di Emilio Carnevali
Da quando si è dimesso dalla magistratura, nel 2007, Gherardo Colombo ha passato moltissimo del proprio tempo libero viaggiando per l'Italia. Ha incontrato ragazzi e ragazze di scuole di ogni ordine e grado per discutere con loro di legalità, Costituzione, rispetto delle regole. Da magistrato ha forse avvertito i limiti di interventi concentrati solo sulle sanzioni "a posteriori": in assenza di un radicato "senso civico" - cioè di una cultura della legalità che sia patrimonio effettivo di un patto di cittadinanza largamente condiviso - non è infatti possibile prevenire e combattere davvero i fenomeni criminali, impedire che diventino l'ordinaria fisiologia di un ordinamento sociale.
Colombo, perché secondo lei è così importante parlare oggi della Costituzione? Non esistono problemi più urgenti dei quali occuparsi nel mezzo di una crisi economica così drammatica e devastante?
Io credo che le situazioni più drammatiche di fronte alle quali ci troviamo siano tutte legate - qualcuna più direttamente, altre più indirettamente - alla inosservanza della Costituzione. Se vogliamo andare a rintracciare la causa ultima di gran parte dei nostri mali, se vogliamo capire le ragioni della condizione così disastrosa in cui versa il nostro Paese, non possiamo non fare i conti con il mancato rispetto di quelle regole di convivenza che derivano dalla nostra Carta fondamentale. Quest'ultima si fonda innanzitutto sul riconoscimento della pari dignità di tutte le persone. Da ciò deriva anche il principio di uguaglianza, secondo il quale le nostre diversità - siamo tutti diversi l'uno dall'altro per genere, etnia, religione, convinzioni politiche, condizioni sociali, ecc. - non possono essere causa di discriminazione.
Dipende dal mancato rispetto della Costituzione il fatto che in Italia si stimino 160 miliardi all'anno di evasione fiscale, 60 miliardi di danni derivanti dalla corruzione, un centinaio di miliardi, ma forse anche di più, di fatturato della criminalità organizzata. Ora, lei provi a pensare quante cose si potrebbero fare avendo la disponibilità di tutte queste risorse, di tutto questo denaro.
Il Parlamento ha recentemente approvato un disegno di legge costituzionale che permette di derogare all'art. 138. Qual'è il suo giudizio su questa iniziativa?
Chi ha scritto la Costituzione ha previsto la possibilità di effettuare delle modifiche. Ma è evidente che pensava a degli interventi limitati a pochi e singoli articoli, esaminati uno per volta. Con una riforma ad ampio raggio che coinvolge contemporaneamente un grande numero di articoli risulta notevole il rischio di snaturare il nucleo centrale della Carta.
Cambiare intere parti della Costituzione attraverso un solo provvedimento implica un pericolo ulteriore: quello di rendere in qualche misura irrilevante o poco incisiva la possibilità di ricorrere al referendum confermativo. Mi spiego: in presenza di modifiche consistenti può verificarsi il caso che i cittadini concordino con alcune riforme e dissentano su altre. Ma se il referendum viene fatto sull'intero "blocco" come è possibile far valere un giudizio così articolato? Si procede con il "prendere o lasciare", con tutto ciò che ne deriva. Se, al contrario, la votazione si svolgesse sui singoli punti ed articoli ci troveremmo di fronte al pericolo di un lavoro che potrebbe rimanere "a metà", di una riforma che potrebbe essere sprovvista di sistematicità e coerenza.
Prescindendo dal dibattito in corso, cioè dalle vicende politiche contingenti, quali sono secondo lei le parti della Costituzione che avrebbero bisogno di una manutenzione?
Intende dire da un punto di vista squisitamente "scientifico"?
Esattamente.
Probabilmente andrebbe superato il bicameralismo perfetto. Ma senza diminuire drasticamente il numero dei parlamentari. Il Parlamento deve rimanere il Parlamento, cioè un luogo di discussione, di dibattito. E per dibattere bisogna essere in più persone. Dunque, va bene una "sforbiciatina" al numero dei parlamentari, ma senza esagerare.
Sono anche convinto della necessità di abolire le Province: abbiamo troppi enti amministrativi e questa moltiplicazione degli enti genera una elefantiasi della burocrazia che rende poco efficienti le istituzioni.
