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venerdì 31 maggio 2013

I DOLORI DEL GIOVANE LETTA

di Daniele Della Bona
SCRITTO DA REDAZIONE IL . PUBBLICATO IN ATTUALITÀ

Nonostante gli annunci di facciata a favore di politiche per la crescita, contro la disoccupazione e per il rinnovamento di un’Unione Europea che diventi più solidale, il nuovo governo di Enrico Letta ha dichiarato a più riprese di voler continuare sulla strada del “Più Europa” (ossia del più Euro), condannando in questo modo non solo l’Italia a un’altra stagione di lacrime e sangue ma anche se stesso (se posso azzardare una facile previsione) al suicidio politico, visto che promettere cose che sono irrealizzabili all’interno della gabbia dell’Eurozona porterà gli elettori, presto o tardi, ad azzerare il partito che Letta rappresenta (poco male direi).
Come dicevo Letta è stato chiarissimo sull’impronta del suo governo smaccatamente pro Euro (dopo tutto non ci si poteva aspettare niente di diverso da uno che ha scritto un libro nel 1997 dall’eloquente titolo Euro sì, morire per Maastricht, direi che sarà presto accontentato).
Ecco una rassegna delle sue dichiarazioni da neo premier:
29 aprile 2013
«Questo governo agirà come un padre di famiglia, un padre di famiglia non fa debiti» (fonte).
Peccato che lo Stato non sia affatto una famiglia e che il suo debito equivalga al credito dei cittadini, come si vede dal grafico sotto, (ovviamente quando non deve andare a coprire una spesa per interessi esorbitante che favorisce solo le banche come avviene con l’Euro oggi e come è accaduto da dopo il divorzio il divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia, vedi qui).
Ma scusate, la spesa pubblica in deficit se rappresenta lo stipendio di un insegnante, di un medico, se è destinata alla costruzione di una scuola o alla riqualificazione ambientale come può essere dannosa per i cittadini?
saldi settoriali italiani
Ma andiamo avanti:
«Abbiamo accumulato in passato un debito pubblico che grava sulle generazioni presenti e future e che rischia di schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese. Il grande sforzo di risanamento compiuto da Monti e’ stato premessa della crescita» (fonte).
Sulla stessa falsariga di Mario Monti, Letta continua a imputare la causa della crisi all’eccessivo debito pubblico italiano. Una diagnosi smentita non solo dai dati (vedi grafico sotto) ma anche dalla stessa Commissione Europea (vedi qui e qui): il problema per i paesi più colpiti dalla crisi è stato l’indebitamento privato verso l’estero e l’Italia, in misura comunque minore, non fa eccezione, visto che il suo debito pubblico è calato a partire dal 1999 e fino allo scoppio della crisi finanziaria made in USA.
Figura 3.
30 aprile 2013
«Non vogliamo modificare il fiscal compact, rispetteremo gli impegni presi sul deficit, l’Italia continuerà sulla politica di contenimento e di risanamento dei conti, farà i suoi compiti a casa» (fonte).
Il fiscal compact obbligherà lo Stato italiano al pareggio di bilancio, che in conformità al trattato è stato inserito anche nella Costituzione, (nel primo grafico sui saldi settoriali avremo un settore pubblico obbligato a un saldo nullo e quindi il saldo del settore privato sarà positivo solo a patto di avere un surplus nei confronti dell’estero, cosa che ci costringe a una battaglia fratricida verso il basso per tagliare i salari dei lavoratori e diminuire così i costi per le imprese, in modo da rendere più convenienti all’estero i nostri prodotti). Inoltre, agli Stati con un rapporto debito pubblico/Pil superiore al 60% è imposto il rientro entro vent’anni al di sotto di questa soglia, con un ulteriore impoverimento del settore privato dato che il governo dovrà prelevare denaro dalle tasche dei cittadini a colpi di circa 45 miliardi di Euro l’anno per abbassare il proprio debito (in pratica il corrispettivo di due Imu all’anno).
L’impegno sul fronte dei conti pubblici è stato preso anche di fronte a chi conta davvero in Europa:
«L’Italia esce da questa crisi forte di un impegno: quello di continuare sulle politiche di risanamento e mantenimento dei conti pubblici» (fonte).
2 maggio 2013
Ma arriviamo alla vera perla, in senso negativo ovviamente.
«Nell’attuale normativa sul lavoro vi sono alcuni punti che in questa fase recessiva stanno creando problemi come ad esempio le limitazioni sui contratti a termine, che sono necessarie in una fase economica normale, ma che in una fase di straordinaria recessione come quella l’attuale non sono utili, e per questo è necessaria una minore rigidità per questo tipo di contratti» (fonte).
Per chi non avesse capito, un Presidente del Consiglio di “sinistra” (per quelli che ancora ci credono) dice pubblicamente che ci sono troppe limitazioni sui contratti a termine e che c’è bisogno di ancora minore rigidità (ossia maggiore flessibilità/precarietà), cioè sta dicendo agli elettori che dovrebbe rappresentare (mi riferisco ai lavoratori) che devono essere ancora più precari e flessibili e lo fa pubblicamente senza che nessuno dica niente.
Bene, adesso sappiamo cosa ci aspetta sulla strada per gli Stati Uniti d’Europa.

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