Scavalcata dal Trattato di Lisbona, già compromessa dal Trattato di Maastricht che revoca la sovranità finanziaria nazionale senza offrire contropartite. E infine umiliata dal Fiscal Compact, che col pareggio di bilancio affonda la Repubblica “fondata sul lavoro”, cancellando diritti con la pretesa secondo la quale “non ci sono più soldi”. Quel che resta dell’ultimo argine a difesa dell’integrità italiana, la Costituzione democratica nata dalla Resistenza antifascista, viene ora minacciato dalla Convenzione bipartisan attraverso cui Pd e Pdl intendono smantellare le residue quote di democrazia nel paese. Timori che non si nasconde il giurista Gustavo Zagrebelsky: giù le mani dalla Costituzione. Il pericolo? Evidente: accentrare ulteriormente il potere decisionale e confiscare quel che rimane di ancora democratico, nell’Italia che l’Eurozona sta letteralmente rottamando.
«Si sta giocando una partita politica e la posta è elevatissima», avverte Zagrebelsky. «È in atto un tentativo di spoliticizzazione, una sorta di mascheramento», dove le “maschere” «sono i tecnici, i saggi, gli esperti». Va bene migliorare l’efficienza del sistema politico, ammette il costituzionalista conversando con Carmelo Lopapa della “Repubblica”, ma non al prezzo di svendere la libertà dei cittadini. «A me pare piuttosto evidente che sia in atto un disegno di razionalizzazione d’un potere oligarchico», dichiara Zagrebelsky. «In Italia non si è forse radicato un sistema di giri di potere, sempre gli stessi, che si riproducono per connivenze e clientele? Parlando di oligarchie, non si pensi solo alla politica, ma al complesso d’interessi nazionali e internazionali, che nella politica trovano la loro garanzia di perpetuità». Riferimento esplicito: in cabina di regia, il potere occulto delle élite che negli ultimi vent’anni si sono arricchite in modo vertiginoso con la privatizzazione dello Stato, in accordo coi super-poteri neoliberali che attraverso le lobby planetarie manovrano Bruxelles.
«Quel complesso d’interessi è sovraccarico e non riesce più a trovare un equilibrio, rischia l’implosione e s’inceppa: la rielezione del Presidente della Repubblica – impensabile in un sistema di governo anche solo minimamente dinamico – è rivelatrice». Per Zagrebelsky, il segno dell’impasse è rappresentato dall’applauso «grato e commosso» che «una maggioranza impotente» ha tributato a Napolitano. «Per il futuro ci vogliono riforme», ma quelle in programma «dal punto di vista democratico sono in realtà controriforme». Una su tutte: l’avvento di un sistema presidenziale. Quale ne sia il modello, dice Zagrebelsky, il presidenzialismo «è un modo di concentrare in alto la politica e di ridurre dei cittadini a “micro-investitori” del loro voto, a favore d’un gestore d’affari nel cerchio stretto delle oligarchie». In breve: «E’ il protettorato d’un sistema di potere chiuso. Altro che più potere al popolo! Anzi, il popolo deve non sapere – o sapere il meno possibile».
Infatti, è recentemente ripresa la discussione sul “riequilibrio dei poteri” a danno dell’indipendenza della magistratura, e anche sui limiti al giornalismo d’inchiesta (vedi la questione delle intercettazioni). E poi, a preoccupare il giurista è anche «quel che non si intende fare: vedi il silenzio calato sul conflitto d’interessi e sull’inasprimento delle misure contro l’illegalità». Nessuna sorpresa: «Le oligarchie, del resto, sono regimi dei privilegi. Hanno bisogno di compiacenze e illegalità». Invito esplicito: “maneggiare con cura” qualsiasi riforma costituzionale, anche nel caso di un’ipotesi semi-presidenziale. «Una cosa è l’espansione dell’azione presidenziale a tutela delle istituzioni parlamentari previste dalla Costituzione, altro è l’azione che prelude a una nuova normalità: questa seconda cosa contraddirebbe l’obbligo di fedeltà alla Costituzione».
I partiti dell’inciucio accampano nobili motivazioni e parlano di pacificazione nazionale? Il professor Zagrebelsky sente puzza di bruciato: «Chi di noi non è per la pace e per la pacificazione? Ma la pace è esigente, molto esigente. Non può esistere senza condizioni. La pace è la conseguenza della verità e della giustizia. Altrimenti, pacificare significa solo “normalizzare”». Preoccupazioni confermate dal dispositivo adottato per sviluppare la riforma istituzionale, la Convenzione bipartisan. «Perché dovrebbe essere affiancata da “esperti”, cioè da persone al fuori dei contrasti politici? Gli esperti sono a loro volta portatori di visioni politiche e saranno messi lì dai partiti in quanto corrispondano ai loro progetti. Saranno “maschere”. Mi auguro che in pochi accettino di assumere questo ruolo». Tanto più che l’attuale Costituzione, all’articolo 138, prevede già un procedimento lineare per mutare la Carta. Qui invece si vuole una procedura “blindata”: prima la Convenzione, poi il voto bloccato delle Camere – o sì, o no, senza emendamenti. «Mi chiedo come possano i parlamentari accettare una simile umiliazione».
Una procedura complicata ma anche totalmente estranea alla nostra Costituzione: «Per questo, si prevede – solo dopo – una ratifica con legge costituzionale, che è essa stessa la confessione che si agisce contro la Costituzione», accusa Zagrebelsky. Che rinnova domande imbarazzanti: «I nostri politici “costituenti” hanno un mandato? Chi li ha autorizzati? Sono stati eletti per questo? Basta la retorica delle riforme per legittimarli?». Il 2 giugno, Rodotà e Zagrebelsky diranno la loro. Ovvero: «Non solo che i contenuti della controriforma non ci piacciono, ma anche che il metodo è sospetto». Anche perché «sono in gioco nodi cruciali della nostra vita, non fredde operazioni di ingegneria costituzionale, come si vuol far credere». Lavoro, uguaglianza, giustizia sociale, diritti di tutti, cultura, salute, legalità e trasparenza: «Cose possibili indemocrazia, quando la si espande. Difficili o impossibili, quando la si restringe».
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