IL REDDITO MINIMO E CHI NE AVREBBE DIRITTO
Nei giorni scorsi il Movimento 5 Stelle ha presentato un disegno di legge sull’introduzione in Italia di un “reddito di cittadinanza”. Bene chiarire subito che non si tratta in verità di un reddito di cittadinanza, cioè di un trasferimento concesso a tutti i cittadini italiani indipendentemente dal reddito, bensì di un reddito minimo garantito, un sussidio solo a chi è povero e pari alla differenza fra il reddito effettivamente percepito e un livello minimo, fissato per legge. Questo rende la proposta interessante anche perché altri partiti, appartenenti alla stessa maggioranza, si sono espressi a favore dell’introduzione in Italia di un reddito minimo garantito. Al tempo stesso, vi sono, nella proposta del M5S, diversi aspetti che la rendono poco praticabile.
Secondo la proposta M5S, questo reddito minimo dovrebbe essere garantito a tutti i cittadini italiani residenti in Italia, con più di 18 anni di età che hanno un reddito inferiore alla soglia (di povertà) indicata nella tabella qui sotto, per diverse composizioni del nucleo famigliare. Le persone dai 18 ai 25 anni dovrebbero, per accedere al sussidio, certificare la presenza di “qualifica o diploma professionale, riconosciuti”, il che porta ad escludere persone che necessitano di recupero scolastico e persone con disabilità. Ai cittadini italiani si dovrebbero aggiungere gli immigrati residenti in Italia da almeno due anni, che abbiano lavorato per un minimo di mille ore negli ultimi due anni o conseguito un reddito di almeno 6mila euro netti in questo periodo.
A differenza di quanto avviene in altri paesi, le soglie di reddito vengono definite in termini di redditi netti anziché lordi. Questo può rendere i trasferimenti più generosi soprattutto per chi ha patrimoni soggetti a tassazione, anche perché la posizione patrimoniale dell’individuo o della sua famiglia non viene minimamente presa in considerazione nel decidere se concedere o meno il trasferimento. Ad esempio, una famiglia con notevoli proprietà mobiliari e immobiliari, ma bassi redditi, potrebbe fruire del trasferimento.
Per il 2013, la proposta M5S fa riferimento alle seguenti soglie di povertà familiari che aumentano meno che proporzionalmente con le dimensioni del nucleo familiare, tenendo conto del fatto che ci sono economie di scala nelle spese di una famiglia (ad esempio una famiglia con due genitori e due figli in genere non ha una spesa di riscaldamento doppia rispetto a quella di una coppia). Tuttavia, le scala di equivalenza utilizzate per stabilire le soglie di reddito sono più generose di quelle definite dall’Isee (che prevederebbe, partendo da 600 euro per una famiglia di un solo individuo, 942 euro per una famiglia di 2 membri, 1224 per 3 membri, 1476 per 4, 1710 per 5 e così via).
Secondo la proposta M5S, questo reddito minimo dovrebbe essere garantito a tutti i cittadini italiani residenti in Italia, con più di 18 anni di età che hanno un reddito inferiore alla soglia (di povertà) indicata nella tabella qui sotto, per diverse composizioni del nucleo famigliare. Le persone dai 18 ai 25 anni dovrebbero, per accedere al sussidio, certificare la presenza di “qualifica o diploma professionale, riconosciuti”, il che porta ad escludere persone che necessitano di recupero scolastico e persone con disabilità. Ai cittadini italiani si dovrebbero aggiungere gli immigrati residenti in Italia da almeno due anni, che abbiano lavorato per un minimo di mille ore negli ultimi due anni o conseguito un reddito di almeno 6mila euro netti in questo periodo.
A differenza di quanto avviene in altri paesi, le soglie di reddito vengono definite in termini di redditi netti anziché lordi. Questo può rendere i trasferimenti più generosi soprattutto per chi ha patrimoni soggetti a tassazione, anche perché la posizione patrimoniale dell’individuo o della sua famiglia non viene minimamente presa in considerazione nel decidere se concedere o meno il trasferimento. Ad esempio, una famiglia con notevoli proprietà mobiliari e immobiliari, ma bassi redditi, potrebbe fruire del trasferimento.
Per il 2013, la proposta M5S fa riferimento alle seguenti soglie di povertà familiari che aumentano meno che proporzionalmente con le dimensioni del nucleo familiare, tenendo conto del fatto che ci sono economie di scala nelle spese di una famiglia (ad esempio una famiglia con due genitori e due figli in genere non ha una spesa di riscaldamento doppia rispetto a quella di una coppia). Tuttavia, le scala di equivalenza utilizzate per stabilire le soglie di reddito sono più generose di quelle definite dall’Isee (che prevederebbe, partendo da 600 euro per una famiglia di un solo individuo, 942 euro per una famiglia di 2 membri, 1224 per 3 membri, 1476 per 4, 1710 per 5 e così via).
