Addio Fiom, fine dell’equivoco: Maurizio Landini evita addirittura di denunciare i responsabili della crisi, guardandosi bene dal ventilare possibili soluzioni. Mentre Usa e Giappone reagiscono alla recessione nell’unico modo possibile, cioè battendo moneta sovrana per aumentare la spesa pubblica, l’Eurozona strangolata dalla moneta unica “privatizzata” dalla Bce riduce il bilancio statale alla canna del gas, falcidiando aziende e lavoratori. E il sindacato dei metalmeccanici Cgil che fa? Si limita agli slogan – diritto al lavoro, istruzione, salute, reddito, cittadinanza, giustizia sociale e democrazia – senza neppure dire perché tutti questi obiettivi oggi sono lontani, e per colpa di chi. «Con gli slogan non si otterranno posti di lavoro», avverte Anna Lami, che osserva come la strada maestra seguita dalla Fiom resta «quella delle gite nella capitale assolata, con le celebrity a fare discorsi edificanti dal palco».
«La priorità è il lavoro, non l’Imu», arringa Landini. Per il leader sindacale, i primi provvedimenti presi da Palazzo Chigi «non ci fanno uscire dall’emergenza, non ci fanno guardare al futuro». Al contrario, «occorrono la riforma della cassa integrazione e il reddito di cittadinanza». Ottimi slogan, certo. «Ma per restituire centralità alle rivendicazioni – scrive la Lami su “Megachip” – la Fiom dovrebbe attuare una strategia in netta discontinuità rispetto a quanto fatto in questi anni». A maggior ragione oggi, «se l’interlocutore è l’esecutivo di larghe intese Napolitano-Letta-Berlusconi: è come chiedere al lupo cattivo di non mangiare cappuccetto rosso». Il peggior cruccio di Landini? Polemizzare col Pd perché non presente ufficialmente in piazza. «Come se il Pd fosse ancora da considerare un interlocutore affidabile per il mondo del lavoro», osserva l’analista di “Megachip”. «Come se prima delle “larghe intese” con Berlusconi», il partito di Bersani «non avesse appoggiato il governo “tecnico” di Mario Monti, sempre in combutta con il Pdl».
«La sfilata a cui abbiamo assistito – aggiunge Anna Lami – era dunque niente più che una manifestazione di rito, a cui hanno preso parte (numeri reali) 25-30 mila persone», in gran parte pensionati dello Spi-Cgil, «mentre il clima generale ricordava più una gita del dopolavoro che un corteo combattivo in grado di rappresentare la rabbia e la sofferenza diffusa». E dire che il 16 ottobre 2010 la stessa Fiom, allora mobilitata contro Marchionne, nella medesima piazza San Giovanni aveva portato mezzo milione di manifestanti. «Meno di tre anni – prende nota la Lami – hanno profondamente segnato la storia dell’organizzazione dei metalmeccanici, che si è tramutata nell’ombra del più antico e glorioso sindacato italiano», oggi «piegato e svilito da una linea politica rinunciataria, passiva, perdente». Una linea che ha sostituito coi ricorsi in tribunale la trincea del conflitto sociale, «unica strada, seppur difficile, per difendere veramente i diritti dei lavoratori».
Addirittura Landini aveva preannunciato che l’iniziativa del 18 maggio non sarebbe stata contro il governo. E contro chi, allora? Contro nessuno? «E perché mai i lavoratori dovrebbero partecipare ad un corteo contro nessuno?», si domanda Anna Lami. E’ «come se nessuno fosse responsabile del massacro sociale, dell’austerità e dell’annientamento dei diritti». E se Landini dal palco precisa che «noi siamo qui perché non rinunciamo ad un’idea di fondo, quella di cambiare questo paese», letteramente «ci sfugge come possa credere di cambiare questo paese temendo di chiamare per nome e per cognome gli avversari dei lavoratori che dovrebbe rappresentare». Tutto questo, conclude l’editorialista di “Megachip”, «senza spendere nemmeno una parola per denunciare l’abominevole matrimonio Cgil-Cisl-Uil con Confindustria, chiamato anche “accordo sulla rappresentanza e democrazia”, che riserva ai soli sindacati complici la possibilità di agire all’interno dell’ambito di lavoro. In pratica la generalizzazione del modello Marchionne».
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