi l’ha detto? Adolf Hitler. Kazalis lo cita senza imbarazzo: «Un vincitore prudente, quando possibile, non vorrà far valere i suoi diritti sui vinti tranne che a rate. Può allora essere sicuro che una nazione che ha perso la sua forza di carattere, e tale è ogni nazione che si sottomette volontariamente, non troverà alcuna ragione sufficiente in ciascuna di queste oppressioni dettagliate per ricorrere alle armi ancora una volta».
Così, scriveva letteralmente il “führer”, più i ricatti vengono accettati con piacere, e meno sembrerà legittimo agli occhi del popolo il tentativo di difendersi da una nuova oppressione, apparentemente episodica, dopo anni di passività. La caduta di Cartagine è l’emblema dell’auto-dissoluzione di un popolo, e lo stesso Clausewitz sostiene che «la macchia di una vile sottomissione non sarà mai cancellata». Il veleno della resa «sarà paralizzante e indebolirà la volontà delle generazioni future», producendo nuova schiavitù. Da Hitler a Giuliano Amato il salto è notevole, ma Karazis cita proprio l’ex premier socialista italiano – allora vicepresidente della Costituente Europea – per replicare al governo di Atene, ridotto a obbedire ai diktat della Troika sacrificando il popolo greco. Kazakis cita un’intervista di Amato realizzata da “La Stampa” il 3 luglio del 2000. Amato è più che esplicito: «In Europa si ha la necessità di agire con i “come se” – come se fosse cosa di poco conto ciò che si sta cercando per ottenere molto, come se Amatogli Stati rimangano sovrani per convincerli a rinunciare alla loro sovranità».
Un’ammissione: l’Unione Europea mente ai popoli e ricorre all’inganno. «La Commissione di Bruxelles, ad esempio, dovrebbe agire come se fosse uno strumento tecnico, per essere in grado di funzionare come un governo. E così via, per mascherare e nascondere». E attenzione: «La sovranità perduta a livello nazionale non va a qualche nuova entità», ma viene semplicemente «consegnata a delle entità senza volto: la Nato, le Nazioni Unite e alla fine l’Unione Europea». La nuova entità «è senza volto», e quelli che ne hanno in mano le redini «non si possono vedere, né sono eletti». I federalisti – aggiunge Amato – credono ancora che, rimuovendo dai loro Stati-nazione la sovranità, essa si trasferirà ad un livello superiore. «Questo è il loro errore. La verità è che il trasferimento della sovranità la farà evaporare, scomparire». Al posto degli Stati sovrani ci sarà «una moltitudine di autorità a diversi livelli di collegialità, ognuna delle quali sarà a capo di diversi interessi organizzati di persone: livelli che includono campi non specificati di autorità, che condividono il potere con altre autorità».


Oggi, conlcude Kazakis, il debito e le selvagge politiche di adattamento sono i metodi di base – al posto della frusta, della carota e della guerra aperta – con i quali si tenta di imporre ai popoli questa logica di obbedienza volontaria. Lo scenario è tetro: siamo passati «dall’era dei movimenti popolari, operai e sociali che avevano come punto di partenza la difesa dei loro diritti», ad una situazione «di popolazioni senza volto», alla mercé dei mercati. Il governo greco agli ordini di Bruxelles? In confronto, «lo psicopatico killer con la sega elettrica sembra una caricatura». Atene sostiene che, fuori dall’euro, «saremmo come l’Egitto»? Fosse vero, replica Kazalis: almeno, il Cairo ha «cancellato i debiti di Mubarak». Un augurio che suona come una minaccia: il governo di Atene può sperare «che non si svegli il Greco», perché un giorno la furia del popolo potrebbe travolgere l’oligarchia che ha ridotto un paese di cittadini al rango di servi della gleba, cioè peggio degli schiavi dell’Impero Romano.

Un Europa unita solo a parole....

Perazzoli: "In Germania fino a 1850 euro al mese, in Europa solo l'Italia non ha il reddito di cittadinanza"

