di Paolo Flores d'Arcais
Cari parlamentari del M5S (e, per motivi ovvi, cari Grillo e Casaleggio), a che titolo vi scrivo?
In primo luogo perché siete i miei “rappresentanti”. Sono uno dei quasi nove milioni di cittadini che vi hanno votato alle scorse politiche. Secondo il lessico messo in auge a suo tempo da Grillo sareste dunque i “dipendenti” di noi che vi abbiamo votato, anche i miei “dipendenti”, perciò. Preferisco però la tradizionale dizione di “rappresentanti”, perché sedete in Parlamento “in mia vece” e perché “dipendenti” evoca subordinazione (perfino con una punta di disprezzo), mentre ciascuno di voi “rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (art. 67).
In secondo luogo perché sono uno di coloro che Beppe Grillo nel suo blog del 28 maggio ha ringraziato pubblicamente perché “hanno ‘rischiato’ dando il loro voto al M5S” anche al primo turno delle recenti comunali. A Roma solo uno su tre di quanti avevano votato M5S alle politiche.
Mi sembra dunque ovvio dialogare con voi, contare cioè su uno scambio reciproco di argomenti, proposte, analisi, su un ascolto reciproco perché anche io, tramite voi miei “delegati”, possa concorrere alle decisioni politiche.
In quanto elettore del M5S sono molto preoccupato del forte calo di consensi. Se anche si volesse prendere per buona l’analisi di Grillo sulle due Italie, l’Italia non privilegiata che tre mesi fa aveva espresso la sua condanna della Casta votando M5S ha questa volta deciso in massa (almeno un elettore su due, a Roma due su tre) di rifugiarsi nell’astensione (e qualcuno di tornare addirittura a votare un partito tradizionale).
Dire che è colpa degli elettori significa non dire nulla: è sempre “colpa degli elettori”, si vinca o si perda, visto che sono loro a votare. Chi partecipa alle elezioni deve invece interrogarsi sul perché gli elettori li abbiano premiati o puniti. Tre mesi fa un mare di cittadini identificò nel M5S lo strumento per una svolta radicale, di condanna della politica come mestiere, affarismo, corruzione, inciucio, intreccio con la criminalità (e tutto il resto del marcio che sappiamo), e di speranza per una politica come servizio civile, passione disinteressata, riforme di giustizia, libertà, efficienza, lavoro (e tutto il resto di “politica virtuosa” che anche qui sappiamo). Oggi la condanna della politica tradizionale resta e perfino si accentua, ma più di un (ex)elettore su due non giudica più il M5S lo strumento credibile delle stesse speranze.
Perché?
Perché le speranze che i cittadini ripongono in una forza politica vanno alimentate con l’azione, e il M5S, entrato in forze in Parlamento, NON ha agito, benché abbia capito il carattere cruciale di due questioni, elezione del Presidente della Repubblica e ineleggibilità di Berlusconi, e su di esse abbia fatto le proposte più coerenti. Votare Rodotà e chiedere l’applicazione della legge 361 del 1957 sono state scelte sacrosante, coerenti con i valori per i quali i cittadini avevano votato in massa M5S. Ma erano (sono) l’inizio di un’azione, alla quale non è stato dato seguito e quindi si è trasformata in inazione (e conseguente delusione).
Prendiamo la questione “ineleggibilità di Berlusconi”. Non basta proclamarla come dovere (merito comunque non da poco): di fronte alla Casta e alla Disinformazione Unificata che si arrampicano sugli specchi per impedire addirittura che se ne discuta (rimandando alle calende greche le riunioni di commissione, mentendo sui media, ecc.), si poteva (e più che mai si può) dar vita a una campagna sistematica, battente, “multitasking”, che accorpi iniziative in Parlamento e fuori, simboliche e di massa, magari con presenza tv focalizzata solo su questo tema (la presenza del M5S in tv di per sé sarebbe “notizia”, il farlo solo su questo tema sarebbe “notizia” al quadrato e romperebbe il muro di gomma sul tema), tenendo conto che le 250 mila firme raccolte sul web da MicroMega, i sondaggi sugli orientamenti degli elettori (quasi il 100% di quello M5S ma anche quasi il 90% di quelli Pd favorevoli alla ineleggibilità) e le divisioni interne al Pd rendono evidenti giganteschi margini di azione.
