Le richieste delle parti sociali sono state ignorate e così è andata persa l'occasione di creare sviluppo e lavoro. Ora serve un tavolo col governo nazionale per una 'vertenza Basilicata'. È l'ultima occasione per questo territorio DI A.GENOVESI
di Alessandro Genovesi*
Quanto si sta consumando in queste settimane, dopo il decreto attuativo dell'articolo 16 della legge sulle liberalizzazioni (il cosiddetto “decreto petrolio”), rappresenta una palese ingiustizia, una beffa per la Basilicata(che contribuisce per oltre l'80% all'intera produzione nazionale di idrocarburi) e un errore politico e sociale gravissimo. Come Cgil, insieme a Cisl e Uil e alle principali forze imprenditoriali, lo abbiamo da subito denunciato - seguiti poi, con piacere, dagli stessi responsabili istituzionali che avrebbero dovuto “presidiare” l'emanazione del decreto del 23 settembre scorso e che forse, in quei giorni, erano distratti da altre vicende - chiedendo un tavolo a livello nazionale al ministro per lo Sviluppo Economico che, proprio a Potenza, si era impegnato ad affrontare in generale la questione di quale “ristoro” per la Basilicata in termini di interventi diretti per creare occupazione. Un tavolo dove – come afferma il documento comune di Cgil, Cisl, Uil, Confindustria e Pensiamo Basilicata – come parti sociali intendiamo porre le rivendicazioni “minime” per la nostra regione, a partire da una modifica radicale dello stesso decreto. Modifica necessaria per generare quelle risorse funzionali anche alle stesse proposte contenute nel Piano del Lavoro di Cgil, Cisl e Uil Basilicata.
Perché il decreto è un errore politico e sociale gravissimo? La Regione e la comunità avevano costruito e portato avanti (anche con momenti di tensione e con contraddizioni) una proposta che provava a tenere insieme: massima tutela ambientale possibile a fronte di un'attività comunque invasiva e salvaguardia del territorio (aumento delle estrazioni solo nei siti già concessi e non più autorizzazioni per nuove perforazioni); volontà comunque di contribuire alla nuova Strategia energetica nazionale per “governare” la transizione energetica verso Europa 2020 (con l'obiettivo della decarbonizzazione della nostra economia entro il 2050), con oltre 95 mila barili in più (24mila + 25mila dai due progetti Eni, 50mila dal centro oli di Tempa Rossa), passando dagli attuali 80mila a circa 175mila teorici.
Il decreto, però, non riconosce tale sforzo, in quanto non genera compensazione economica alcuna e quindi non “butta” quelle risorse necessarie (e già finalizzate nel documento Governo-Basilicata) a ripagare in termini di infrastrutture, nuova occupazione e (aggiungiamo noi) progetti di tutela e valorizzazione ambientale una delle poche Regioni che sta provando a governare il problema del fabbisogno energetico nazionale, senza pregiudiziali (a differenza di altre regioni dall'Abruzzo alla Puglia, dal Molise alla Campania, fino al Veneto e al Piemonte) ma anche senza ingenuità o subalternità (almeno per le forze sociali) alle grandi multinazionali del petrolio.
Il “trucchetto” per cui il decreto rimanda alla costituzione di nuove società (tra l'altro con Total che già dichiara che non ne costituirà) e introduce il prelievo fiscale solo su nuovi progetti presentati dopo il 24 settembre 2013, sono tutti punti che vanno fatti saltare, riconoscendo il prelievo su tutti i 95mila nuovi barili già previsti. Così come deve saltare il tetto dei 50 milioni di ristoro previsto dalla nuova norma che altro non è che un espediente per dire che il maggior gettito fiscale (se mai ci sarà) andrà nelle casse del ministro Saccomanni per il debito pubblico, quando altre risorse (e ben maggiori) potrebbero affluire alle casse dello Stato se solo si decidesse con coraggio di non prendersela con i più deboli (siano essi piccoli territori come la Basilicata o disoccupati o pensionati al minimo) ma di andare a cercare le ricchezze dove sono, nei grandi patrimoni o nelle tasche dei grandi evasori (il 5% degli italiani ricchi possiede il 32% del patrimonio nazionale, la grande evasione vale 30 miliardi l'anno ed è concentrata per il 76% nel Nord).
Quindi occorre un Tavolo nazionale per poter aprire una vertenza Basilicata che chiami tutti (governo nazionale, istituzioni locali, parlamentari lucani, forze sociali) ad un agire coordinato per modificare il decreto e per rivendicare una concentrazione delle risorse delle royalties (comprese quelle oggi destinate alla carta carburante), per 4-5 interventi sul fronte della creazione del lavoro e del rafforzamento del welfare (con l'istituzione di un unico strumento universale di sostegno al reddito legato all'inserimento lavorativo), perché – in sinergia con la riprogrammazione dei fondi comunitari 2014-2020 – si possano finalmente attrarre grandi player, con l'obiettivo di creare 5-6 mila posti di lavoro nel manifatturiero di qualità e nei servizi avanzati (una “nuova Sata”), “incastrando” su questo le stesse grandi aziende – dall'energia all'alimentare, dall'industria delle acque all'automotive – per far competere la Basilicata su pochi settori a forte valore aggiunto.
