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venerdì 26 luglio 2013

Re Giorgio e l’onda lunga dell’antiparlamentarismo

di Angelo d’Orsi 

Beppe Grillo fa parlare di sé: il suo argomento fondamentale sono le ingiurie; il suo bersaglio preferito il Parlamento. Nei comizi-spettacoli della campagna elettorale, aveva toccato l’acme del successo con l’ormai famoso “Arrendetevi! Siete circondati…”, rivolto ai parlamentari, sui quali previamente erano state sparate salve di insulti. Una volta entrati i suoi militanti alla Camera e al Senato, qualche osservatore, ingenuamente, aveva ipotizzato che la polemica antiparlamentaristica sarebbe venuta meno nel discorso politico di M5S: naturalmente, sbagliava. Gli attacchi al Parlamento sono proseguiti, addirittura intensificandosi per qualità e quantità. La bizzarria è che sono diventati estremisti dell’antiparlamentarismo gli stessi eletti, neofiti dell’istituzione, i quali, ad ogni occasione, rivelano un imbarazzante, antico e persistente digiuno in fatto di norme, procedure e leggi, compresa quella fondamentale, ossia la Costituzione, che essi dichiarano di voler difendere (e talora lo fanno, lodevolmente). 

Il loro è spesso un antiparlamentarismo nei fatti, più che nelle parole, nelle pratiche più che nelle dichiarazioni; ad esse, del resto, si dedica lo stesso lìder maximo (Grillo, intendo) magari rincalzato dal fido consigliere-aspirante capo (l’impassibile Casaleggio), sia a voce, sia attraverso i minacciosi messaggi dal mitico Web (con la maiuscola). Ieri Grillo, che ha ormai un intero repertorio di metafore poco elogiative per riferirsi al Parlamento (tra le sue preferite c’è la “tomba maleodorante”) se ne è uscito con riferimenti alle “stalle invase da letame” (le Camere) il cui “lezzo” sarebbe “ormai insopportabile”. 

Forse una lezioncina di storia a questo comico fattosi politico di professione andrebbe impartita: Grillo sembra non sapere che Mussolini giunse al potere sulla base di una lunga opera volta a screditare il Parlamento, svolta con discorsi, articoli, libelli; il punto d’arrivo fu l’orazione con cui quegli che era già chiamato “duce”, inferse una scudisciata su quell’aula “sorda e grigia”, che avrebbe dovuto, a suo dire, dichiararsi felice per non aver dovuto subire l’invasione delle squadre delle camicie nere (ricordate? “Potevo trasformare quest’aula sorda e grigia in un bivacco per i miei manipoli…”). Prima era stato Gabriele d’Annunzio a ingiuriare il Parlamento, di cui pure era stato membro (poco diligente, tra l’altro); poi era toccato agli arditi futuristi del primissimo dopoguerra, Marinetti in testa, dar vita a disgustose performances nell’aula di Montecitorio, a loro volta favorite da un clima culturale fortemente imbevuto di polemiche contro quelli che già nel primo decennio postunitario, tale Petruccelli della Gattina aveva bollato come “i moribondi di Palazzo Carignano” (la capitale era ancora Torino, naturalmente). 

Gli esempi possono continuare. Ebbene, non produce qualche inquietudine la rievocazione di quegli accadimenti, al comico Grillo? Eppure la difesa d’ufficio, ovvia e persino scontata, benché naturalmente necessaria, da parte dell’attiva presidente della Camera, non tiene conto sufficiente del paradosso che risulta evidentissimo nel dato oggettivo, ossia che le filippiche grilline (di Grillo) e grillistiche (dei deputati di Grillo) contro i deputati “nominati”, “servi”, eccetera, provengono da deputati, nominati, e fino a prova contraria se non servi certamente succubi del loro capo supremo. 

La delegittimazione del Parlamento ha peraltro un trend tutto in ascesa, da anni; ed è stata portata avanti soprattutto da Berlusconi, dopo esser stata avviata da Bettino Craxi, il cui “decisionismo” era fastidio per la democrazia, mentre le “picconate” di Cossiga contro il Parlamento, che avrebbero dovuto portare all’impeachment ben prima delle sue dimissioni, avevano avuto l’effetto di una potente delegittimazione dell’istituzione, ma più in generale dello Stato e della sua carta fondamentale, di cui quel politico, eletto presidente da una maggioranza schiacciante di votanti, avrebbe dovuto essere il garante supremo. Poi era venuto Berlusconi, che aveva avviato la trasformazione delle due Camere in tribunale di famiglia dove stuoli di avvocati avevano il solo compito di proporre leggi ad personam (ossia a proprio beneficio) o contra personam (ricordiamo quella contro Caselli per la Procura nazionale antimafia, di cui beneficiò Pietro Grasso, che di là ha poi preso lo slancio che lo ha condotto alla seconda carica dello Stato).

