Deficit al 3%: Renzi, Cuperlo e la Grecia che ci attende
Scritto il 25/10/13
Per Gianni Cuperlo, l’ultimo anonimo prodotto di quello che Diego Fusaro chiama «il tragicomico serpentone metamorfico Pci-Pds-Ds-Pd», cioè la macchina elettorale che da più di vent’anni drena voti di sinistra per fare politiche al servizio della destra neoliberista all’insaputa degli elettori, è possibile salvare l’Italia dalla catastrofe in cui sta precipitando anche senza superare il tetto “impossibile” del deficit, fissato al 3% del Pil dai signori di Bruxelles, che nessuno ha mai eletto. La pensano allo stesso modo anche i renziani: prima di rivendicare giustizia finanziaria in sede europea, l’Italia deve scontare i suoi “peccati” storici e spremere altri soldi tagliando gli “sprechi”: operazione che, da sola, basterebbe a rimettere in piedi il paese. In realtà, l’Italia è stremata dalla deflazione indotta dalla Bce, dalla mancanza di liquidità, dal crollo della domanda di consumi. Disoccupazione apocalittica. La causa: ridotto in bolletta dell’euro e costretto a tagliare la spesa pubblica vitale, super-tassando famiglie e aziende, lo Stato determina anche il crollo del settore privato. Lo conferma l’esperimento di genocidio economico più vicino a noi, quello della Grecia.
La crisi del debito sovrano che ha travolto Atene ha avuto un effetto drammatico, quasi dimezzando il reddito disponibile degli ellenici rispetto a cinque anni fa, rileva il blog di Gad Lerner. Il reddito lordo disponibile è sceso del 29,5% tra il secondo trimestre del 2008 e lo stesso periodo del 2013, spiega il servizio statistico Elstat. Se si considera anche l’inflazione, il calo si avvicina al 40%. «Questi dati – sottolinea il blog – illustrano l’impatto della brutale recessione e delle misure di austerità che il governo potrebbe essere costretto a estendere al prossimo anno: a causa della minaccia della bancarotta, il governo di Atene ha continuamente ridotto le spese sociali e alzato le tasse, al fine di ricevere i crediti internazionali che hanno finanziato parte delle attività statali dopo l’uscita del paese dai mercati dei capitali». Criminalizzata per il debito pubblico, la Grecia dell’euro – mentre il Giappone (moneta sovrana) veleggia verso un maxi-indebitamento espansivo pari al 250% del Pil, e senza scosse finanziarie perché la banca centrale garantisce per i titoli di Stato.
Negli ultimi quattro anni, nella Grecia spolpata dalla Troika le prestazioni sociali sono state ridotte del 26%: «Una misura che ha pesantemente contratto i consumi, che rappresentavano circa tre quarti del Prodotto interno lordo, la proporzione maggiore dell’Eurozona». Salari in picchiata: «Gli stipendi dei lavoratori sono scesi del 34% dal secondo trimestre 2009, sempre secondo i dati Elstat». Il servizio statistico greco sottolinea come la crisi abbia interessato anche i livelli di risparmio delle famiglie, scesi dell’8,7% nel secondo trimestre del 2013 contro un calo del 6,7% dell’anno prima. E oltre il danno, la beffa: gli economisti mainstream considerano “buone notizie” quelle sui conti ellenici, dove si prevede un avanzo primario a fine 2013. I greci non sanno più come mangiare e come curarsi se sono malati, ma almeno il bilancio dello Stato non è più in rosso. Che consolazione. E chissà cosa ne pensano Renzi, Cuperlo e colleghi. Ben decisi ancora e sempre a presentare il debito pubblico come “problema”, sperando che alle elezioni europee del maggio 2014 si parli di tutto tranne che di soluzioni, a condizione che l’elettorato italiano continui a dormire.
Nessun commento:
Posta un commento