di Ignazio Dessì

L’asse Monti-Fornero batte la lingua sul tamburo intonando il mantra “più licenziabilità più posti di lavoro per i giovani” e il magico cilindro governativo sputa fuori un nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori frutto della mediazione con la politica. Ma nella realtà proliferano gli esodati, i disoccupati e i disperati che si suicidano. La società italiana è in fermento e la categoria lavoratrice sembra percossa da un senso di impotenza. Del resto dopo il licenziamento si avrà diritto a 12 mesi di indennità (Aspi) e poi si finirà sulla strada. Così quando per forzare la mano e far passare le riforme auspicate dal trionfante mercato molti esponenti del governo fanno riferimento a quanto esiste in Europa dimenticano quella parte di tutela sociale (la più importante) che il Vecchio Continente offre ai cittadini. In primo luogo il Reddito di cittadinanza che nel resto d’Europa è considerato un diritto fondamentale e solo l’Italia, insieme alla Grecia e all’Ungheria, continua a negare. Dell’argomento abbiamo parlato con Giovanni Perazzoli, penna di punta di Micromega, direttore di Filosofia.ited autore di alcune illuminanti pubblicazioni sull’argomento.
Senta professore, il governo Monti è molto impegnato a introdurre più flessibilità in uscita (leggi licenziamenti) paventando l’esigenza di un allineamento alla disciplina vigente in Europa. A questo proposito lei ha scritto però che in Italia manca l’ABC dello stato sociale, ci può spiegare meglio questo suo grave giudizio? “Nel numero appena uscito di MicroMega porto una serie di esempi di che cosa è l’abc dello stato sociale in Europa, dove si può vivere anche senza un posto di lavoro. Questo perchè in Italia ci si ostina a non dare importanza al reddito minimo garantito. Sembra si tratti di un fatto marginale, si minimizza. Solo la trasmissione Report, una volta, ha mandato una troupe televisiva in Germania per raccontare di che cosa si tratta realmente. Il risultato di questa ostinata negazione dei fatti è che l’opinione pubblica non sa reagire di fronte a quello che per gli altri cittadini europei è un assurdo: la flessibilità estrema, senza garanzia del reddito e dell’alloggio. Bisogna capire che il reddito minimo garantito è il fondamento del welfare state europeo, la base del cosiddetto “modello europeo”.
Ci può fare un esempio di cosa significa l’applicazione concreta di questo modello? Si cita continuamente, per esempio, il modello tedesco. Come funziona in quel Paese il welfare?“Le dico solo questo, una donna tedesca disoccupata, sola, con tre figli e un affitto di 500 euro, riceve dallo stato 1850 euro al mese. L’affitto nel caso specifico è basso, ma lo stato si impegna a pagare un affitto medio, quindi questa signora potrebbe avere di più in relazione all’affitto da pagare. Lo stato paga poi il riscaldamento e l’acqua calda”.
In Italia addirittura si afferma che il welfare sarebbe in realtà tramontato, finito, esaurito.
“Si tratta di una mistificazione. Quando si parla degli aggiustamenti al welfare state attuati nei vari paesi, ci si dovrebbe rapportare al punto di partenza. Ma questo non lo si fa, anche perché l´abc, per così dire, del welfare appare inimmaginabile in Italia. Per avere un’idea della realtà dobbiamo pensare che la Corte Costituzionale tedesca ha giudicato come parzialmente incostituzionale la riforma restrittiva del cancelliere Schröder, dopo il ricorso di una famiglia – padre, madre e una figlia – perché doveva vivere con soli 850 euro al mese (e naturalmente affitto e riscaldamento a carico dello stato). Una somma di 850 euro in Italia è uno stipendio, da cui si deve anche cercare di far uscire l’affitto e tutto il resto. Inoltre, la vita in Germania (controllate con Internet) costa meno che nel nostro Paese. Ci scandalizziamo del fatto che negli Usa non esista una sanità pubblica: in Europa si scandalizzano per l’assenza in Italia di un reddito minimo garantito. Negli Stati Uniti Michael Moore però ha raccontato in un film che cosa significa non avere un sanità pubblica; in Italia nessuno tocca il tema del reddito minimo garantito”.
Del modello tedesco quindi si tenta di prendere solo quello che fa comodo?“Poche cose dimostrano cattiva fede come la campagna di stampa a favore del cosiddetto “modello tedesco”. Davvero l’ipocrisia è l’omaggio del vizio alla virtù. Perché non si segue per intero la realtà di quei paesi? Per fare chiarezza sul punto specifico del reddito minimo garantito bisogna partire da una distinzione su cui in Italia si è creata, in modo più meno volontario, una grave confusione”.