Ma nulla di tutto ciò è avvenuto, e grandi energie del M5S sono invece state erogate sul tema “chi dice x è fuori”, “chi non fa y è fuori” e altre questioni autoreferenziali e “disciplinari”, che hanno facilitato alla disinformazione di establishment l’accusa di un M5S privo di leadership autorevole (solo dove non c’è autorevolezza si minacciano espulsioni a ogni piè sospinto) e incapace di azione propositiva, che vada oltre la denuncia delle magagne altrui.
E con questo si torna al voto per Rodotà. Mossa sacrosanta, ripeto, a cui non è seguita azione, però. Se di fronte allo scandalo del secondo settennato Napolitano, e al governo Napolitano-Berlusconi che ne è seguito (per i più piccini: governo Alfano-Letta), il M5S avesse risposto con un “governo ombra” Rodotà avrebbe messo a segno (in un colpo solo) quanto segue: battuta in breccia ogni accusa di “estremismo”, poiché il “governo ombra” è istituzione liberale anglosassone per eccellenza, dissolta ogni accusa di non essere propositivi, perché un “governo ombra” per sua natura risponde ad ogni proposta governativa con una contro-proposta alternativa ancora più concreta, allargati i consensi del M5S per la capacità egemonica dimostrata col dare vita a un “governo ombra” che si rivolge anche a chi non ha votato e a elettori di altri partiti. Infine il “governo ombra” avrebbe avuto per il M5S un vantaggio-corollario: allargare crepe e divisioni dentro i partiti di centro-sinistra, Pd e Sel.
Sono convinto che quello del “governo ombra” Rodotà sia ancora un agire politico che il M5S farebbe bene a realizzare al più presto. E avrebbe oggi il valore supplementare di vanificare l’assurda uscita con cui Grillo ha insolentito Rodotà come “un ottuagenario miracolato dalla Rete, sbrinato di fresco dal mausoleo dove era stato confinato dai suoi”, dopo averne intonato il peana per settimane in ogni piazza (altrettanto assurdo il voltafaccia sulla Gabanelli, che toglie credibilità a chi lo compie, non a chi lo subisce).
Attorno al “governo ombra” e a un insieme consistente e articolato di iniziative sulla ineleggibilità, sono certo che il M5S possa porsi al centro della scena politica, determinare l’“agenda” anziché subirla, imporre la questione sociale del “salario di cittadinanza” in sinergia con la Fiom, rilanciare il tema della laicità in sinergia con i comitati bolognesi che hanno vinto il referendum sulla scuola, facendone una questione nazionale (e magari con il “centro Coscioni” sulla questione del fine vita), proporre in alternativa alla demagogia berlusconiana sull’imu la questione delle case sfitte (vedi trasmissione di Santoro di giovedì) e lo scandalo delle case sequestrate e vendute all’asta dalle banche. Ma non voglio entrare qui nel merito delle molte altre iniziative che si potrebbero prendere, a fronte delle “chiacchiere” del governo Napolitano-Berlusconi. Credo che verrebbero da sé, se cambia l’atteggiamento di fondo, da autoreferenziale a proiettato e aperto, senza timori di contaminazioni.
Perché non si tratta di scegliere tra un isolamento che diventa facilmente autismo politico e una opportunistica alleanza di schieramento con Sel e pezzi di Pd. Si tratta invece di scegliere tra autismo e azione, rivolgendosi a milioni e milioni di cittadini con gesti concreti e non occasionali, con una strategia di cui sarebbe assurdo pretendere che non si debba discutere: insieme, voi eletti e noi cittadini che vi abbiamo delegato.
(1 giugno 2013)
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