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sabato 20 luglio 2013

I pericoli della tecnocrazia europea

La strategia dell'Ue solo apparenza e nessuna sostanza.



















Rispetto a chi li attacca della crisi attuale, i burocrati europei si giustificano più o meno così: “avreste mai immaginato prima che l'Ue avrebbe creato un fondo ombrello per proteggere gli stati più deboli? O che la Bce sarebbe arrivata ad acquisire in modo illimitato i titoli obbligazionari dei stati più indebitati? O che si stanno gettando le basi per un'unione bancaria?”. Questa visione suona pragmatica, realistica e responsabile. Ma Wolfgang Munchau in The dangers of Europe’s technocratic busybodies sul Financial Times del 15 luglio non è tenero nel criticare quello che giudica essere solo apparenza e nessuna sostanza.
In primo luogo, questa visione si scontra con quello che gli scienziati politici descrivono come “distorsione di prospettiva”. A dominare a Bruxelles sono i “cani di combattimento inter-istituzionali”, con la Commissione europea il Consiglio ed il Parlamento impegnati a scontrarsi per difendere le proprie prerogative. Nei circoli politici di Bruxelles, per questo, la depressione economica non è nei primi problemi della lista, ma il successore di José Manuel Barroso come prossimo presidente della Commissione domina la maggior parte delle discussioni. La prospettiva distorta di Bruxelles è specificata in modo emblematico dal caso dell'austerità: gli ufficiali sottovalutano le cause profonde della crisi per concentrarsi solo su aspetti tecnici e legali. Quando difendono l'austerità, lo fanno partendo dall'attuale strutturazione dei trattati dell'Ue, che spiegano in dettaglio come l'aggiustamento fiscale deve avvenire nei singoli paesi, negando in modo abbastanza singolare gli effetti prodotti sulla disoccupazione. Anche se ormai tutte le prove e le analisi economiche più accurate ci dicano che questi programmi sono una perdita di tempo e soldi se non supportati dalla politica macroeconomica, il sistema continua a prescrivere la medicina sbagliata.
Il problema è quindi non una mancanza di risposta, ma una risposta sovraccarica di burocrazia che sbaglia il punto di riferimento.
Prendiamo, prosegue Munchau nella sua analisi, ad esempio il caso dell'Unione Bancaria. Ma i discorsi senza fine sugli aspetti tecnici e legali non porta da nessuna parte gli ufficiali europei e si perde di vista il punto nevralgico della questione: perché ragionare su un'unione bancaria se non si è pronti ad accettare una condivisione dei debiti o un'assicurazione in comune? I 60 miliardi allocati dal Mes per la ricapitalizzazione diretta delle banche è un semplice depistaggio vista la reale portata dell'indebitamento degli istituti creditizi: come ha ammesso il portavoce dei ministri delle finanze della zona euro in un'intervista la scorsa settimana, questi fondi sono solo un segnale politico. Accordo spot che non verrà utilizzato. 
Il problema, sottolinea il Columnist del Financial Times, è che l'euro-zona affronterà la questione della deflazione con lo stesso approccio. Pur essendo la minaccia più presente e più chiara per l'economia dei 17 paesi membri, la Bce stenta ad assumere un'azione decisiva per prevenire il circolo vizioso deflazionista. Non c'è un consenso interno nel board e l'istituto guidato da Draghi è solo stato in grado di dichiarare che i tassi non verranno alzati per un periodo non precisato. L'apparenza continua a trionfare sulla sostanza.
Coloro che continuano a dichiarare che l'Ue ha fatto più di quello che era immaginabile, conclude Munchau, stanno implicitamente dicendo che la situazione è migliore del passato ed il peggio della crisi sia ora alle spalle. Ma la realtà è un'altra: Grecia, Portogallo, Orlanda, Cipro, Spagna ed Italia hanno economie al collasso che continuano a contrarsi. Le previsioni ufficiali fanno finta che la ripresa sia dietro l'angolo, ma hanno sbagliato in passato e continueranno a farlo.

http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=2923&pg=5127

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