A quale confusione allude?“In tutta Europa, e non solo in Germania, ci sono due forme di trasferimenti in denaro per i disoccupati. La prima, quella più importante per il nostro discorso, è in senso proprio un sussidio di disoccupazione; riguarda coloro che non lavorano ma si impegnano a cercare un lavoro. Vale dunque anche per le persone che non hanno mai lavorato. Il sussidio a cui si ha diritto è illimitato nel tempo, finisce quando cessa la disoccupazione. Quindi è falso quello che si legge sui giornali quando scrivono che dura un periodo limitato. Il sussidio comprende, oltre all’affitto dell’alloggio e il riscaldamento, una serie di trasferimenti per i figli. La seconda forma di trasferimento non è un sussidio ma un’indennità di disoccupazione. Riguarda le persone che sono state licenziate o che hanno terminato un contratto. Hanno un’indennità di disoccupazione pari, in Germania, al 67% del precedente stipendio per circa 12 mesi (18 per coloro che hanno più di 55 anni)”.
La riforma degli ammortizzatori sociali auspicata in Italia è in linea con la filosofia europea?“La riforma degli ammortizzatori sociali avrebbe avuto un senso europeo se avesse introdotto il sussidio di disoccupazione. In Europa, terminata l’indennità, il lavoratore può avere un sussidio di disoccupazione (con l’affitto per l’alloggio), in Italia non c’è niente”.
E’ vero che in Germania lo stato interviene anche per integrare il reddito?“Sì. È un altro aspetto che deve essere sottolineato. Lo stato interviene in Germania come in tutt’Europa anche ad integrare il reddito di chi guadagna poco. Faccio l’esempio di un amico chitarrista jazz, che in Francia per avere un sussidio che integra il suo reddito deve dimostrare di aver lavorato una parte dell’anno. In questo modo, si tutelano una serie di professioni che non avrebbero vita facile sul mercato, oppure si tutela chi ha un lavoro che potrebbe essere remunerativo ma contingentemente non lo è abbastanza. Immaginate quante professioni potrebbero fiorire con questo sistema a tutto vantaggio dell’economia e della comunità. Il reddito minimo garantito tutela direttamente chi lavora e non solo chi è disoccupato. In generale, i corpi di ballo, le compagnie teatrali e tutti quei lavoratori che non guadagnerebbero “abbastanza” ottengono un’integrazione del reddito”.
Ma quello del reddito minimo garantito è uno schema comune a tutta l’Europa?“Lo schema del reddito minimo garantito è omogeneo in tutta l’Europa, e questo dovrebbe suscitare qualche domanda in Italia…”
Quali sono attualmente i Paesi europei che applicano il reddito di cittadinanza?“Facciamo prima a dire quelli che non lo hanno: Italia, Grecia, Ungheria. I paesi, guarda caso, della crisi! I paesi che hanno i sistemi migliori sono: Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Austria. Naturalmente, poi, ci sono i paesi scandinavi. Mi faccia dire, in proposito, che un’operazione di comunicazione davvero “geniale” è stata condotta in Italia a proposito del “modello danese”. Come per il “modello tedesco” si sono raccontate una serie di sciocchezze. La flexicurity esiste in Europa già da decenni anche senza “modello danese”.
E’ vero che la Ue, e la stessa Bce nella sua famosa lettera al governo italiano, raccomanda l’adozione del reddito di cittadinanza? In Italia di questo non si parla, nonostante si citi sempre qualsiasi auspicio della Bce alla stregua di un comandamento divino.“Appunto, questo è un caso esemplare di come viene trattato il tema in Italia. L’Europa raccomanda all’Italia di introdurre un reddito minimo garantito da almeno vent’anni. Nel documento europeo che cito suMicroMega, si dice chiaramente di introdurre un “reddito minimo garantito” senza limite di durata. Ma nulla è stato fatto. Ancora più clamorosa l’omissione di informazione nel caso della famosa lettera della Bce. Nel testo c’è scritto che insieme all’“accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti” l’Italia dovrebbe introdurre “un sistema di assicurazione dalla disoccupazione”. Fa pensare, no? Questa lettera è stata sotto i riflettori della stampa, ma nessuno ha notato questa richiesta. Perché? Per una curiosa convergenza ideologica e di interessi della destra e della sinistra. Poi c’è un altro aspetto, anche questo molto importante. Che sia proprio la Bce a raccomandare l’introduzione di un’assicurazione per la disoccupazione demolisce l’alibi di chi sostiene che non ci siano i fondi per realizzarlo. Il reddito minimo garantito è un passaggio essenziale per uscire dalla crisi. Un’altra occasione è stata la lettera con le 39 domande, al punto 21 si chiedeva se l’Italia stesse perseguendo l’impegno preso ‘a rivedere il sistema dei sussidi di disoccupazione, attualmente molto frammentato, entro la fine del 2011’. Nessuno ci ha fatto caso”.
