εὕρηκα

εὕρηκα
HOME PAGE

giovedì 23 maggio 2013

Aiuto, torna la Bicamerale

Riforme



di Giovanni Manca      (22 maggio 2013)

La pd Finocchiaro e il pdl Francesco Paolo Sisto saranno i presidenti della Convenzione, come la chiamano ora. Dovrebbe riformare la Costituzione, ma non ha né il tempo né il mandato per combinare nulla.
Martedì sono stati ricevuti in pompa magna al Quirinale: insieme al presidente Napolitano, Anna Finocchiaro e Francesco Paolo Sisto (sembra il nome di un papa, invece è un senatore berlusconiano) hanno vertificato «la comune volontà di avviare senza indugio un processo di puntuali modifiche costituzionali», come ha poi recitato il comunicato del Colle.
E' lo scenario della nuova Bicamerale per le riforme, voluta da Enrico Letta, che stavolta si chiamerà Convenzione. Un amuleto onomastico per scacciare la iella delle precedenti Commissioni bicamerali per le riforme costituzionali, che proprio quest'anno compiono trent'anni di vita. E di fallimenti. Trecentosessanta mesi di tentativi per cambiare le regole del gioco che si sono vanamente avvitati sempre sugli stessi temi. E che condividono, anche, una certa sbarazzina inclinazione per le partenze in primavera estate: se adesso è il turno dei designati Finocchiaro-Sisto, il primo avvio si ebbe nell'aprile 1983, con la bicamerale presieduta da Aldo Bozzi; nel luglio 1992 si battezzò la Iotti-De Mita, e sempre a luglio, il 25 (il dì fatale a Mussolini) iniziò nel 1996 il cammino parlamentare per far salpare la leggendaria D'Alema.

Voler riformare lo Stato a mezzo bicamerale non ha prodotto, fin qui, risultati brillanti (i tre precedenti tentativi sono andati tutti a vuoto), ma produce sempre toni solenni e austeri, quasi oracolari: prima de "l'unico sbocco possibile è il successo" pronunciato oggi dal premier in versione John Wayne, ci fu il "se falliremo la storia futura del paese e anche la nostra sarà più difficile e sofferta" di Nilde Iotti nel 1992, e ancora "il nostro dovere è rafforzare la democrazia politica rendendola più capace di efficienza e di indirizzi durevoli e stabili" gorgheggiato da un trionfante Bozzi, qualche mese dopo la vittoria al Mundial di Bearzot. Immancabili gli stenografi del Parlamento annotarono anche allora i "vivi, prolungati applausi", le "molte congratulazioni". 

Nonostante Finocchiaro dichiari "la Convenzione non serve", adesso ci si riproverà. Prima mossa la conferma della tendenza a incrementare con ordine entropico il numero dei neocostituendi: 40 nel 1983, 60 nel 1994, 70 nel 1997, 73 più una manciata di saggi nel 2013.

E a scacciar la malombra della sfortuna stavolta, secondo amuleto, c'è un'ipoteca ben più forte: è stata già espunta dai compiti della Convenzione la legge elettorale; in barba a chi, come Giuliano Vassalli, proprio questo buco nero lamentava tra i fallimenti della Commissione Bozzi: "Non è stata introdotta la base prima di una riforma costituzionale che è certamente la riforma elettorale".

I tempi però sono quelli che sono, pare sia stato il ragionamento di Letta: dunque fuori dal tavolo la riforma del Porcellum, altrove si farà un lifting di emergenza per garantire una "rete di sicurezza" nel caso (tutt'altro che improbabile) che le elezioni soffino via il sogno riformatore.

Le scadenze che ha illustrato il premier alle Camere sono in effetti ravvicinatissime: diciotto mesi per capire cosa si è riusciti a fare o tutti a casa. A circa un mese dalla fiducia e benevolmente contandone cinque soltanto per approvare la legge costituzionale che dovrebbe stabilire i compiti della Convenzione, resterà un anno scarso di tempo per verificare se lo spirito di Umberto Terracini si sia propalato nella XVII Legislatura.

Ma le somiglianze di trenta anni di naufragi annunciati si infittiscono proprio sui temi al centro del dibattito. A partire dalla piena parità tra i due rami del Parlamento. Quando il ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello dice che "al tempo di internet non possiamo permetterci il nostro bicameralismo perfetto", fa da involontario megafono ad Aldo Bozzi che, pur correndo gli anni della telescrivente e della posta pneumatica, scrisse che una sola Camera servirebbe "per evitare ritardi e inutili appesantimenti e duplicazioni".

Altro tema sul tappeto, conferma Paolo Sisto, è la "riduzione del numero dei parlamentari". Quando Enrico Letta aveva 17 anni, nel 1983, una bicamerale propose di legare il numero della "casta" alla popolazione votante censita (tagliando via circa duecento tra deputati e senatori); quando nel 1998, a 32 anni, Enrico Letta diventò il più giovane ministro della storia repubblicana, era già naufragata la proposta di D'Alema, in tenuta costituente per ridurre i senatori a 200 e a 400 i deputati.

fonte  http://espresso.repubblica.it/dettaglio/oddio-torna-la-bicamerale/2207317

Nessun commento:

Posta un commento