“La recessione sta segnando profondamente il potenziale produttivo, rischia di ripercuotersi sulla coesione sociale. […] Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi venticinque anni”.
Le parole del Direttore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella Relazione Annuale suonano come una sferzata nel giorno in cui la disoccupazione rilevata ad aprile segna un 12% e un inimmaginabile 40,5% per i giovani tra i 15 e i 24 anni.
Quanto sono lontani i tempi in cui ci veniva detto che da questa crisi saremmo usciti prima e meglio degli altri!
Eppure le parole di Visco giungono all’indomani della conclusione della procedura per deficit eccessivo per l’Italia. Tutto bene quindi? Stiamo finalmente uscendo dal tunnel?
Non è il caso di cullarci in facili illusioni, dato che l’allentamento del “pressing” nei confronti dell’Italia è probabilmente dovuto al peggioramento delle condizioni economiche degli altri partner Europei.
La Grecia, dopo due salvataggi e un haircut sui titoli di Stato, si trova con un debito pubblico esattamente agli stessi livelli del 2010 a 310 miliardi di euro e con un debito/Pil previsto per il 2013 al 175%.
La Spagna dopo aver chiuso un 2012 con un deficit del 10,6% rispetto al Pil, nel 2013 e 2014 non riuscirà a contenere il deficit al di sotto del 6% del Pil. Il problema più preoccupante resta legato alla tenuta sociale, con una disoccupazione del 27%, che colpisce il 56% dei giovani.
La crisi nel settore edilizio è ben lontana dal rimarginarsi, con ricadute pesanti sulla solidità del mondo bancario. Un ulteriore aspetto ben delineato nelle raccomandazioni dell’Unione Europea è rappresentato dal forte deficit delle tariffe elettriche; il loro riallineamento rischia di aggravare in modo ancora più incisivo la povertà delle fasce più deboli della popolazione.
Ma anche i paesi considerati virtuosi, non sempre a ragione, mostreranno tutti i limiti di una spesa pubblica che illude i propri cittadini di poter vivere al di sopra delle proprie possibilità; la Francia ad esempio negli ultimi 10 anni ha sempre presentato un deficit delle finanze pubbliche e nel 2013 l’Ocse prevede che aggiungerà un altro 4% di deficit/Pil, ben al disopra della fatidica soglia del 3% di Maastricht.
La Commissione Europea ha pensato bene di concedere un posticipo al rientro, ma le problematiche strutturali del paese sono notevoli: il sistema di tassazione è complesso e scarsamente efficiente; le generose misure di sostegno del reddito mettono a volte in competizione la vacanza lavorativa con la ricerca di un impiego; i giovani tendono ad avere un basso livello scolastico e una scarsa qualificazione, spesso conoscono solo la lingua madre, ancorati a una consuetudine che poteva essere soddisfacente nel passato coloniale.
Anche la Germania, si presenta sempre più vulnerabile a un calo dei consumi dei partner europei; probabilmente quest’anno dovrà registrare un deficit dei conti pubblici, seppur frazionale. Le elezioni del Bundestag sono ormai vicine, sarà interessante vedere il giudizio tedesco sulla gestione della crisi da parte di chi ha guidato una nazione che apparentemente è la più solida, ma che ora potrebbe mostrare dei piedi di argilla e vacillare sotto il suo stesso peso.
Concludendo, la crisi sta ora trasferendosi dai paesi periferici dell’Eurozona a quelli sinora considerati più solidi, che si trovano proprio per questo ancora più impreparati a convivere con queste problematiche.
Si potrebbe dire che in questo caso “mal comune” è foriero di lacrime per tutti.
Si potrebbe dire che in questo caso “mal comune” è foriero di lacrime per tutti.
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