Ha ragione il segretario della Fiom Maurizio Landini a porre il problema di un reddito minimo garantito? In Italia bisognerebbe prendere coscienza che questo è un diritto, più di quanto non lo sia quello delle banche di rastrellare soldi pubblici o dei politici di avere stipendi altisonanti?“Il segretario della Fiom ha perfettamente ragione. È surreale e ridicolo che lo si accusi di essere un estremista, mentre lui è in accordo con l’Europa, e addirittura con la Bce. In realtà, sono gli altri a volere tenere l’Italia dentro un isolamento medioevale e fuori dall’Europa. Il problema è che ci riescono benissimo per un concorso di fattori che vedono unite destra e sinistra”.
Che vantaggi comporta in un sistema economico-sociale l’esistenza di un reddito di cittadinanza?“Il primo importante vantaggio, naturalmente, è la giustizia sociale. Il reddito minimo garantito è un diritto soggettivo esigibile, nel senso che non c’è bisogno di alcuna mediazione sindacale o di altro genere per ottenerlo. La cassa integrazione è discrezionale, non universale, e riguarda solo un certo genere di rapporti di lavoro. Quello del reddito minimo garantito è un concetto completamente diverso. Per dirla in modo semplice: entri in un ufficio, metti una firma, e hai il tuo sussidio. Ora, il grande errore è ridurre il reddito minimo garantito a una forma di assistenza ai poveri. In realtà è un modo di pensare la società e il rapporto tra la vita di ciascuno e il lavoro. Ognuno può giocarsi meglio le sue carte. Le misure redistributive del reddito permettono inoltre di avere un’economia più vitale. Ha ricordato il premio Nobel americano Paul Krugman che la crisi ha una radice nell’aumento del divario tra ricchi e poveri, che ha assottigliato la classe media. L’Italia è uno dei paesi in Europa nel quale è più ampia la forbice del reddito tra ricchi e poveri. Del resto, è sotto gli occhi di tutti: non esiste una crisi europea, ma una crisi di alcuni paesi europei. La Germania e i paesi del Nord Europa, che hanno un forte stato sociale e dunque una ridotta forbice di reddito tra ricchi e poveri, non solo non sono in crisi, ma vanno economicamente bene e devono far fronte anche alle difficoltà degli altri paesi. Questo ci dovrebbe dire qualcosa. L’aspetto che dovrebbe far riflettere è che dove c’è un forte welfare state non c’è crisi. Invece, Grecia e Italia non hanno un reddito minimo garantito. Questo non spiega tutto, ma è uno degli aspetti che distinguono due tipi di società: una dove prevale la libertà individuale, la protezione sociale, la redistribuzione, l’altra dove invece fioriscono le rendite, i monopoli, il clientelismo. In realtà, la famosa “crescita” è un tipo di società. Poi c’è un altro aspetto importante: nei paesi dove non esiste il reddito minimo garantito il lavoro si trasforma in welfare. Il che dequalifica il lavoro, lo rende improduttivo. Penso alle assunzioni di massa che spesso sono una forma di clientelismo politico. Il reddito minimo garantito permette di scegliere il lavoro, e dunque di scegliere la vita che si preferisce. E permette anche di scegliere liberamente chi ci rappresenta. Ha un forte peso politico”.
La ministra Fornero ha dichiarato che dare la certezza di un reddito garantito porterebbe la gente ad adagiarsi e non cercare lavoro, a sedersi a mangiare pane e pomodoro. Perché lei sostiene invece che questa sicurezza crea fermenti positivi e più mobilità lavorativa e sociale?“Direi che l’inesistenza del reddito minimo garantito in Italia permette alla nostra classe politica di mangiare a caviale e champagne. Sarebbe molto più difficile per loro guadagnarsi il consenso di persone libere dal bisogno primario dell’esistenza. Nel merito, comunque, è vero il contrario: in una società più dinamica, più libera e sicura, aumenta la disposizione al rischio e a mettere alla prova le proprie idee sul mercato. Noto continuamente questo maggior dinamismo delle società nord europee. Ma soprattutto con la libertà dal bisogno diminuisce, e non è poco, il clientelismo politico, il potere dei potentati. La sorprenderò. Lo sa chi pubblica in Italia, Philippe van Parijs, ovvero uno dei più radicali sostenitori dell’utilità economica e sociale del reddito di cittadinanza? La casa editrice della Bocconi (Philippe van Parijs, Yannick Vanderborght, Il reddito minimo universale, Università Bocconi editore, 2006). Veramente, non parliamo di utopie".
Quindi il reddito minimo garantito fornisce stimoli all'economia?"Che il reddito minimo garantito permetta di vivacizzare l’economia è stato sostenuto da economisti neokeynesiani come da neoliberisti. Ma in Italia il problema non risiede né nel neoliberismo né nell’intervento neokeynesiano. Il nostro problema è a monte: un’economia relativamente moderna, e una classe politica e dirigente premoderna. La ministra Fornero ha fatto una curiosa giravolta. Intervistata da Lucia Annunziata ha sottolineato che l’assenza di un reddito minimo garantito era una deprecabile anomalia dell’Italia e della Grecia. Poi di colpo ha cambiato linea. Perché? Come si è svolta la trattativa sull’articolo 18? Questa è la domanda che dovremmo porci. Come verrà usata adesso la famosa “paccata di miliardi”, chi la gestirà, e per fare che cosa? In ogni caso, un margine di persone che non lavorano e che cadono nella “trappola assistenziale” esiste sempre, ma si tratta spesso di persone che andrebbero aiutate comunque. In ogni caso, l’adagiarsi senza fare nulla che paventa la Fornero nasce dal fatto di trasformare il lavoro in assistenzialismo, ovvero dalla dequalificazione del lavoro che viene trasformato in welfare clientelare. Cosa che produce enormi disservizi, persone frustrate e il potere politico che vediamo da anni”.