COMPLESSITA’ E INIQUITA’
Inoltre, la proposta M5S mischia elementi di uno schema a base familiare con elementi di uno schema a “top-up individuale”. Infatti, nel calcolo dei trasferimenti si introduce una soglia individuale, data dalla soglia famigliare divisa per il numero di componenti della famiglia e chiamata Rxc (“Reddito di cittadinanza potenziale”). Il calcolo dell’ammontare del sussidio viene effettuato come segue:
- Se un componente della famiglia ha un reddito personale superiore a Rcx, allora non ha diritto a percepire alcun reddito di cittadinanza, indipendentemente dalla soglia famigliare e dall’esistenza o meno di altri redditi familiari.
- L’extra reddito di tale componente è poi suddiviso in parti uguali tra gli altri componenti il nucleo famigliare, che risultano beneficiari del reddito di cittadinanza solo se, a loro volta, hanno un reddito personale – incrementato dell’extra reddito – inferiore a Rxc.
Questo tipo di formula di calcolo dà risultati identici ad un top-up familiare nel caso di famiglie composte da una o due persone. Per nuclei familiari più numerosi, invece, il tipo di calcolo proposto dal M5S può dar luogo a differenze difficilmente comprensibili dal punto di vista dell’equità.
Un esempio può forse chiarire il problema.
Consideriamo due famiglie, di quattro componenti, entrambe con un reddito complessivo di 20mila euro netti annui, ma distribuito diversamente tra i vari membri del nucleo familiare:
Un esempio può forse chiarire il problema.
Consideriamo due famiglie, di quattro componenti, entrambe con un reddito complessivo di 20mila euro netti annui, ma distribuito diversamente tra i vari membri del nucleo familiare:
- Famiglia 1: tutti i quattro membri percepiscono 5mila euro annui.
- Famiglia 2: un membro percepisce 16mila euro, un secondo 4mila, gli altri zero.
Se si applica uno schema di top-up familiare, nessuna delle due famiglie ha diritto al reddito di cittadinanza, poiché entrambe hanno redditi complessivi superiori alla soglia familiare (20.000> 19.590 euro). Se invece si applica il sistema di calcolo proposto dal M5S, la Famiglia 1 non ha diritto ad alcun reddito di cittadinanza (5.000>Rcx, pari in questo caso a 4.890). La Famiglia 2, invece, percepisce un’integrazione di 2.373 annui, totalizzando così un reddito totale annuo di 22.373 euro.
L’idea sottostante a questo tipo di calcolo – che trapela a tratti dalla lettura della proposta – è forse una concezione del reddito minimo come “diritto individuale”. Il risultato è tuttavia una certa dose di iniquità e una forte complessità.
A ciò si aggiungono alcune complicazioni gestionali. Ad esempio, sebbene ogni domanda sia presentata da un solo famigliare e i redditi della famiglia vagliati nel loro complesso, ogni membro del nucleo familiare considerato idoneo ha diritto a ricevere solo “la quota di redditi di cittadinanza a lui spettante”, ovvero la propria “quota parte” del reddito minimo spettante alla famiglia nel suo complesso. Ogni componente, infatti, deve inoltrare una propria richiesta personale per ottenere il versamento della propria quota di trasferimenti (fatto salvi i minori, la cui quota è ripartita tra i genitori). È difficile capire la logica di questa procedura, fonte di notevoli costi amministrativi, perché aumenta il numero di domande da vagliare e di trasferimenti da attuare. Forse si teme che uno dei membri della famiglia possa accaparrarsi l’intero trasferimento famigliare a scapito degli altri componenti del nucleo famigliare e dei minori? Se questo è il problema si potrebbe intestare il trasferimento alla madre che, come mostrato da numerose indagini, in genere è più attenta dei padri alle esigenze dei figli. Ulteriore complicazione: l’accesso al sussidio si basa sul reddito dichiarato (stimato) per l’anno in corso, con laboriosi aggiustamenti/conguagli a fine anno.
L’idea sottostante a questo tipo di calcolo – che trapela a tratti dalla lettura della proposta – è forse una concezione del reddito minimo come “diritto individuale”. Il risultato è tuttavia una certa dose di iniquità e una forte complessità.
A ciò si aggiungono alcune complicazioni gestionali. Ad esempio, sebbene ogni domanda sia presentata da un solo famigliare e i redditi della famiglia vagliati nel loro complesso, ogni membro del nucleo familiare considerato idoneo ha diritto a ricevere solo “la quota di redditi di cittadinanza a lui spettante”, ovvero la propria “quota parte” del reddito minimo spettante alla famiglia nel suo complesso. Ogni componente, infatti, deve inoltrare una propria richiesta personale per ottenere il versamento della propria quota di trasferimenti (fatto salvi i minori, la cui quota è ripartita tra i genitori). È difficile capire la logica di questa procedura, fonte di notevoli costi amministrativi, perché aumenta il numero di domande da vagliare e di trasferimenti da attuare. Forse si teme che uno dei membri della famiglia possa accaparrarsi l’intero trasferimento famigliare a scapito degli altri componenti del nucleo famigliare e dei minori? Se questo è il problema si potrebbe intestare il trasferimento alla madre che, come mostrato da numerose indagini, in genere è più attenta dei padri alle esigenze dei figli. Ulteriore complicazione: l’accesso al sussidio si basa sul reddito dichiarato (stimato) per l’anno in corso, con laboriosi aggiustamenti/conguagli a fine anno.
