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domenica 16 giugno 2013

Il sistema Pd e la rovina del Paese

Giorgio Cremaschi

gcremaschiMa è puramente casuale che il PD come forza politica macini successi, mentre come forza di governo registri un fallimento dopo l’altro?
Non credo questa sia una domanda assurda, anche se non la vedo minimamente accennata nello svolgersi quotidiano del talk show politico.
Il PD ha realizzato alle amministrative un vero e proprio sfondamento, non riconducibile ad altri successi del passato. Galleggiando sapientemente sulla sfiducia di una metà dell’elettorato, che in parte ha già disinvestito il voto di protesta sui 5 Stelle. Approfittando della disgregazione in atto nella destra, a cui basta sempre meno il soccorso di Silvio Berlusconi. Usufruendo della lunga crisi e del processo di dissoluzione della sinistra radicale, nonché del solido appoggio del concerto delle parti sociali fondato su CGIL CISL UIL e Confindustria, il PD si è posto al centro di un sistema che controlla quasi completamente e che occupa oramai quasi tutto lo scenario politico ufficiale.
Il sistema PD attrae forze a destra nel mondo dei poteri economici e della Chiesa Ufficiale. A sinistra ha riassorbito Vendola, Landini, persino settori dei centri sociali. E con questa costellazione di corpi attratti da varie direzioni, ha stravinto le amministrative.
Il sistema PD ha in realtà ben poco a che vedere con il vecchio PCI, la cui struttura restante viene sempre più utilizzata come logistica e fureria. Non è un caso che il segretario del partito sia un ex socialista, il presidente del consiglio un democristiano, così come lo è il possibile leader alternativo.
La dialettica intera al PD e al suo sistema non ha nulla a che vedere con quella interna ai vecchi partiti di sinistra, essa è un incrocio di alleanze e contenuti intercambiabili tra loro a seconda delle cordate che si costruiscono, e dei vari leader che si presentano alla ribalta politico televisiva.
Sotto questo aspetto il sistema PD ha quasi integralmente occupato lo spazio del vecchio pentapartito. Un pentapartito che sfonda a sinistra e spinge ai margini le destre e le sinistre che vogliano restare incompatibili, mentre opera per la distruzione del Movimento 5 stelle. In questo ben aiutato dalle contraddizioni e dalla debolezza culturale e politica che sta rivelando quel movimento.
Così Berlusconi, nonostante vorrebbe stare all’opposizione, sta al governo e SEL e la Lega, nonostante siano alla opposizione, si comportano come se fossero al governo.
Così il sistema PD dilaga elettoralmente e sembra persino smentire la cosiddetta “legge del PASOK”, il partito di centrosinistra greco schiantatosi nella politica di austerità e unità nazionale con la destra. Da noi su quella politica il sistema PD trionfa e la destra crolla. Ora ci si accinge persino a riformare la Costituzione per adeguarla al sistema di potere vincente, che non vuole più esserne condizionato. Quello che non è riuscito a Bettino Craxi, la “grande riforma presidenzialista”, pare possibile al sistema PD presieduto da Giorgio Napolitano… Eppure…
Mentre i risultati elettorali del PD inanellano i segni più, quelli economici presentano una valanga di meno.
La politica economica del governo di larghe intese sta già fallendo non solo e non tanto perché la disoccupazione di massa si espande senza freni. È evidente infatti che essa è anche il prodotto voluto delle politiche economiche di austerità ed è da escludere che i governanti che attuano queste politiche non sappiano che esse cancellano posti di lavoro.
La questione di fondo è che tutta questa distruzione non è affatto creatrice di nuovo sviluppo. Tra tutti i dati economici negativi di questi giorni, quello più significativo e nuovo è la caduta delle esportazioni.
Ma come, si agisce sulla leva della disoccupazione e su quella della precarietà per avere un lavoro flessibile e disponibile a basso prezzo. Si lascia andare in malora il sistema industriale e produttivo contando sulla crescita della competitività di ciò che rimane. Si distrugge stato sociale per far fronte al debito e attirare capitali Esteri…
Insomma si restringe tutto il sistema per vendere di più all’estero, e poi si scopre che tutti i paesi stanno facendo la stessa cosa e quindi proprio le esportazioni cadono. E a causa della recessione senza fine il debito pubblico, la cui insostenibilità ci spiega Napolitano ci obbliga all’austerità, aumenta.
Ci vorrebbe un piano Marshall, afferma Marchionne sbagliando il paese dove fare una così acuta affermazione. Quel piano, infatti, fu finanziato dagli Stati Uniti nel dopoguerra anche per impedire con la crescita economica la crescita comunista nella Europa distrutta. Marchionne dovrebbe parlarne a Obama, non a Renzi.
Così tra chiacchiere e battute la casta politico manageriale che ci governa ci porta alla rovina senza neppure accennare a fare qualcosa di diverso da ciò che ha fatto fino ad ora. Tutti vincoli europei sono intoccabili, anche se poi se ne lamenta il peso e la politica di austerità continua a mietere le sue vittime.
Non c’è luce in fondo al tunnel e le speranze alimentate dal palazzo servono solo a tener buone le persone. Indietro, al benessere relativo del passato, non si torna e avanti non si va. Si precipita nella crisi con crescente velocità.
Per la particolare storia politica italiana il sistema PD è diventato il centro motore di tutte queste politiche e della loro inevitabilità. D’altra parte la destra si occupa di giudici, CGIL CISL UIL di non si sa cosa, e una forte sinistra anticapitalista e anti austerità che sappia proporre alternative, in Italia non c’è a differenza di altri paesi d’Europa.
Così la vittoria del PD tra la metà del paese che va ancora a votare, diventa, al di là delle buone intenzioni di tanti, lo specchio di un declino. Il PD oggi non è il partito del cambiamento, ma quello della onesta rassegnazione a fare il meglio in assenza di alternative.
Quanto durerà questo stato felice? Fino al verificarsi di due possibili conseguenze: il collasso drammatico del processo di crisi, o la ripresa del conflitto sociale e politico contro l’austerità e i suoi interpreti. Meglio darsi da fare per la seconda che rassegnarsi ad aspettare la prima.
Giorgio Cremaschi
(15 giugno 2013)

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