Vietato tassare i ricchi. Dopo lo stop sugli stipendi superiori a 90 mila euro, arriva il no ai prelievi di natura fiscale che tocchino i soli pensionati, quand'anche titolari di pensioni d'oro. Lo ha stabilito la Consulta, giudicando incostituzionale un comma del decreto legge 98 del 2011. La norma censurata disponeva un contributo perequativo per le pensioni oltre 90 mila euro lordi. Contributo che la Corte Costituzionale considera di natura tributaria e in cui ravvisa "un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini". Una decisione che potrebbe provocare qualche grattacapo al ministro del Lavoro, Enrico Giovannini. Il responsabile del Welfare nei giorni scorsi aveva infatti annunciato che i futuri provvedimenti sull'occupazione sarebbero stati finanziati anche tassando le pensioni d'oro.
A sollevare la questione di legittimità costituzionale di fronte alla Consulta è stata la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, a seguito del ricorso di un magistrato presidente della Corte dei conti in quiescenza dal 21 dicembre 2007 e titolare di pensione superiore a 90mila euro: nel mirino, il comma 22.bis dell'art.18 del decreto-legge 98 emanato il 6 luglio 2011, contenente disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.
La norma censurata disponeva che, dal primo agosto 2011 fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi superassero 90 mila euro lordi annui, fossero assoggettati a un contributo di perequazione del 5% della parte eccedente l'importo fino a 150 mila euro; pari al 10% per la parte eccedente 15 0mila euro; e al 15% per la parte eccedente 200mila euro.
La Consulta ha giudicato questa norma in contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, rispettivamente sul principio di uguaglianza e sul sistema tributario. "Al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria - si legge nella sentenza della Corte Costituzionale n. 116 depositata oggi, relatore il giudice Giuseppe Tesauro - il legislatore ha imposto ai soli titolari di trattamenti pensionistici, per la medesima finalità, l'ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura, attraverso una ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi".
In sostanza la Corte Costituzionale ha bocciato le modalità di applicazione del contributo di solidarietà a carico delle pensioni più alte, perché discrimina una sola categoria - i pensionati - rispetto agli altri titolari di reddito: "L'intervento - si legge in sentenza - riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi".
C'è quindi un contrasto con il principio della "universalità dell'imposizione" e si determina una "disparità di trattamento" non tanto "fra dipendenti o fra dipendenti e pensionati o fra pensionati e lavoratori autonomi o imprenditori, quanto piuttosto fra cittadini". I redditi derivanti dai trattamenti pensionistici - specifica ancora la Corte - non hanno natura diversa e inferiore rispetto agli altri redditi. Nella sentenza la Corte specifica che la disposizione giudicata illegittima "trova applicazione, in relazione alle erogazioni di trattamenti pensionistici obbligatori, sia in favore del personale del pubblico impiego, sia in relazione a tutti gli altri trattamenti corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatori".
"I RICCHI NON PAGANO MAI" "La sentenza della corte costituzionale sul contributo di solidarietà per le pensioni più alte, "che riprende lo spirito e la lettera di quella sull'analogo contributo per gli stipendi degli alti dirigenti pubblici, non sorprende ma svela molto del pressapochismo e della superficialità con cui si è legiferato negli ultimi anni". Lo afferma il segretario confederale della Cgil, Vera Lamonica.
"La giusta esigenza - sottolinea lamonica in una nota - di chiedere qualcosa ai redditi più alti ha invece prodotto la situazione paradossale per cui a chi più ha dovrebbe essere perfino restituito, mentre ai più deboli si è fatto pagare l'unico vero salato conto delle cosiddette riforme. Alla fine - sostiene - c'è sempre un'unica categoria che deve pagare: i lavoratori e i pensionati a reddito più basso, cui è stata peraltro bloccata la rivalutazione, mentre stipendi e pensioni d'oro permangono intoccati".
"Per cambiare strada - conclude la sindacalista - bisogna ripartire da un'ineliminabile esigenza di equità e giustizia sociale, da come in un paese che affonda nella crisi si fanno pagare i grandi patrimoni e i grandi redditi, e di come si costruisce un meccanismo credibile che impedisca, ad esempio, di avere pensioni e cumuli di stipendi sproporzionati".