Quello nato dopo la morte del Novecento è un mondo infinitamente più diseguale. Ed è un mondo che non offre alternative a se stesso. Sono queste le grandi sconfitte storiche della sinistra, ossia di una forza politica e culturale che possiede nel Dna il valore dell’eguaglianza e la capacità di immaginare un’alternativa allo stato di cose presente. La catastrofe del socialismo reale è parte della scomparsa della sinistra, che ne è stata paralizzata. Ma una sinistra che rinuncia a proporre un altrove cessa di essere sinistra. È nata proprio per quello. Accadde nel 1789 a Versailles, quando alla sinistra della presidenza dell’assemblea si schierarono coloro i quali erano contro il potere di veto del Re. Così cadde l’ultimo pilastro dell’Ancien Régime. Non c’è bisogno di alzare la ghigliottina. Basta un voto per sancire la fine di un ordine. E l’inizio di un altro.
La sinistra ha rinunciato a immaginare un’alternativa proprio nel momento in cui il mondo in cui aveva deciso di identificarsi stava entrando in crisi. Mi riferisco all’ultima reincarnazione del capitalismo – il “finanzcapitalismo”, secondo la felice definizione di Luciano Gallino – cioè un’economia già provata, che per tenersi in piedi ha bisogno del doping della finanza. Bene, quando la casa cominciava a manifestare le prime crepe, la sinistra s’è seduta alla tavola apparecchiata, contenta di esserci: finalmente siamo come gli altri. Una sorta di apocalisse culturale, sia sul piano delle filosofie – la fine della ricerca di senso – sia su quello sociale. Più che combattere il privilegio, l’impressione è che si sia cercato di entrare nella sua cerchia. Ma le radici cattive affondano nel Pci, di cui forse andrebbe riscritta la storia. Gli eredi delle sinistre novecentesche non sono stati all’altezza del compito. È un universo popolato di figure fragili. O perché continuano a proporre categorie che sono morte con il Novecento, con effetti patetici. O perché dalla Bolognina in poi – più che interpretare e governare i processi storici – hanno scelto di galleggiare su un senso comune condiviso.
C’è una sinistra radicale che muore volontariamente intestata, ossia senza testamento, ed è quella espressa da Rossana Rossanda. E la sinistra più istituzionale ha seguito altre rotte. La mia generazione – in questo senso – ha completamente fallito. Rappresentiamo nella politica un enorme buco nero. E il fallimento s’acuisce nei confronti delle nuove generazioni, che hanno tutte le ragioni per metterci sotto processo. Abbiamo monopolizzato l’idea della trasgressione senza riuscire a costruire un mondo vivibile e alternativo. Le nostre idee non sono state utilizzate dai poveri del mondo, ma dai supermercati. Vogliamo tutto, lo vogliamo subito. Bisogna uscire dall’involucro. Rompere la bolla in cui si è cacciata la politica. Una costellazione di oligarchie, in cui si diventa oligarchi alla velocità della luce. Nel momento in cui vieni eletto in Parlamento diventi altro da te. Ho visto persone cambiare, nello sguardo, nel linguaggio, nel modo di vestire. L’ho visto in tutti, quasi senza eccezioni. Se vuole ripartire, la sinistra deve spezzare quell’involucro.
(Marco Revelli, dichiarazioni rilasciate a Simonetta Fiori per l’intervista “Sentire lo scandalo della diseguaglianza sociale”, pubblicata da “Repubblica” e ripresa da “Megachip” l’11 agosto 2013).
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