Ma secondo lei l’Italia può sostenere i costi di una simile eventuale rivoluzione degli assetti dello stato sociale?“Ho letto degli studi che sostengono che l’Italia addirittura risparmierebbe con il reddito minimo garantito. A parte le considerazioni sulla capacità di mettere in moto l’economia, sulla percezione del futuro che offre e che ha naturalmente una ricaduta economica positiva, bisogna considerare che lo stato italiano spende comunque dei soldi, ma in modo irrazionale o secondo delle logiche politiche. Poi c’è il discorso dell’ordine pubblico, perché la povertà e la percezione dell’abbandono produce anche delinquenza, criminalità grande e piccola; poi c’è il lavoro nero che sottrae risorse ecc. In ultima analisi, la Germania spende all’anno 27 miliardi di euro per il reddito minimo garantito. Noi abbiamo un’evasione fiscale di 130 miliardi all’anno. Dunque, fatti due conti, potremmo permetterci circa cinque volte lo stato sociale tedesco. Ma la Germania recupera il 70% dell’evasione fiscale…Noi no".
Così – lei scrive - si potrebbe davvero dar luogo a una liberalizzazione evitando che per trovare lavoro serva una tessera di partito, o si appartenga a una congrega di qualche tipo o che a ricoprire certi incarichi vadano sempre i figli di chi già svolge quel lavoro, ovvero che i figli dei medici facciano i medici e i figli degli operai siano costretti a fare gli operai. Ci chiarisce questo concetto?“L’ho detto prima: la “crescita” è un tipo di società. A parte le economie che crescono per il nuovo schiavismo e perché passano di colpo da un mondo premoderno a un mondo moderno (e comunque si tratta di una crescita indotta da fuori), in occidente crescono le società giuste. Le società dove esistono giustizia e libertà. Dove esiste il reddito minimo garantito la società si muove dal basso, conta la società civile, contano gli individui; la scelta democratica è meno inquinata dal bisogno. Pensi solo a questo, io lo ritengo molto importante: se le persone non sono libere dai bisogni primari della sussistenza non possono dire “no”. Saranno costrette a far parte di un sistema piramidale e autoritario, dove il merito e l’iniziativa originale tenderanno a scomparire".
Tutto dunque deve partire dal basso.
"Tutto parte dal basso. Anche nel lavoro precario aumenta la soggezione nei confronti di dirigenti, spesso incompetenti, che hanno un potere sproporzionato sulla vita delle persone. Questo tipo di subordinazione in realtà distrugge l’economia. In Italia si ha un’idea negativa dell’economia, come un campo dove esistono solo rapinatori e rapinati. Ma l’economia è tutto, è cultura, idee, servizi. Anche il mercato cambia a seconda delle idee. Dunque, non c’è solo un problema di continuità del reddito, c’è anche un’idea di società e anche di efficienza di sistema. Il liberalismo sociale, quello vero, lo ha insegnato: la libertà, la critica, l’iniziativa originale creano ricchezza. Le idee creano ricchezza, non la subordinazione. Ma ci sono poi ragioni anche più dirette. Se posso contare su una rete di sicurezza posso anche rischiare, studiare. Se sono il figlio di un operaio posso veramente giocarmi le mie possibilità. Non parliamo della panacea di tutti i mali, ma sarebbe un bel passo avanti".
Avere il reddito di cittadinanza significa anche essere più liberi?“Senza dubbio. Ed essere più liberi significa essere più felici, significa guardare diversamente al futuro. Io queste cose le conosco perché ho vissuto per molto tempo nell’Europa del Nord e ho visto delle società più tranquille, solidali, ma anche più dinamiche, dove realizzare i propri sogni sembra meno impossibile che in Italia. C’era un amico tedesco che ogni tanto partiva per qualche regione del mondo ad insegnare il tedesco. Mi ricordo che l’ho conosciuto che tornava dall’Islanda dove era stato per qualche mese. Quando non lavorava, aveva comunque un reddito grazie al sussidio, A lui stava bene così. Non guadagnava complessivamente da permettersi frenatati (e insensati) consumi, ma neanche gli interessava, non sentiva di perdere nulla. La sua scelta di vita era quella".
Lo ammirava?"Sì, mi ha sempre dato una grande idea di libertà”.

