εὕρηκα

εὕρηκα
HOME PAGE

domenica 26 maggio 2013

la Fiat se ne va

Elkann conferma: la Fiat se ne va - di Andrea Angelini













Piccoli Agnelli crescono. Male. John Elkann primo azionista e presidente della Fiat non ha mutato le storiche abitudini di famiglia come quella di ritenere che tutti i contributi pubblici e i regali veri e propri ricevuti nel corso di più di un secolo fossero dovuti e che il Lingotto non ha nessun motivo di sentirsi in debito con il nostro Paese. Il nostro, evidentemente non il loro perché l’intera Famiglia è compatta nella decisione presa da anni di smobilitare gli stabilimenti dell’auto in Italia e di trasferire la sede direttiva negli Usa dove entro l’anno verrà formalizzata la fusione societaria e industriale di Fiat Auto con la controllata Chrysler. Una Chrysler che, a differenza della sua controllante, e grazie agli aiuti finanziari consistenti ricevuti da Barack Obama ha continuato a sfornare nuovi modelli e a tornare presto in utile. Del resto perché stupirsi? Senza aiuti pubblici non possiamo restare in Italia, hanno fatto capire gli eredi dell’Avvocato, non più disposti ad investire soldi propri, che poi sono i nostri, nel senso di noi italiani, per produrre vetture che richiedono un impegno che non può essere di tutti. Non si può pensare infatti di fare grande un’azienda e di svilupparla se si continuano a realizzare soltanto modelli come la 500 e la Panda (cittadine) o la Punto (utilitarie) che si rivolgono ad una clientela medio-bassa e che assicurano scarsi profitti, nel rapporto tra costi e ricavi. Le concorrenti estere europee al contrario hanno investito in tutti i segmenti di mercato e i risultati le hanno premiate tanto da portarle ad occupare fette di mercato nelle quali la Fiat era presente. Ma non si è trattato tanto di incapacità quanto di mancanza di volontà di produrre modelli che, fra le altre cose, implicano l’esistenza di una strategia di lungo periodo che ai torinesi manca completamente. Per un oltre cento anni gli Agnelli e gli altri rami della ex famiglia più ricca d’Italia hanno invocato a pieni polmoni che anche quella italiana fosse una economia basato sul Libero Mercato, ossia sulla concorrenza. In realtà è stata sempre la Fiat di Valletta e dell’Avvocato ad ottenere che l’Italia fosse un mercato protetto nel quale gli stranieri non potessero impiantare fabbriche d’auto. Vedi l’Alfa Romeo praticamente regalata dallo Stato. Un Paese nel quale le importazioni di auto di altre case estere fossero contingentate. Poi con il vero arrivo del Libero Mercato, libero per tutti, la musica è cambiata e per la Fiat è stata notte fonda. Perché ha cominciato a pesare la qualità del prodotto che i torinesi avevano perso di vista, troppo presi come erano dal raggiungere un equilibrio tra il gruppo Fiat e le società finanziarie di famiglia che le controllavano e ancora le controllano. Poi, dopo la morte dell’Avvocato le protezioni bancarie e politiche si sono dissolte come neve al sole e le banche non hanno più voluto e potuto continuare a sostenere l’indebitamento del gruppo Fiat ed hanno preteso due cose. Di trasformare i propri crediti in azioni e che gli Agnelli tirassero fuori i soldi per ricapitalizzare la società. Una scelta che ha particolarmente colpito nel portafoglio la Famiglia che pensava di poter continuare a comandare grazie al collaudato meccanismo dell’ingegneria finanziaria, imparati nella Mediobanca di Enrico Cuccia, in base al quale gli altri azionisti, quelli piccoli, sganciano i quattrini e gli azionisti di controllo, appunto gli Agnelli, incassano la fetta maggiore della torta.
Sentendosi cittadino del mondo, ed essendo fautore del mercato globale, Elkann senior non ha incontrato alcun problema nel dichiarare che “più si va avanti, più il concetto di sede non ha molto senso, visto che le grandi aziende hanno molte sedi”. Ma se la sede del gruppo Fiat-Chrysler emigrerà a Detroit, e la prima controlla la seconda, con gli Agnelli-Elkann che controllano il 30% circa di Fiat Auto, è inevitabile concludere che l’operazione che si ha in testa è quella di spostare il centro direttivo oltre Atlantico per permettere da un lato l’addio progressivo della Famiglia all’auto. E dall’altro, attraverso l’ingegneria finanziaria, creare un gruppo Chrysler-Fiat nel quale i torinesi saranno minoritari come numero di azioni. Toccherà quindi ai soci americani l’onere di comunicare la chiusura delle fabbriche italiane (tranne la Maserati e la Ferrari), ad una distanza di sicurezza dalla giusta rabbia degli operai lasciati per strada. Oltretutto, mentre la Fiat non ha investito in nuovi modelli, la Chrysler lo ha fatto. Ed ora si vive il paradosso di una controllata che sta meglio della controllante ed è forte di utili veri. Una peculiarità tale da rendere possibile il ribaltone azionario.
Elkann ha cercato di bloccare le inevitabili polemiche contro la svolta “atlantica” sostenendo che la Fiat ha un mercato importante in Europa governato da Torino, uno importante in Nord America gestito da Detroit, uno in Sud America da Belo Horizonte e in Asia da Shangai. E in base a questa filosofia, dopo Fiat Auto, Elkann e Marchionne stanno per trasferire la sede operativa di Fiat Industrial in Inghilterra e quella legale andrà in Olanda dove, grazie ad una legislazione ad hoc, la società sarà di fatto non scalabile. E soprattutto si pagheranno meno tasse sulle società che in Italia.


Fonte: www.rinascita.eu

Nessun commento:

Posta un commento