IL COSTO COMPLESSIVO
Le caratteristiche illustrate sopra rendono lo schema M5S molto costoso, circa quattro volte di più del “sostegno di inclusione attiva” (SIA) proposto da un gruppo di lavoro del ministero del Welfare. I nostri calcoli, realizzanti utilizzando i dati dell’indagine Istat IT-SILC 2011, indicano una spesa potenziale di 17 miliardi di euro, con un 12 per cento di famiglie beneficiarie (tabella 2, colonna 1). Il calcolo ipotizza un take-up del 100 per cento (ovvero, tutti gli aventi diritto fanno effettivamente richiesta).
Come prevedibile, la spesa avrebbe una ripartizione territoriale fortemente a favore delleRegioni del Sud Italia (che assorbono, da sole, il 66 per cento del costo dei trasferimenti, contro rispettivamente il 20 per cento e il 14 per cento del Nord e del Centro). Le famiglie beneficiarie sarebbero invece il 6 per cento nel Nord, il 9 per cento nel Centro e il 23 per cento nel Sud.
Abbiamo anche provato ad applicare una formula di calcolo a top-up familiare, utilizzando anche in questo caso redditi netti e soglie di povertà indicate dal M5S (tabella 2, colonna 3). Questa versione del reddito minimo permette di eliminare le iniquità evidenziate precedentemente e riduce i costi di circa 250 milioni di euro.
Infine, presentiamo un’ultima ipotesi dettata da criteri di “realismo”, che tiene conto dei problemi di accertamento dei redditi individuali. Sembra infatti rischioso, in un paese come l’Italia, in cui l’evasione fiscale è un fenomeno ampiamente diffuso, stimare i costi di una misura come il reddito di cittadinanza senza ammettere che una fetta importante dei redditi delle famiglie sfuggirà probabilmente alla rilevazione, un problema aggravato dal fatto che la proposta del M5S non guarda affatto al patrimonio. Né vengono previsti controlli in base ai consumi effettivi delle famiglie, come nel caso del SIA. Per questo motivo, abbiamo ipotizzato che il reddito minimo M5S riesca ad accertare solo l’85 per cento dei redditi dei lavoratori autonomi e il 95 per cento di quelli dei dipendenti. Il risultato è un aggravio di spesa di circa 1,5 miliardi per un totale non lontano dai 19 miliardi.
Come prevedibile, la spesa avrebbe una ripartizione territoriale fortemente a favore delleRegioni del Sud Italia (che assorbono, da sole, il 66 per cento del costo dei trasferimenti, contro rispettivamente il 20 per cento e il 14 per cento del Nord e del Centro). Le famiglie beneficiarie sarebbero invece il 6 per cento nel Nord, il 9 per cento nel Centro e il 23 per cento nel Sud.
Abbiamo anche provato ad applicare una formula di calcolo a top-up familiare, utilizzando anche in questo caso redditi netti e soglie di povertà indicate dal M5S (tabella 2, colonna 3). Questa versione del reddito minimo permette di eliminare le iniquità evidenziate precedentemente e riduce i costi di circa 250 milioni di euro.
Infine, presentiamo un’ultima ipotesi dettata da criteri di “realismo”, che tiene conto dei problemi di accertamento dei redditi individuali. Sembra infatti rischioso, in un paese come l’Italia, in cui l’evasione fiscale è un fenomeno ampiamente diffuso, stimare i costi di una misura come il reddito di cittadinanza senza ammettere che una fetta importante dei redditi delle famiglie sfuggirà probabilmente alla rilevazione, un problema aggravato dal fatto che la proposta del M5S non guarda affatto al patrimonio. Né vengono previsti controlli in base ai consumi effettivi delle famiglie, come nel caso del SIA. Per questo motivo, abbiamo ipotizzato che il reddito minimo M5S riesca ad accertare solo l’85 per cento dei redditi dei lavoratori autonomi e il 95 per cento di quelli dei dipendenti. Il risultato è un aggravio di spesa di circa 1,5 miliardi per un totale non lontano dai 19 miliardi.
* 85% redditi autonomi, 95% redditi dipendenti
Il M5S propone, infine, che chi è in affitto, ma non riceve alcun sussidio per la locazione, abbia diritto ad accedere al fondo per il sostegno dell’affitto e per questo prevede un extra finanziamento del fondo di 200 milioni. Tuttavia, secondo l’indagine EU-Silc, due terzi dei beneficiari del reddito minimo ricevono qualche forma di sussidio per la casa, per un ammontare medio di 1.142 euro all’anno. Ora, per garantire la stessa cifra media al restante 25 per cento dei beneficiari servirebbero 995 milioni di euro. Quindi il finanziamento proposto dal M5S non è assolutamente sufficiente.
In conclusione, la proposta potrebbe arrivare a costare attorno ai 20 miliardi di euro.
In conclusione, la proposta potrebbe arrivare a costare attorno ai 20 miliardi di euro.
Nessun commento:
Posta un commento