Il Futuro è la Democrazia Diretta

Casaleggio: “Partiti figure arcaiche, il futuro è la democrazia diretta attraverso la Rete”

Il cofondatore dei 5 Stelle intervistato da Gianluigi Nuzzi per il festival letterario 'Ponza d'autore': "Se Giorgio Napolitano chiedesse al M5S di entrare in un nuovo governo col Pd? Uscirei dal Movimento"


“Nei prossimi mesi, in Italia, ci saranno disordini e rivolte che la politica non potrà dominare. I partiti, ormai, sono strutture arcaiche: il futuro è la democrazia diretta attraverso la Rete”. Parola diGianroberto Casaleggio. Intervistato da Gianluigi Nuzzi per il festival letterario ‘Ponza d’autore‘, il cofondatore e ideologo del Movimento 5 Stelle racconta a 360 gradi la sua visione della situazione politica italiana. A partire da uno dei cavalli di battaglia del M5s: la fine dei partiti. “Saranno sostituiti – ha detto Casaleggio – La parola ‘democrazia digitale’ è una parola molto più ampia del concetto di democrazia diretta. Ed è la democrazia diretta che si sta imponendo. Si sta imponendo in modo diverso da quello del paese, ma ha già portato alla ribalta le istanze di moltissime persone che prima non partecipavano alla vita politica”. Una teoria avvalorata da quanto sta accadendo nel mondo con i movimenti di protesta. “Parlo degli indignados, Occupy Wall Streete in Italia il Movimento 5 stelle” ha sottolineato l’imprenditore, secondo cui democrazia diretta vuol dire “portare, spostare verso il cittadino il peso delle decisioni, della partecipazione e quindi sostituire l’attuale delega, che è una delega in bianco, al parlamento”. Per Casaleggio, quindi, la democrazia diretta è, quindi, “l’irruzione del cittadino nella vita politica, il cittadino diventa un politico in prima persona”.
A sentire Casaleggio, davanti a un cambiamento di tale portata, la Costituzione rischia di essere obsoleta: “Penso sia necessaria una rivisitazione per migliorare la carta costituzionale, non per sostituirla, quindi per andare ad accogliere istanze democratiche di maggiore democrazia” ha detto l’esponente M5s, che poi ha elencato tre dellle possibili modifiche da apportare : “Una è quella delreferendum propositivo e senza quorum, un’altra è l’elezione diretta del candidato su base circoscrizionale. Un’altra ancora è il discorso del vincolo di mandato, cioè l’abolizione della possibilità di un parlamentare di presentarsi con una coalizione, un partito, un programma e il giorno dopo tradire gli elettori cambiando casacca. Oppure l’abolizione del voto segreto. Se una persona viene eletta dai cittadini deve dire cosa vota e per chi vota”.
Parole nette, come netta è la considerazione del rapporto tra il successo di Beppe Grillo e il ruolo avuto dal web. “Beppe Grillo era già conosciuto ben prima dello sviluppo della Rete. Lui ha due caratteristiche, che sono la popolarità, già altissima prima della Rete, e poi la credibilità, perché con tutti gli attacchi che gli sono stati fatti è sempre uscito pulito” ha detto Casaleggio, secondo cui “queste due caratteristiche associate alla Rete hanno reso la sua figura molto più importante e capace di aggregare anche persone, idee, movimenti sul territorio che poi hanno creato quello che oggi può essere definito il M5S“. Che, però, negli ultimi tempi sarebbe in flessione, almeno a sentire i sondaggi elettorali. Per Casaleggio le cose non stanno così: “Ho visto sulla mia pelle che i sondaggi hanno dato valutazioni che poi non si sono dimostrate vere. A partire dalle elezioni politiche. Noi avevamo tutt’altra previsione che poi è stata quella che si è manifestata”. Insomma, per il cofondatore dei 5 Stelle se si andasse a votare oggi il movimento sarebbe in linea con il risultato delle politiche. “E se Napolitano chiedesse al M5S di entrare in un nuovo governo con il Pd?” ha chiesto Nuzzi, con Casaleggio che ha risposto con tre parole: “Uscirei dal movimento”.

