Napolitano bis, Funeral Party
La
scena supera la più allucinata fantasia dei maestri dell’horror, roba da far
impallidire Stephen King e Dario Argento. Il cadavere putrefatto e maleodorante
di un sistema
marcio e schiacciato dal peso di cricche e mafie, tangenti e ricatti, si barrica nel sarcofago
inchiodando il coperchio dall’interno per non far uscire la puzza e i vermi.
Tenta la mission impossible di ricomporre la decomposizione. E sceglie un
becchino a sua immagine e somiglianza: un presidente coetaneo di Mugabe,
voltagabbana (fino all’altroieri giurava che mai si sarebbe ricandidato) e
potenzialmente ricattabile (le telefonate con Mancino, anche quando verranno
distrutte, saranno comunque note a poliziotti, magistrati, tecnici e
soprattutto a Mancino), che da sempre lavora per l’inciucio (prima con Craxi, poi con B.) e finalmente l’ha
ottenuto.
E
con una votazione dal sapore vagamente mafioso (ogni scheda rigorosamente
segnata e firmata, nella miglior tradizione corleonese). Pur di non mandare al
Quirinale un uomo onesto, progressista, libero, non ricattabile e non controllabile, il Pd che giurava agli elettori “mai al governo con
B.” va al governo con B., ufficializzando
l’inciucio che dura sottobanco da vent’anni.
Per non darla vinta ai 5Stelle, s’infila nelle fauci del Caimano e si condanna
all’estinzione, regalando proprio a Grillo l’esclusiva del cambiamento e
la bandiera di quel che resta della sinistra (con tanti saluti ai “rottamatori”
più decrepiti di chi volevano rottamare). La cosa potrebbe non essere un
dramma, se non fosse che trasforma la Repubblica italiana in una monarchia
assoluta e la consegna a un governo
di mummie, con i dieci saggi promossi ministri e il
loro programma Ancien Régime a completare la Restaurazione. Viene in mente il
ritorno dei codini nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, con la differenza che
qui non c’è stata rivoluzione né s’è visto un Napoleone.
Ma
il richiamo storico più appropriato è Weimar, con i vecchi partiti di
centrosinistra che nel 1932 riconfermano il vecchio e rincoglionito generale
von Hindenburg, 85 anni, spianando la strada a Hitler. Qui per fortuna non c’è
alcun Hitler all’orizzonte. Però c’è B., che fino all’altroieri tremava dinanzi
al Parlamento più antiberlusconiano del ventennio e ora si prepara a stravincere le prossime elezioni e salire al Colle appena Re Giorgio abdicherà.
A
meno che non resti abbarbicato al trono fino a 95 anni, imbalsamato e
impagliato come certi autocrati, dagli iberici Salazar e Franco ai sovietici
Andropov e Cernenko, tenuti in vita artificialmente con raffinate tecniche di
ibernazione e ostesi in pubblico con marchingegni alle braccia per simulare un
qualche stato motorio. Ieri, dall’unione dei necrofili di sinistra e del
pedofilo di destra, è nato un regime ancor più plumbeo di quello
berlusconiano e più blindato di quello montiano, perché è l’ultima trincea
della banda larga che comanda e saccheggia l’Italia da decenni, prima della
Caporetto finale. Prepariamoci al pensiero unico di stampa e tv, alla canzone
mononota a reti ed edicole unificate. Ne abbiamo avuto i primi assaggi nelle
dirette tv, con la staffetta dei signorini grandi firme che magnificavano l’estremo sacrificio dell’Uomo della
Provvidenza e del Salvatore della Patria, con lavoretti di bocca e
di lingua sulle prostate inerti e gli scroti inanimati delle solite cariatidi.
Le famose pompe funebri.
Ps. Da oggi Grillo ha una responsabilità
infinitamente superiore a quella di ieri. Non è più solo il leader del suo
movimento, ma il punto di riferimento di quei milioni di cittadini (di
centrosinistra, ma non solo) che non si rassegnano al ritorno dei morti morenti
e rappresentano un quarto del Parlamento. A costo di far violenza a se stesso,
dovrà parlare a tutti con un linguaggio nuovo. Senza rinunciare a chiamare le
cose col loro nome. Ma senza prestare il fianco alle provocazioni di un regime
fondato sulla disperazione, quindi capace di tutto.
Il
Fatto Quotidiano, 21 Aprile 2013
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