Giulietto Chiesa: non azzardatevi a toccare il nostro oro
Dovrei parlare delle bombe di Boston, anche perché ho ricevuto numerose richieste di esprimermi in merito, ma non lo farò. Per due motivi: il primo è che non mi fido delle notizie finora giunte e di quello che dicono gli inquirenti di Boston, perché stanno emergendo – solo in Rete – particolari e interrogativi inquietanti circa preparativi o eventi che hanno preceduto di poco quelle esplosioni. Secondo la testimonianza di un noto maratoneta, un veterano, Alistair Stevenson, era in corso un’esercitazione con cani addestrati alla ricerca di bombe PRIMA che gli eventi diventassero drammatici, cioè prima delle esplosioni, e l’esercitazione fu addirittura annunciata con gli altoparlanti dalla polizia. La stessa notizia la fornisce il “Boston Globe”, anch’esso in Rete. La polizia smentisce; noi ne prendiamo atto, in attesa di notizie più precise, e fermiamoci qui. Il secondo motivo per cui parlerò d’altro è che sono in corso esplosioni molto più drammatiche.
Dio ci guardi da frettolose analogie, ma ricordo che pochi giorni prima dell’11 settembre 2011 ci fu chi giocò, alla roulette (pardon, alla Borsa) di Boston, sui “put options”, che sono dei “futures”, dei derivati, che concernevano – guardacaso – proprio le due compagnie aeree che qualche giorno dopo sarebbero state coinvolte negli attentati alle Twin Towers e al Pentagono, la United Aerlines e l’American Aerlines. Ci fecero dei soldi, sopra – molti, anche. Sicuramente una coincidenza, diranno alcuni, e non è escluso. Ma ora è avvenuta una cosa analoga con l’improvvisa vendita, qualche giorno fa – precisamente il 12 aprile, che anche stavolta è un venerdì: poi il sabato e la domenica tutto si chiude – di 100 tonnellate d’oro, e poi dopo qualche minuto di altre 200 tonnellate. La qual cosa ha prodotto un crollo del prezzo dell’oro su tutti i mercati mondiali fino al 25% e addirittura ben oltre. Si è trattato di una vendita di “carta”, di “future”, cioè di derivati, non di metallo. Ma 300 tonnellate equivalgono a circa il 15% dell’estrazione d’oro che si realizza in un anno intero, in tutto il mondo. E chi ha fatto la speculazione sapeva che sarebbe stato difficile pararla. Ma scoprire chi l’ha fatta sarà più difficile che scoprire chi ha messo le bombe di Boston.
Ovvio che quelli che se ne intendono hanno capito il messaggio, e sono corsi a comprare oro metallico, non “carta”. L’operazione serviva ad abbassare il prezzo dell’oro per permettere agli speculatori di comprare l’oro metallico a prezzi stracciati e poi attendere il tempo necessario per una formidabile rivalutazione dello stesso oro. Secondo una fonte insospettabile come Paul Craig Robertson, repubblicano, ex vicecapo del Tesoro con Ronald Reagan, certi “dealers” autorizzati per l’oro hanno ricevuto, poche ore dopo, richieste di acquisto 50 volte superiori alle offerte di vendita. Così si spiega la repentina attenzione mondiale sulle riserve auree. E così si spiegherebbe anche l’improvvisa decisione tedesca – risalente a gennaio – di riavere indietro le tonnellate di oro che sono depositate a Fort Knox: il 45% delle riserve auree tedesche sono appunto negli Stati Uniti, dai tempi della Guerra Fredda, il 13% sono in Gran Bretagna, l’11% in Francia. Cioè: le potenze vincitrici, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, si sono divise le riserve d’oro della Germania e se le sono tenute tutti questi anni nei loro caveau. Ed ecco che la Germania improvvisamente richiede la restituzione di tutto quell’oro. Cosa significa?
A mio avviso, significa che Berlino non si fida della tenuta del dollaro. Ecco perché rivuole indietro il suo oro, ed ecco perché gli Stati Uniti non glielo vogliono dare, o glielo daranno a pezzettini molto piccoli nel corso di vent’anni – questo sarebbe l’accordo che è stato firmato. Non so a che punto siamo con l’oro della Gran Bretagna e con l’oro in Francia: vedremo. Ma la domanda che mi pongo è questa: e l’Italia? Come stiamo, noi? Noi, che siamo indebitati di oltre due trilioni di euro, che cosa abbiamo a che fare con l’oro? Due cifre: noi abbiamo 2.452 tonnellate di oro che si trovano nel caveau della Banca d’Italia, in via Nazionale a Roma. All’incirca, il valore attuale è pari a 109 miliardi di euro. A quanto pare ne abbiamo altre quantità, anche noi, negli Stati Uniti, a Londra e a Basilea. Ma quante siano queste “altre quantità” fuori dai confini non è facile sapere, perché neanche la Banca d’Italia lo dice. In più, abbiamo circa 60 tonnellate d’oro, in Italia, che sono di proprietà della Banca Centrale Europea.
Siamo in preda a una delle più gravi crisi, forse la più grave, dell’Italia repubblicana. Gli avvoltoi che hanno guidato la politica finanziaria sono sopra le nostre teste e sono fuori controllo. Anche alla luce dell’esperienza di Cipro, dove l’esperimento di portare via l’oro dalla loro banca centrale per pareggiare i conti è già stato attuato, sebbene per soli 400 milioni di euro, al futuro governo dovremmo dire ad alta voce, in anticipo – e io lo dico qui perché più gente possibile lo sappia: non provate, in nessun caso, a toccare quell’oro. L’oro è italiano, e deve restare a disposizione degli italiani: 2.452 tonnellate possono essere molto utili in caso di emergenza, e c’è ragione di credere che siamo proprio in una situazione di emergenza. Cipro è a un passo dalla Grecia, e a due passi dall’Italia. Non dimentichiamolo.
(Giulietto Chiesa, “Non toccate il nostro oro”, video-editoriale editato da “Megachip” il 19 aprile 2013).
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