Le bugie sul Fiscal Compact (voluto poi rinnegato) di Epifani
Il Fiscal Compact prevede il taglio di almeno 50miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni. Soldi sottratti a scuole, ospedali, infrastrutture, case popolari, creazione di nuovi posti di lavoro. Oggi Epifani dice che venne votato dal centrodestra. Ma non è vero: anche il PD lo approvò alla Camera e al Senato con entusiasmo solo un anno fa.
Dice Guglielmo Epifani – in un'intervista di oggi rilasciata al Corriere della Sera – che “il governo ha le mani legate dal peso del debito, dalle scelte dell'Europa che non si smuovono da una linea di austerità e dalla eredità del governo di centrodestra, che ha assunto il fiscal compact”. Il segretario del Partito Democratico tuttavia mente: il Fiscal Compact è stato ratificato non durante il governo Berlusconi, bensì durante quello Monti, appoggiato come ricorderete sia dal Pdl che da Pd e Udc. Furono le prime vere “larghe intese” e permisero all'esecutivo di varare non poche discutibili misure: basti pensare alla riscrittura dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, o alla Legge Fornero che da un giorno all'altro creò centinaia di migliaia di esodati. Poi fu la volta del Fiscal Compact: pochi sanno cosa sia, e più avanti spiegheremo anche perché è così importante per la “carne viva” degli italiani.
Il Fiscal Compact (nome esatto: Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria) è stato promulgato dal Presidente della Repubblica il 29 luglio del 2012. Prima, come è ovvio, è stato votato sia al Senato (il 12 luglio del 2012) che alla Camera (il 19 luglio del 2012), dove ha raccolto la larghissima maggioranza dei voti favorevoli, compresi quelli del Partito Democratico che – anzi – si espresse con toni entusiastici in merito al provvedimento. E' sufficiente dare un'occhiata ai documenti ufficiali dell'assemblea per scoprire, ad esempio, che nei confronti del deputato Francesco Tempestini (PD) si scrisse: “Manifestata condivisione per la politica economica attuata dal Governo che, tra l’altro, ha restituito credibilità all’Italia a livello europeo, ritiene che la grave crisi in atto non possa essere risolta esclusivamente mediante politiche di austerità, ma attraverso l’adozione di riforme strutturali, che garantiscano una domanda qualificata. Dichiara infine il convinto voto favorevole del suo gruppo sul disegno di legge di ratifica in esame”. Ovvero, appunto, il Fiscal Compact. Ma non è necessario cercare tra i documenti della Camera. E' più che sufficiente fare un giro nel sito del Partito Democratico per accorgersi che il Fiscal Compact – che oggi sembra essere diventato un problema – appena un anno fa rappresentava una delle strade da seguire per uscire dalla crisi. Lo rivendicava Bersani, ad esempio, che si spinse a dire che “l'approvazione risolve i problemi”, per poi dire che “non basta tirare la cinghia”. Di fatto, il Fiscal Compact venne varato con 368 voti favorevoli, 65 contrari e 65 astenuti.
Ma perché è così importante? Il provvedimento limita, almeno per i prossimi 20 anni, la sovranità dei singoli paesi che lo accettano in materia di politica economica e sociale. Il punto centrale del Fiscal Compact prevede infatti “l’impegno delle parti contraenti ad applicare e ad introdurre, entro un anno dall’entrata in vigore del trattato, con norme costituzionali o di rango equivalente, la ‘regola aurea’ per cui il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo”. “Qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60%, (in Italia siamo al 130%) le parti contraenti si impegnano a ridurlo mediamente di 1/20 all’anno per la parte eccedente tale misura”. “Qualsiasi parte contraente che consideri un’altra parte contraente inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dal patto di bilancio può adire la Corte di giustizia dell’Ue, anche in assenza di un rapporto di valutazione della Commissione europea"
Tutto ciò è alla base delle politiche di austerity condotte dal Governo Monti prima, e da quello Letta oggi, con buona pace del ruolo pubblico in economia. L'Italia è obbligata al rientro del 50% dell’ammontare complessivo del debito pubblico che eccede il 60% del PIL. Attualmente il nostro debito è pari a a 2.034 miliardi Euro. Che vuol dire, grossomodo, un taglio complessivo di circa 1.000 miliardi di euro (entro il 2043) e quindi una cinquantina di miliardi di euro all'anno. Naturalmente a questo va sommato il pagamento degli interessi sul debito (di circa 95 miliardi di euro all'anno. Fonte: il Sole 24 Ore). Ma non è ancora tutto: il Fiscal Compact viene applicato solo negli anni di non-recessione, così il termine dei vent'anni è destinato a slittare. Il periodo di applicazione sarà molto più lungo.
Che vuol dire tutto ciò? Vuol dire tagli ai servizi pubblici: scuole, ospedali, case popolari, infrastrutture, servizi di assistenza ai malati, ecc. Ma anche impossibilità a creare nuovi posti di lavoro veri. Oggi Guglielmo Epifani si accorge che il Fiscal Compact è disastroso e condanna l'Italia alla recessione. Ma dov'era il suo partito quando, oltre un anno fa, il provvedimento venne varato?
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