Inoltre bisognerebbe inserire nella Costituzione una disposizione che riguardi l'acquisto della cittadinanza. È una materia che oggi viene regolata da una legge ordinaria. Ma ritengo sia troppo importante per non inserirla direttamente nella Costituzione. C'è poi la questione cruciale dell'assetto e della divisione dei poteri fondamentali. I nostri padri costituenti avevano in mente i tre poteri tradizionali (legislativo, esecutivo e giudiziario). Tuttavia non potevano essere particolarmente avvertiti rispetto ad altri due poteri che ai giorni nostri sono divenuti molto rilevanti: quello dell'informazione e quello finanziario. Credo si dovrebbe prevedere una separazione anche di questi da quelli.
Non interverrei, invece, sulla forma prevista per il potere esecutivo. I costituenti volevano che esso fosse molto bilanciato, sia al proprio interno, sia rispetto agli altri due poteri tradizionali: mi pare una preoccupazione della quale dovremmo ancora tener conto.
Infine penserei all'abolizione dell'articolo 7 della Costituzione [che incorpora i Patti Lateranensi nella regolazione dei rapporti fra Stato e Chiesa, ndr], perché mi pare non in linea con il principio d'uguaglianza delle fedi religiose. E modificherei anche l'articolo 22: «Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome». Per qual che concerne la capacità giuridica bisognerebbe fare dei distinguo. Ma secondo me non dovrebbe essere mai possibile - in nessun caso, non solo per motivi politici - perdere il nome e la cittadinanza.
Procediamo su un ulteriore livello di astrazione. È sempre giusto rispettare la legalità e le regole? La storia ci insegna che molte conquiste civili e sociali del nostro tempo sono state rese possibili dal fatto che qualcuno ha infranto le leggi vigenti.
Faccio un esempio concreto. Io sono convinto che nel 1938 gli italiani non dovessero rispettare le leggi razziali: anzi, avrebbero dovuto trasgredirle. Dal mio punto di vista sarebbe stato addirittura obbligatorio trasgredirle. Quando una norma lede in modo profondo i diritti fondamentali della persona, e non c'è possibilità di modificarla altrimenti, e si è pronti ad assumersi la responsabilità della violazione, ecco, quando sussistono tutte e tre queste condizioni io credo che non solo si possa, ma talvolta si debba infrangere la legge. Purché con questo non si leda la dignità (e l'integrità) di altri. La violenza, voglio dire, è comunque bandita.
Però attenzione: è necessario che questa legge non incarni semplicemente un pericolo potenziale, ma incida direttamente ed effettivamente sui diritti fondamentali ed essenziali. E inoltre ci si deve far carico del proprio gesto, cioè si deve essere pronti a sopportarne le conseguenze.
Il cantiere dell'alta velocità in Val Susa, e le iniziative di protesta - anche estrema - che sono state promosse per opporvisi, possono rientrare in un questo discorso?
Sono perplesso sul fatto che ci troviamo di fronte ad un caso di lesione di diritti fondamentali. È un tema che andrebbe approfondito, ma che - ripeto - mi lascia perplesso. Vorrei citare invece un altro caso che, essendo più vicino a noi, si presta meglio alla discussione rispetto ai fatti del 1938.
In Italia siamo arrivati prima all'obiezione di coscienza (e alla possibilità di prestare il servizio civile) e poi alla sospensione del servizio militare obbligatorio perché ci sono stati alcuni ragazzi che hanno cominciato a disubbidire civilmente. Magari si presentavano al distretto militare quando venivano chiamati, ma dichiaravano apertamente che si rifiutavano di prestare il servizio. Lo facevano perché era contrario ai loro principi "imparare ad uccidere" (questo si fa quando si è addestrati a fare il soldato).
Erano però ben consapevoli delle conseguenza cui sarebbero andati incontro. «Guardate che se non lo fate andate in prigione», gli veniva detto. «Va bene, portateci in prigione, ma noi non volgiamo imparare a sparare e ad uccidere», rispondevano. E così sono andate le cose fino a quando la loro testimonianza non ha prodotto anche un cambiamento nell'opinione pubblica e nella legislazione. Chiaramente la disobbedienza civile può essere praticata solo tramite strumenti appropriati. E la violenza, come dicevo, non appartiene mai a questi strumenti.
Tornando sul tema "caldo" della Val Susa, fra questi strumenti può rientrare il boicottaggio dei lavori in un cantiere?
Un conto è un presidio, una manifestazione pacifica. Un conto è che questi degenerino in qualsiasi tipo di violenza. E uno schiaffo basta per segnare questa degenerazione. La cosa assolutamente essenziale è che il mezzo sia coerente con il fine. Se il fine è quello di riconoscere, secondo Costituzione, la dignità di tutti, per raggiungerlo non può essere utilizzato uno strumento che calpesti la dignità anche di uno solo.
(30 settembre 2013)
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