Questa è forse l'ultima occasione che abbiamo per i nostri giovani e le nostre donne, per governare una transizione demografica che non può vedere la desertificazione passiva del nostro tessuto sociale e culturale. E se la politica, i sindaci, i tanti protagonisti di queste giornate così convulse trovassero ora la forza per sostenere le rivendicazioni delle grandi forze sociali che hanno saputo ricercare e trovare una strategia comune per il bene delle nostre comunità (perchè siamo consapevoli che da questa crisi si può uscire solo con un generoso sforzo di “ricostruzione materiale e morale del Paese”, come sostiene lo stesso documento di Cgil, Cisl, Uil e Confindustria del 3 settembre per una legge di stabilità che metta al centro il lavoro, gli investimenti, il welfare) allora si potrebbe rispondere ancora meglio a quella domanda di buona politica, di rinnovamento, di moralità, di coraggio, di “politica al servizio del bene comune” che prepotentemente sale dalle fabbriche in crisi, dalle scuole, dalle piazze dei nostri paesi, dai tanti pensionati sempre più lasciati soli.
Noi, per portare avanti la rivendicazione di più lavoro, più occupazione, più welfare, a partire dallo stesso tavolo nazionale richiesto, faremo la nostra parte fino in fondo: uniti e determinati, pronti a difendere le nostre ragioni, lottando se necessario e chiamando il popolo lucano alla mobilitazione generale, sia se il tavolo non ci sarà presto dato, sia se dovesse risultare poco fruttuoso.
(* segretario generale della Cgil Basilicata)
Perché il decreto è un errore politico e sociale gravissimo? La Regione e la comunità avevano costruito e portato avanti (anche con momenti di tensione e con contraddizioni) una proposta che provava a tenere insieme: massima tutela ambientale possibile a fronte di un'attività comunque invasiva e salvaguardia del territorio (aumento delle estrazioni solo nei siti già concessi e non più autorizzazioni per nuove perforazioni); volontà comunque di contribuire alla nuova Strategia energetica nazionale per “governare” la transizione energetica verso Europa 2020 (con l'obiettivo della decarbonizzazione della nostra economia entro il 2050), con oltre 95 mila barili in più (24mila + 25mila dai due progetti Eni, 50mila dal centro oli di Tempa Rossa), passando dagli attuali 80mila a circa 175mila teorici.
Il decreto, però, non riconosce tale sforzo, in quanto non genera compensazione economica alcuna e quindi non “butta” quelle risorse necessarie (e già finalizzate nel documento Governo-Basilicata) a ripagare in termini di infrastrutture, nuova occupazione e (aggiungiamo noi) progetti di tutela e valorizzazione ambientale una delle poche Regioni che sta provando a governare il problema del fabbisogno energetico nazionale, senza pregiudiziali (a differenza di altre regioni dall'Abruzzo alla Puglia, dal Molise alla Campania, fino al Veneto e al Piemonte) ma anche senza ingenuità o subalternità (almeno per le forze sociali) alle grandi multinazionali del petrolio.
Il “trucchetto” per cui il decreto rimanda alla costituzione di nuove società (tra l'altro con Total che già dichiara che non ne costituirà) e introduce il prelievo fiscale solo su nuovi progetti presentati dopo il 24 settembre 2013, sono tutti punti che vanno fatti saltare, riconoscendo il prelievo su tutti i 95mila nuovi barili già previsti. Così come deve saltare il tetto dei 50 milioni di ristoro previsto dalla nuova norma che altro non è che un espediente per dire che il maggior gettito fiscale (se mai ci sarà) andrà nelle casse del ministro Saccomanni per il debito pubblico, quando altre risorse (e ben maggiori) potrebbero affluire alle casse dello Stato se solo si decidesse con coraggio di non prendersela con i più deboli (siano essi piccoli territori come la Basilicata o disoccupati o pensionati al minimo) ma di andare a cercare le ricchezze dove sono, nei grandi patrimoni o nelle tasche dei grandi evasori (il 5% degli italiani ricchi possiede il 32% del patrimonio nazionale, la grande evasione vale 30 miliardi l'anno ed è concentrata per il 76% nel Nord).
Questa è forse l'ultima occasione che abbiamo per i nostri giovani e le nostre donne, per governare una transizione demografica che non può vedere la desertificazione passiva del nostro tessuto sociale e culturale. E se la politica, i sindaci, i tanti protagonisti di queste giornate così convulse trovassero ora la forza per sostenere le rivendicazioni delle grandi forze sociali che hanno saputo ricercare e trovare una strategia comune per il bene delle nostre comunità (perchè siamo consapevoli che da questa crisi si può uscire solo con un generoso sforzo di “ricostruzione materiale e morale del Paese”, come sostiene lo stesso documento di Cgil, Cisl, Uil e Confindustria del 3 settembre per una legge di stabilità che metta al centro il lavoro, gli investimenti, il welfare) allora si potrebbe rispondere ancora meglio a quella domanda di buona politica, di rinnovamento, di moralità, di coraggio, di “politica al servizio del bene comune” che prepotentemente sale dalle fabbriche in crisi, dalle scuole, dalle piazze dei nostri paesi, dai tanti pensionati sempre più lasciati soli.
Noi, per portare avanti la rivendicazione di più lavoro, più occupazione, più welfare, a partire dallo stesso tavolo nazionale richiesto, faremo la nostra parte fino in fondo: uniti e determinati, pronti a difendere le nostre ragioni, lottando se necessario e chiamando il popolo lucano alla mobilitazione generale, sia se il tavolo non ci sarà presto dato, sia se dovesse risultare poco fruttuoso.
(* segretario generale della Cgil Basilicata)
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