“Giovani italiani, costruirete un mondo nuovo”
“Questa generazione è quella da cui comincerà il cambiamento” dice Vandana Shiva. E indica la strada: dare più diritti alla Terra. Una rivoluzione. Che partirà da Milano
di Marina Terragni - 13 giugno 2013
Vandana Shiva, 61 anni.
Mattia Zoppellaro
Mattia Zoppellaro
Una piccola donna in sari, che sorride e parla melodiosamente. Ma a colpire sono gli occhi: lo sguardo attento di una bambina che guarda il mondo come se fosse appena nato insieme a lei. Vandana Shiva è una fisica quantistica, madre dell’eco-femminismo. Autrice di bestseller come Terra Madre. Sopravvivere allo sviluppo, Monoculture della mente, Le guerre dell’acqua, nel 1982 ha fondato il Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy. È fra i principali leader dell’International Forum on Globalization e nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood Award, premio Nobel alternativo. Da anni combatte per la salvaguardia della differenza contro i colossi del tecno-alimentare, che con i loro brevetti sulle sementi distruggono la biodiversità, isteriliscono la terra e mandano in rovina i contadini.
Vandana è anche madrina e prima firmataria della Carta Universale dei Diritti della Terra Coltivata (Dignità, Integrità, Naturalità e Fertilità) presentata dall’European Socialing Forum. L’idea è fare di Milano, in occasione di Expo 2015, la capitale mondiale della salvaguardia di questi diritti. Chiediamo a Vandana, grande amica dell’Italia - è anche vicepresidente di Slowfood - se può regalarci una visione per il nostro Paese. «Il vostro talento è uno straordinario senso della qualità. Una specie di istinto unico al mondo» spiega. «La cura nel presentarsi agli altri. L’abito. Un livello irrinunciabile di dignità che prescinde da quello che sei e dal lavoro che fai. Come se ci fosse un diritto alla bellezza per tutti. E la qualità del cibo, la grande attenzione a come viene coltivato, lavorato, cucinato...».
La nostra “crescita” è qui?
La vecchia idea di crescita quantitativa è al capolinea. È il cuore della crisi. Chi ci ha condotto nel baratro vorrebbe continuare con quel modello, secondo cui la realtà non esiste, esistono solo numeri. Il tavolo a cui sediamo: loro considererebbero solo le misure, quanto costa trasportarlo e il business che ci si potrebbe fare. Un processo di astrazione ed estrazione. Ma quei numeri misurano anche l’impoverimento della natura e della comunità.
Qualche mese fa a Ballarò il finanziere Davide Serra disse che i suoi argomenti erano “ridicoli”. Le idee di Vandana, ma anche di Elinor Ostrom, di Amartya Sen e di altri “illuminati” sarebbero buone per i dibattiti, ma non quando si tratta di decidere e di fare politica.
Con la globalizzazione la democrazia è diventata lo strumento politico delle multinazionali, gestito direttamente da loro e nel loro interesse. Si vede perfettamente nel campo del cibo. La politica dovrebbe fare il bene dei coltivatori e di chi si alimenta. Invece le lobby lavorano per la Monsanto e le altre multinazionali. Il 6 maggio la Commissione Europea ha presentato una bozza di legge contro la biodiversità delle sementi: se dovesse passare, sarebbe Bruxelles a dire ai contadini toscani che cosa coltivare e da chi comprare i semi. Chi usasse semi suoi sarebbe fuori legge.
È come voler brevettare l’anima o l’amore. Si può fare qualcosa?
Ci si può riprendere la democrazia. Si può fare in modo che tornino a decidere i cittadini. Non c’è solo l’Europa. Ci sono vari livelli di governo: nazionale, subnazionale, regionale, locale. È a livello locale che la democrazia va ripensata e rinnovata. Una democrazia per tutta la Terra, ma agita nelle comunità reali.
Vandana è anche madrina e prima firmataria della Carta Universale dei Diritti della Terra Coltivata (Dignità, Integrità, Naturalità e Fertilità) presentata dall’European Socialing Forum. L’idea è fare di Milano, in occasione di Expo 2015, la capitale mondiale della salvaguardia di questi diritti. Chiediamo a Vandana, grande amica dell’Italia - è anche vicepresidente di Slowfood - se può regalarci una visione per il nostro Paese. «Il vostro talento è uno straordinario senso della qualità. Una specie di istinto unico al mondo» spiega. «La cura nel presentarsi agli altri. L’abito. Un livello irrinunciabile di dignità che prescinde da quello che sei e dal lavoro che fai. Come se ci fosse un diritto alla bellezza per tutti. E la qualità del cibo, la grande attenzione a come viene coltivato, lavorato, cucinato...».
