In democrazia – e non solo in democrazia – un’élite che presentasse risultati così devastanti sarebbe derisa, dileggiata e cacciata via su due piedi, e non certo per essere sostituita dal primo che passa. Da noi, invece, «l’élite non si critica, se non con il dovuto garbo e una cortina fumogena davanti». Così, può continuare impunemente a «celare la sua incompetenza», per dirla con Piergiorgio Gawronski, che preferisce evitare di parlare di piani egemonici oligarchici programmati a tavolino per produrre l’attuale economicidio scientifico dell’Eurozona. A parlare sono le cifre: i “sudditi” dell’euro sono gli unici al mondo a non poter utilizzare l’arma regina contro la crisi, cioè la moneta sovrana. Vi ricorrono tutti gli altri, e con risultati apprezzabili, facendo esattamente il contrario dell’Unione Europea: meno rigore, più spesa pubblica, più deficit positivo. Come per incanto, riprendono a crescere il Pil, i fatturati, l’occupazione e, ovviamente, anche la “fiducia” dei mercati: che non ha bisogno di “conti in ordine”, ma di prospettive positive.
Sul “Fatto Quotidiano”, Gawronski rievoca conversazioni con dirigenti del Pd, secondo i quali la linea espansiva di Obama era “una follia”. Il giornalista mette a confronto Usa, Gran Bretagna e Spagna: il primo paese è uscito dal tunnel perché ha aumentato il debito pubblico per produrre posti di lavoro, il secondo si è rivelato più timido, a metà strada tra Washington e Bruxelles, mentre Madrid è precipitata nella catastrofe del rigore firmata Bce. Gli Stati Uniti, dotati di moneta sovrana e «una banca centrale non liberista», hanno attuato politiche monetarie espansive e realizzato un moderato stimolo di bilancio: «Quando il deficit è schizzato all’8% a causa della crisi», invece di fare austerità Washington «ha aumentato la spesa pubblica e ridotto le tasse», senza timore di portare il deficit oltre il 10%. Il secondo paese è il Regno Unito: «Come gli Usa, ha una moneta e una banca centrale indipendente, non troppo liberista. Ma nel 2010 il governo conservatore ha impresso al bilancio una svolta di austerità: meno spesa pubblica». Il terzo paese, la Spagna, «non ha sovranità monetaria» e dipende dalla Bce, che «ha una visione “liberista” dellapolitica economica», con l’aggravante che i trattati europei come il Fiscal Compact «hanno imposto fin dall’inizio politiche di bilancio restrittive».
Risultati. Com’è noto, negli Usa la disoccupazione è al 7,5%, mentre in Europa è al 12,1% e in Spagna addirittura al 28%, in linea con la «profonda sofferenza» di moltissimi paesi europei. E com’è andato il risanamento fiscale? Intanto, «i tassi d’interesse Usa sono sempre rimasti bassissimi, né c’è mai stata traccia del panico finanziario che ha travolto l’Europa: perciò non è vero che i mercati finanziari vogliono l’austerità». E’ noto infatti che a motivare gli investimenti non è il rigore nei bilanci, ma l’aspettativa per il futuro: che nell’Eurozona è letteralmente crollata. La Spagna ha subito cercato di contenere i deficit, senza fare molto meglio degli Usa. «Con il passare del tempo, tuttavia, la contrazione della base imponibile ha impedito alla Spagna di rispettare i programmi di rientro». Ovvio: se crollano i redditi, soffre anche il bilancio. «Gli Usa, viceversa, sembra che non facciano nulla per correggere il deficit: tuttavia nel 2012 c’è il sorpasso nei confronti della Spagna».
Quanto al Regno Unito, «fino al 2010 evita le politiche di austerità e ritrova la crescita, più o meno in linea con gli Usa», ma nel 2010 Cameron impone l’austerità. In prima battuta, il deficit 2011 scende al 7,9%. «È una scelta lungimirante?». Nonostante la svalutazione della sterlina e il “quantitative easing” della Bank of England, segnala Gawronski, l’economia inglese va in stallo e le prospettive della finanza pubblica precipitano: così, nel 2012 anche il Regno Unito subisce il sorpasso Usa. I grafici parlano chiaro: in un primo momento, l’austerità imposta alla Spagna è riuscita (meglio che negli Usa) a contenere l’aumento del rapporto fra debito e Pil, sebbene «a prezzo di grandi sacrifici». Ma, nel lungo termine, ecco che la “follia” degliUsa paga, grazie alla crescita del Pil prodotta proprio dall’aumento della spesa pubblica. E attenzione: «Le stimeUsa continuano ad essere riviste in meglio, le stime della Spagna in peggio». Conclusione: «Gli Usa hanno battuto la crisi fiscale con politiche monetarie e fiscali espansive», e se Londra «ha limitato i danni dell’austerità grazie alle politiche monetarie espansive», la Spagna del rigore «è andata peggio di tutti, anche per il rifiuto della Bce di fare da prestatore di ultima istanza».
Questi dati sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare da quelli «dell’élite che dirige il paese, interviene, pontifica, fa e disfa». Pur avendo dimostrato la propria inadeguatezza di fronte alla crisi, i nostri “oligarchi” non pensano affatto di avere delle responsabilità. «Il nostro fallimento – aggiunge Gawronski – io lo riconduco alla mancanza didemocrazia: l’élite non si discute». Prendete Napolitano: «Ha sbagliato tutto, ma non ne ha colpa. Nel 2011 ha sostituito un governo Berlusconi disastroso con un governo di alto profilo, ma ha scelto per presiederlo l’economista più noto, quello sbagliato». Inoltre, il presidente della Repubblica si consulta con la Banca d’Italia, l’Istat, la Bce, cioè con i vertici istituzionali, «che lo han consigliato male». E ora, «Letta e le “larghe intese” sono il frutto dell’assenza di una visione alternativa su come sia davvero possibile uscire dalla crisi presto e bene».
Questo, osserva Gawronski, chiama direttamente in causa anche i media: Floris, Vespa, Santoro. Giornalisti che «invitano sempre quelli che hanno sbagliato tutto, senza un minimo di controllo di qualità». Per non parlare del Pd, «ormai unico baluardo italiano a difesa delle regole suicide dell’Eurozona». Non si salva neppure il “Movimento 5 Stelle”, perché «non ha dato spazio politico a questa visione alternativa» da opporre al potere nefasto della Bce, «la peggiore banca centrale del mondo». Nel film “11 Settembre 1683” un principe cristiano chiede al re di Polonia: “Ma perché insistete nel volere il comando?” E il re risponde: “Perché io so come vincere questa battaglia”. «Questa è l’unica scusante, l’unica giustificazione morale dei privilegi del potere. In caso contrario – conclude Gawronski – il potere è moralmente illegittimo».
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