Il gip di Palermo, Riccardo Ricciardi, ha distrutto le conversazioni nel carcere dell'Ucciardone, dove erano conservati i file. Il via libera era stato dato dalla Cassazione, che ha ritenuto "inammissibile" la richiesta di Massimo Ciancimino di ascoltare le telefonate
Più informazioni su: Cassazione, Giorgio Napolitano, Massimo Ciancimino, Nicola Mancino,Trattativa Stato-Mafia.
Share on oknotizieShare on printShare on emailMore Sharing Dopo la sua rielezione al Quirinale, Giorgio Napolitano ha visto anche la chiusura della storia delle intercettazioni del Colle con l’ex ministro Nicola Mancino, registrate nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Tutte le conversazioni sono state, infatti, distrutte dal gip di Palermo,Riccardo Ricciardi.
La distruzione dei file audio è avvenuta nel carcere Ucciardone, dove si trova il server in cui i file erano conservati. Alle operazioni ha partecipato anche il tecnico della Rcs, la società che gestisce gli impianti di intercettazioni per conto della Procura di Palermo. “Le registrazioni hanno costituito un vulnus costituzionalmente rilevante” e per questo devono essere distrutte “con procedura camerale”, senza contraddittorio tra le parti, si legge nelle motivazioni della sentenza dellaCassazione, che aveva dato il via libera al macero, respingendo il ricorso di Massimo Ciancimino.
Quella delle intercettazioni tra il Colle e Mancino è una vicenda lunga, che ha visto numerose tappe. Le telefonate risalgono infatti a fine 2011, ma la storia è divenuta pubblica solo nel giugno scorso. Da lì il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale nei confronti della Procura di Palermo, poi il pronunciamento della Corte costituzionale a dicembre e infine la richiesta dei pm di Palermo al gip di distruggere le telefonate. Ecco però poi arrivare il ricorso di Massimo Ciancimino, che in quanto parte in causa ha chiesto, in virtù del diritto i difesa, di poter ascoltare le conversazioni. Richiesta ritenuta “inammissibile” dalla Corte di Cassazione, che ha dato quindi ilvia libera alla distruzione.
Il telefono sotto controllo su mandato degli inquirenti era quello di Mancino, in quella fase indagato e oggi imputato di falsa testimonianza: secondo i pm, l’ex ministro, insediatosi al Viminale il primo luglio 1992, sapeva della trattativa e avrebbe mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e pezzi di Cosa Nostra intercorsi nei primi anni ’90. Per lui e per altri undici indagati i pm hanno chiesto il rinvio a giudizio il 24 luglio scorso e l’udienza preliminare è in corso. Mancino, preoccupato per l’inchiesta che lo riguardava, ha compiuto diverse diverse telefonate contattando anche lo stesso Napolitano. Il Capo dello Stato ha ritenuto lese le proprie prerogative e laConsulta gli ha dato ragione.
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