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giovedì 13 giugno 2013

La sindrome CFMP che ammala l’Italia



Corruzione, frode, mafia, parassitismo: ecco gli elementi della malattia che sta distruggendo l'Italia. La sindrome ha qualche lontana radice organica (l’anamnesi chiama in causa potere ecclesiastico, Comuni, Signorie, Controriforma), ma il fattore degli ultimi trent’anni è un caimano allevato dal malaffare. Con cui la sinistra ha deciso di formare un governo.

di Franco Cordero, da Repubblica, 11 giugno 2013

Gli affari italiani propongono al patologo un quesito diagnostico: cos’abbia la paziente; malattia grave, a lungo termine letale; e l’esperienza esclude una regressione spontanea. Il nome, formato dalle iniziali, è sigla quadrilettera, CFMP. Sciogliamola e viene fuori una quaterna d’Apocalisse: corruzione, frode (includiamovi l’incretinimento d’una massa mediante ipnosi mediatica), mafia, parassitismo; e il tutto presuppone una politica gaglioffa.

La malattia ha qualche lontana radice organica (l’anamnesi chiama in causa potere ecclesiastico, Comuni, Signorie, Controriforma, una cultura vuota e megalomane, abiti cortigianeschi) ma il fattore degli ultimi trent’anni è un caimano allevato dal malaffarismo governativo: viene su dal niente abissale; istupidisce le platee con l’arnese televisivo, del quale diventa duopolista disgregando pensieri, sentimenti, gusto; e caduta l’oligarchia i cui favori venali lucrava gonfiandosi, raccoglie la successione.

Presiede il Consiglio in tre legislature, otto anni e mezzo e negli altri sette era egemone: profondamente volgare, ignorante, bugiardo, istrione, circonventore degl’indifesi, clown sguaiato, estorsore senza complimenti, sfoga un’acuta nomofobia; le norme esistono affinché lui le vìoli impunito; non tollera poteri separati; sfida tribunali e corti; compra sentenze; allunga i piedi nel piatto legislativo dissestando l’ordinamento.

Insomma, esercita la pirateria da Palazzo Chigi, arricchendosi ancora (ai tempi della lira vantava quarantamila miliardi), patrono del malaffare in colletto bianco. Rispetto alla gang che gli gira intorno, i politicanti facili d’una volta erano eremiti. L’ideologia è prassi nichilistica: enrichissez vous, ma l’Italia è alquanto meno florida della Francia sotto Luigi Filippo; e siccome l’economia ha equazioni non mistificabili sine die, viene il collasso.

Diciotto mesi fa, ignobilmente costretto a dimettersi, era mummia torva: gli restava qualche stalliere senza futuro (fuori della compagnia piratesca); chiunque s’illudesse d’averne, indossava maschere miti, qualificandosi colomba; e un ex ministro, poi coordinatore del partito, credente bellicoso, prendeva nota degl’infedeli. Come sia riemerso, è argomento da discutere a parte. Sparito l’Olonese, un governo cosiddetto tecnico aveva dissanguato i meno benestanti sferrando nel mucchio misure draconiane intese a ridurre il debito (che paghino i poveri diavoli, è vecchia storia, vedi l’imposta sul macinato).

Adesso stiamo peggio. Ultima in Europa, l’Italia continua a indebitarsi perdendo colpi, e non c’entrano congiunture planetarie, destino baro, influssi siderali. È questione d’elementare economia: quante volte la corte dei Conti l’ha formulata calcolando in 60 o più miliardi il prelievo annuo clandestino CFMP; i «fondamentali» tenderanno al basso finché: il vampiro succhi; e sappiamo con quanta cura intransigente Re Lanterna se lo covasse sabotando ogni tentativo serio d’un risanamento.

Se poi lo sguardo passa dal quadro economico al politico, lo scenario taglia il fiato: la mummia d’allora (12 novembre 2011) tiene al governo uomini suoi, nel senso più possessivo; lo spirituale Angelino Alfano, vicepremier, comanda gl’interni; alle riforme costituzionali provvede tubando la colomba Gaetano Quagliarello; sotto la stessa figura ornitologica vola Maurizio Lupi (trasporti e infrastrutture). Inutile dire chi muova i fili: appena lui fischi, le colombe mettono rostro e artigli diventando falchi; li abbiamo visti e uditi in parti davanti alle quali lo spettatore rimane allibito. Il divus Berlusco gioca su due tavoli: governativo finché gli conviene, schiera 17 mila teste, rigorosamente non pensanti, pronte all’azione qualunque cosa lui comandi, fosse anche una scalata alla luna; e giurano, «lo difenderò nella guerra dei vent’anni» (qui 2 giugno).

È dogma che sia vittima d’una magistratura assatanata: «uso politico della giustizia», farfugliano i dignitari, monotona filastrocca; almeno tentino qualche variante. Tribunali e corti decidono in base alle prove, sicché arrivano delle condanne. Tanto tempo fa s’era presa una laurea in legge ma, assordato dall’ego, ha dimenticato i rudimenti, quindi strepita: «il Quirinale deve difendermi»; e la Consulta stronchi «l’accanimento» persecutorio (4 giugno). Tale sarebbe mandare a giudizio chi, secondo i reperti, frodava il fisco, imboscando milioni a centinaia, o gestiva un harem mercenario, o, presidente del Consiglio, ha buttato in pasto al pubblico un segreto d’ufficio contro l’avversario. Viste le norme, ovvia la condanna qualora i fatti constino. Eventuali errori sono rimediabili in appello e Cassazione.

La Pasionaria chiama otto milioni d’elettori allo sciopero fiscale, se mercoledì 19 p. v. la Consulta non accoglie il ricorso. Parliamone perché l’aneddoto fa lume sulle tecniche berlusconiane: lunedì 1 marzo 2010 era fissata da un mese e mezzo una delle tante udienze del dibattimento Mediaset diritti tv; è affare acrobatico condurle; pretende d’esservi ma non può quasi mai, carico d’impegni. Intenti al perditempo strategico, i difensori chiedono il rinvio perché l’imputato ha un consiglio dei ministri: il tribunale risponde picche; s’era affatturato l’impedimento aggiornando una seduta 26 febbraio. Ma fosse anche motivo plausibile, solo i cultori d’una procedura asinina pensano che svanisca l’intero processo, se in quell’udienza non è avvenuto niente d’influente sulla decisione; le testimonianze ivi acquisite sono parole al vento; vizio innocuo, dunque.

Con questi architetti il Pd s’accinge a demolire le strutture costituzionali fondando un regime del presidente dai larghi poteri, eletto dal popolo (cavallo di battaglia berlusconiano): bel disegno, come se una neoplasia comandasse i sistemi immunitari; quando vuol colpire qualcuno, Iupiter gli toglie il senno.

(11 giugno 2013)

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