La nostra “crescita” è qui?
La vecchia idea di crescita quantitativa è al capolinea. È il cuore della crisi. Chi ci ha condotto nel baratro vorrebbe continuare con quel modello, secondo cui la realtà non esiste, esistono solo numeri. Il tavolo a cui sediamo: loro considererebbero solo le misure, quanto costa trasportarlo e il business che ci si potrebbe fare. Un processo di astrazione ed estrazione. Ma quei numeri misurano anche l’impoverimento della natura e della comunità.
Qualche mese fa a Ballarò il finanziere Davide Serra disse che i suoi argomenti erano “ridicoli”. Le idee di Vandana, ma anche di Elinor Ostrom, di Amartya Sen e di altri “illuminati” sarebbero buone per i dibattiti, ma non quando si tratta di decidere e di fare politica.
Con la globalizzazione la democrazia è diventata lo strumento politico delle multinazionali, gestito direttamente da loro e nel loro interesse. Si vede perfettamente nel campo del cibo. La politica dovrebbe fare il bene dei coltivatori e di chi si alimenta. Invece le lobby lavorano per la Monsanto e le altre multinazionali. Il 6 maggio la Commissione Europea ha presentato una bozza di legge contro la biodiversità delle sementi: se dovesse passare, sarebbe Bruxelles a dire ai contadini toscani che cosa coltivare e da chi comprare i semi. Chi usasse semi suoi sarebbe fuori legge.
È come voler brevettare l’anima o l’amore. Si può fare qualcosa?
Ci si può riprendere la democrazia. Si può fare in modo che tornino a decidere i cittadini. Non c’è solo l’Europa. Ci sono vari livelli di governo: nazionale, subnazionale, regionale, locale. È a livello locale che la democrazia va ripensata e rinnovata. Una democrazia per tutta la Terra, ma agita nelle comunità reali.
Vede segnali di un neo-rinascimento?
In tutto il mondo. Tra i 600 mila contadini con cui collaboro. In Bhutan, dove si è scelto di abbandonare il concetto di Pil per valutare il benessere effettivo. Ma non è l’unico trend. Dobbiamo decidere quale futuro vogliamo: se imparare a sentirci tutti parte della comunità umana e della terra vivente, o intraprendere una guerra globale e a ogni livello.
La filosofa Julia Kristeva dice che quando c’è un cambio di civiltà nessuno ride. La fine della civiltà patriarcale costa molto, specie alle donne.
I rischi sono enormi, perché il patriarca insicuro è molto pericoloso. In India vediamo un’incredibile esplosione di violenza contro le donne.
La vediamo anche in Italia. Colpi di coda dell’animale morente?
Un animale morente è sempre feroce. C’è solo un modo per fronteggiarlo: non-violenza, compassione. Diversamente saremo specchi che riflettono e moltiplicano quella paura, quella violenza. E fermeremo il cambiamento.
Le donne lottano per entrare in politica e nelle stanze dei bottoni: è lì che possono esprimere la loro autorità e sapienza?
Sono una fisica quantistica. Non penso in termini di alternative che si escludono, ma di possibilità coesistenti. La maggior parte delle donne non vuole entrare nelle istituzioni, perché il modo in cui sono concepite e organizzate le pone “naturalmente” in minoranza. Preferiscono esprimere autorità e saggezza nei loro contesti di vita e di lavoro. Ma anche se quelle istituzioni ci sembrano vecchie, corrotte e inefficaci, non possiamo lasciarle nelle mani di pochi, e solo uomini.
Vorrei che dicesse qualcosa ai giovani: in Italia siamo al 40 per cento di disoccupazione, con punte di 50 nel Sud.
Essere inoccupati non significa essere inutili. I giovani italiani non devono pensarsi come la “generazione perduta”. Semmai devono imparare a vedersi come la generazione del cambiamento, quella che costruirà il mondo nuovo. Si arriverà ad altri modelli educativi, ad apprendistati diversi. Ma il più grande cambiamento sta nel fatto che invece di aspettare qualcuno che ci dia lavoro, lo creeremo noi stessi, in collaborazione con altri.