Exit Ligresti, l’uomo che ebbe in pugno politica e finanza

Facile prendersela con il vecchio don Salvatore, ora che sembra davvero finito, dopo tante cadute e tante resurrezioni. L’hanno abbandonato tutti. Dove sono, oggi, quelli che l’hanno creato, usato e sostenuto per almeno tre decenni? Alcuni sono usciti di scena, altri no. Senza i suoi molti e potenti amici nella politica e nellafinanza, da Bettino Craxi a Silvio Berlusconi, da Enrico Cuccia a Cesare Geronzi, Salvatore Ligresti non sarebbe mai diventato Salvatore Ligresti. Mediobanca lo ha scaricato, certo: ma dopo averlo nutrito, dal 2003 al 2012, con l’incredibile cifra di 1 miliardo e 200 milioni per sostenere Fonsai. Unicredit ha chiuso i rubinetti, d’accordo: ma dopo aver assistito ai magheggi con cui gestiva le società a monte di Fonsai, Inco e Sinergia.
Viene da lontano, don Totò. Arriva a Milano sul finire degli anni Cinquanta, senza un soldo, con una laurea in ingegneria presa a Padova e un gran fiuto Salvatore Ligrestiper gli affari. Nato il 13 marzo 1932 a Paternò, in provincia di Catania, a Milano impara il mestiere da due compaesani diventati molto potenti: Michelangelo Virgillito, grande manovratore di Borsa nell’Italia del boom, e Antonino La Russa, senatore missino e padre di un Ignazio destinato a far carriera. Finanza e politica. E soprattutto buone relazioni. Da Michele Sindona rileva la Richard-Ginori, ricca di aree industriali da dismettere e valorizzare. Da Raffaele Ursini, l’uomo che riceve da Virgillito il gruppo Liquigas, eredita il primo pacchetto di Sai. Zitto zitto, Ligresti diventa uno degli uomini più ricchi d’Italia, entra nelle classifiche di “Forbes” e “Fortune”. Il suo campo è il mattone: compra a due lire aree agricole che poi la bacchetta magica di sindaci e assessori trasforma in preziose aree edificabili. Costruisce. Edifica le sue torri ai quattro punti cardinali di Milano.
Per riuscire a entrare nei giri che contano, compra piccole quote di società importanti, la Pirelli, l’Italmobiliare di Pesenti, l’Agricola Finanziaria di Gardini, la Cir di De Benedetti. Qualcuno comincia a chiamarlo “Mister 5 per cento”. Eppure don Salvatore fino alla metà degli anni Ottanta resta un oggetto misterioso, sconosciuto ai più. Diventa sui giornali il “re del Mattone”, il “padrone di Milano”, solo nel 1986, quando scoppia lo “scandalo delle aree d’oro” e si scopre che la giunta – sindaco Carlo Tognoli, Psi, assessore all’urbanistica Maurizio Mottini, Pci – ha spostato proprio sui suoi terreni il Piano casa, una variante di piano che cementifica il sud della Carlo Tognolicittà. E che la capo-ripartizione dell’Edilizia privata Maria Grazia Curletti (Pci) era spesso ospite dei suoi hotel.
Si dimette la giunta Tognoli e don Salvatore cade la prima volta. Per lo stillicidio di piccole condanne per abusi edilizi e, soprattutto, per la crisi di mercato: i suoi palazzi non si vendono, gli uffici restano vuoti. È il fallimento del modello “Milano da bere” di Craxi e Tognoli. L’indebitamento finanziario netto di Ligresti supera i 1.150 miliardi di lire, una dozzina di volte il patrimonio. Per uno senza santi in paradiso sarebbe il crac. Ligresti invece si salva. Nerio Nesi, allora presidente della Bnl, racconta di aver ricevuto nel 1987 direttamente da Craxi l’ordine di concedergli un grosso finanziamento. Dopo aver incassato un rifiuto, Bettino s’infuria: «Devi ancora imparare come si fa il banchiere!». Ma poi è nientemeno che Enrico Cuccia a correre in aiuto di don Salvatore, inventando un salvataggio da brivido.
Il presidente di Mediobanca nel 1989 impone la quotazione in Borsa della holding di Ligresti, la Premafin, chiedendo al mercato di sborsare i soldi necessari. Decide una valutazione di oltre 1.000 miliardi, 14 volte gli utili (eccezionali: 72 miliardi) di un anno che non si ripeterà mai più. Perché Cuccia ha fatto questo per don Salvatore? Perché era stato Ligresti ad accompagnare Craxi negli uffici di Mediobanca, stabilendo il primo contatto tra il leader socialista e Cuccia, utile per avviare, nel 1984, la privatizzazione di Mediobanca sotto la regia dello stesso Cuccia. Così si salva Ligresti, che risorge per la prima volta ed entra come alleato fedele e silenzioso nell’orbita di Mediobanca. Cade la seconda volta sul Golgota di Mani Pulite. Enrico CucciaIn un altro luglio fatale, quello del 1992, viene arrestato con l’accusa di aver comprato a suon di tangenti gli appalti della metropolitana milanese.
Nel 1993, nuova imputazione: mazzette per far gestire alla Sai tutti i contratti assicurativi dell’Eni. «Facci il nome, facci quel nome, mi ripetevano, e mi facevano una x con le dita». Così racconta in seguito agli amici don Salvatore, ricordando i lunghi mesi di galera. «Ma io quel nome non l’ho fatto». Il nome era quello di Craxi. I magistrati pensano che sia di Ligresti anche la misteriosa società estera All Iberian da cui era partita per Bettino la più grande tangente (21 miliardi di lire) mai pagata a un singolo uomo politico. Si sbagliavano: era di un suo concorrente, passato dal mattone alla tv: Silvio Berlusconi. Un concorrenteBerlusconi e Craxiche diventerà, da politico, amico e protettore.
Da Mani Pulite, Ligresti esce con qualche condanna e la sospensione dei “requisiti di onorabilità” necessari per guidare le compagnie d’assicurazione. Ma si rialza ancora. Nel 2002 s’impossessa di Fondiaria, la compagnia assicurativa fiorentina. La regia dell’operazione (e i soldi) sono della Mediobanca di Vincenzo Maranghi, che voleva sgambettare la Fiat. Ma ormai don Salvatore, fedele e silenzioso come sempre, si è messo nelle mani d’un altro banchiere, Cesare Geronzi. A mediare il rapporto con lui è Massimo Pini, passato da Craxi ad An in nome dell’interventismo della politica in economia. Quando Geronzi entra in Mediobanca e decide di far fuori Maranghi, la riunione cruciale avviene nella casa di Ligresti a San Siro. Poi anche Geronzi dovrà farsi da parte, spinto fuori dal nuovo patron di Mediobanca, Alberto Nagel, che per qualche anno sosterrà ancora Ligresti, fino al tramonto: troppi debiti, troppi trucchi. Ormai la parola è passata ai magistrati.
(Gianni Barbacetto, “Erano tutti pazzi di don Salvatore”, da “Il Fatto Quotidiano” del 18 luglio 2013, ripreso da “Micromega”).

martedì 30 luglio 2013

Usa, maxi-multa a JP Morgan: pagherà 410 milioni per ‘manipolazioni di mercato’

Il colosso finanziario ha patteggiato la somma per risolvere la controversia legata alla speculazione su alcuni derivati: l'accusa era di aver spacciato centrali elettriche in perdita per "incredibili fonti di profitto". L'indagine rientra nella stretta avviata dall'amministrazione Obama sulle operazioni poco trasparenti delle grandi banche

JP Morgan
JP Morgan verserà nelle casse dello Stato americano 410 milioni di dollari per porre fine alle accuse di aver manipolato il mercato dell’elettricità in alcune aree della California e del Midwest. Il colosso di Wall Street ha patteggiato la somma con la Ferc, l’autorità di vigilanza e di regolamentazione del settore elettrico negli Usa.
Grazie all’accordo non saranno più perseguiti i singoli manager di JP Morgan coinvolti nella vicenda, alcuni dei quali rischiavano di dover rispondere di ‘dichiarazioni false e ingannevoli pronunciate sotto giuramento‘, che in America costituiscono reato penale. Nel dettaglio, JP Morgan dovrà pagare una penalità di 285 milioni di dollari alla Ferc e ridare indietro agli investitori ingannati 125 milioni di dollari di mancati profitti. Secondo gli investigatori dell’amministrazione Obama, che hanno indagato per circa un anno, JP Morgan avrebbe speculato sul fronte di alcuni derivati, spacciando in California e in altre zone del Midwest degli Usa “centrali elettriche in perdita per incredibili fonti di profitto”, e causando così un sovrapprezzo di “decine di milioni di dollari in tariffe, molto oltre i prezzi di mercato”.
Inevitabile il parallelo con lo scandalo Enron, antesignano di altri scandali nel campo dei derivati finanziari che portarono alla crisi finanziaria del 2007-2008, partita in America con i mutui subprime e culminata col fallimento di Lehman Brothers. Non solo la vicenda di JP Morgan riguarda sempre il settore energetico, ma le centrali al centro delle indagini – oggi come allora – sono soprattutto in California. Senza contare che le operazioni incriminate venivano anche qui gestite da una squadra di trader basata a Houston, in Texas.
“Siamo lieti di metterci questa vicenda alle spalle”, è stato il commento di un portavoce di JP Morgan, che ha sottolineato come “questo accordo, grazie alle riserve messe da tempo da parte, non avrà alcun impatto sugli utili del gruppo”. Il caso di JP Morgan è solo l’ultimo della stretta che l’amministrazione Obama ha avviato mesi fa sulle operazioni poco trasparenti delle grandi banchequotate a Wall Street. Nel gennaio scorso fu Deutsche Bank a pagare 1,6 milioni di dollari, sempre per una vicenda di “scambi impropri” sul mercato elettrico in California. Più di recente è stato intimato al gigante britannico Barclays di pagare 470 milioni di dollari per sospetta manipolazione dei mercati energetici, sempre in California e in altri Stati dell’Ovest degli Usa. Barclays ha però deciso di continuare a difendersi dalle accuse.