Lei non perde mai la fiducia? Ci sono stati grandi hoffnungsträger (portatori di speranza) come Alexander Langer o Petra Kelly, che hanno ceduto sotto il peso del loro impegno.
Rifiuto di pensarmi come un Atlante con il mondo sulle spalle. È il mondo che porta me, non sono io a portare lui. Ogni giorno cerco di fare ciò che posso per difendere la Terra e gli sfruttati. Ci metto la mia passione e le mie forze, ma non penso affatto che tutto dipenda da me. Io sono solo parte del cambiamento, insieme a molti altri. Un atteggiamento che definirei “appassionato distacco.
Clarice Lispector, grande scrittrice ucraino-brasiliana, dice: “Il mondo indipende da me”.
Già. Per poter restare umili, è importante sapere di non essere indispensabili. E l’umiltà è più necessaria che mai. Dobbiamo entrare in un’età dell’umiltà, prenderci cura della Terra e di ogni vivente
In tutto il mondo. Tra i 600 mila contadini con cui collaboro. In Bhutan, dove si è scelto di abbandonare il concetto di Pil per valutare il benessere effettivo. Ma non è l’unico trend. Dobbiamo decidere quale futuro vogliamo: se imparare a sentirci tutti parte della comunità umana e della terra vivente, o intraprendere una guerra globale e a ogni livello.
La filosofa Julia Kristeva dice che quando c’è un cambio di civiltà nessuno ride. La fine della civiltà patriarcale costa molto, specie alle donne.
I rischi sono enormi, perché il patriarca insicuro è molto pericoloso. In India vediamo un’incredibile esplosione di violenza contro le donne.
La vediamo anche in Italia. Colpi di coda dell’animale morente?
Un animale morente è sempre feroce. C’è solo un modo per fronteggiarlo: non-violenza, compassione. Diversamente saremo specchi che riflettono e moltiplicano quella paura, quella violenza. E fermeremo il cambiamento.
Le donne lottano per entrare in politica e nelle stanze dei bottoni: è lì che possono esprimere la loro autorità e sapienza?
Sono una fisica quantistica. Non penso in termini di alternative che si escludono, ma di possibilità coesistenti. La maggior parte delle donne non vuole entrare nelle istituzioni, perché il modo in cui sono concepite e organizzate le pone “naturalmente” in minoranza. Preferiscono esprimere autorità e saggezza nei loro contesti di vita e di lavoro. Ma anche se quelle istituzioni ci sembrano vecchie, corrotte e inefficaci, non possiamo lasciarle nelle mani di pochi, e solo uomini.
Vorrei che dicesse qualcosa ai giovani: in Italia siamo al 40 per cento di disoccupazione, con punte di 50 nel Sud.
Essere inoccupati non significa essere inutili. I giovani italiani non devono pensarsi come la “generazione perduta”. Semmai devono imparare a vedersi come la generazione del cambiamento, quella che costruirà il mondo nuovo. Si arriverà ad altri modelli educativi, ad apprendistati diversi. Ma il più grande cambiamento sta nel fatto che invece di aspettare qualcuno che ci dia lavoro, lo creeremo noi stessi, in collaborazione con altri.
Lei non perde mai la fiducia? Ci sono stati grandi hoffnungsträger (portatori di speranza) come Alexander Langer o Petra Kelly, che hanno ceduto sotto il peso del loro impegno.
Rifiuto di pensarmi come un Atlante con il mondo sulle spalle. È il mondo che porta me, non sono io a portare lui. Ogni giorno cerco di fare ciò che posso per difendere la Terra e gli sfruttati. Ci metto la mia passione e le mie forze, ma non penso affatto che tutto dipenda da me. Io sono solo parte del cambiamento, insieme a molti altri. Un atteggiamento che definirei “appassionato distacco.
Clarice Lispector, grande scrittrice ucraino-brasiliana, dice: “Il mondo indipende da me”.
Già. Per poter restare umili, è importante sapere di non essere indispensabili. E l’umiltà è più necessaria che mai. Dobbiamo entrare in un’età dell’umiltà, prenderci cura della Terra e di ogni vivente
Nessun commento:
Posta un commento