Ma il colpo letale al sistema venne dall’interno, ossia dalle leggi, che, complice o addirittura primo attore, il partito post-comunista (incredibile!), ha sostenuto, dal maggioritario di Segni, al Mattarellum, fino al Porcellum: una sequenza delittuosa di leggi elettorali che hanno avuto il mirabile effetto di allontanare circa metà dell’elettorato dalle urne, ridotto di 4/5 gli iscritti ai partiti politici, abbassato in modo drastico il livello culturale e morale degli eletti e delle elette (divenuti nominati, dalle Segreterie dei partiti). Di qui l’infelicissima battuta di un cantautore che nell’aulica sede del consesso dell’Unione Europea, non ha esitato, nella convinzione di poter tutto dire, in quanto provvisto dell’aura della fama, a parlare di un “Parlamento di troie”; e ha trovato, ovviamente, i suoi difensori. 

Intanto, giunge notizia che in Bulgaria la popolazione di Sofia dà l’assalto alla sede del Parlamento, e costringe i deputati a barricarsi dentro. La destra specula, a Sofia, come a Roma, oggi come ieri, e scambia o finge di scambiare l’effetto per la causa. Se i parlamentari fanno schifo, dipende dai partiti, i quali sono lo specchio, un po’ più scuro e cupo, ma non infedele, della mitizzata “società civile”. Ormai, questa l’amara verità, appare tardi per rimediare. Il Parlamento, popolato perlopiù da lobbisti, manutengoli, procacciatori d’affari, e piccoli affaristi in proprio, è del tutto squalificato; non più di quanto, tuttavia, siano i partiti che li hanno nominati; o gli italiani (“il popolo”) che hanno avallato, rinunciando, pur con qualche brontolio, al diritto dell’elettore (tutto cominciò col referendum sul sistema maggioritario, che la maggioranza dei nostri concittadini succube di una propaganda sciagurata vide come panacea universale), o alla stessa pienezza delle funzioni della cittadinanza, acconciandosi a ritornare al ruolo di sudditi passivi e inerti.

Il paradosso finale è che dall’alto della carica prima della Repubblica, la sua presidenza, con un impercettibile e impeccabile lavorio ai fianchi, si sta operando per togliere vigore alla Costituzione “formale”, avallando silenziosamente una Costituzione “materiale”, nella quale il Parlamento è esautorato pressoché completamente e il capo del governo (dizione mussoliniana ritornata in voga con Berlusconi), diventa una specie di “Secondo console” accanto al Primo, ossia il Capo dello Stato. Ormai da anni Napolitano sta facendo politica come attore a pieno titolo, e risolve le crisi a modo suo, dalla “cacciata” di Berlusconi nel mitico novembre 2010, che ci mandò in visibilio, ma certo si trattava di operazione al limite delle prerogative presidenziali, come la successiva nomina di Monti; e l’attuale invenzione del governo delle larghe intese e la sua gestione di fatto (Letta appare un pallido esecutore, o ad essere generosi il primo violino, ma il direttore d’orchestra è “Re Giorgio”). E nulla ha da dire il supremo garante della Costituzione del tentativo in corso di destrutturare e manomettere la Carta dei Padri costituenti? L’ultimo serio baluardo di ciò che rimane della democrazia italiana? 

Paradosso finale, che va letto in parallelo alla polemica antiparlamentaristica del M5S: questo, che sta lodevolissimamente difendendo la Costituzione da improvvidi quanto insidiosi attacchi dall’interno (da parte del nuovo partitone di fatto: PD/PDL), lo fa insultando il Parlamento, di cui è parte; il presidente della Repubblica, “Lord protettore” della Costituzione, all’apparenza la osserva, ma nei fatti la stravolge, e ne consente addirittura la sua modifica essenziale, e, senza insultarlo (alla Grillo), o sbeffeggiarlo (alla Cossiga) delegittima in modo definitivo il Parlamento. 

Io non ho titoli per dare suggerimenti o esprimere rimbrotti verso il Capo dello Stato, ma Fausto Bertinotti, da Presidente emerito della Camera, li ha. E lo ringrazio pubblicamente per aver scritto quella “Lettera aperta” al capo dello Stato, con i suoi notevolissimi “Signor Presidente, Lei non può…”. Dieci punti che non si possono che sottoscrivere e che dovrebbero costituire la base, volti in positivo, per un programma di ricostruzione di una nuova e autentica democrazia.

M5S metta da parte le ingiurie del suo capo (e magari il capo stesso) e lasci stare le polemicuzze, e collabori alla costruzione di questa democrazia, oggi sotto attacco dall’interno e dall’esterno. In nome della sua difesa, che implica innanzi tutto la ferma tutela della Carta Costituzionale, occorre dar vita subito all’Arca della Salvezza, che riunisca forze interne ed esterne al Parlamento, pronte alla mobilitazione di piazza accanto all’azione nelle aule. M5S ci sta? 

(26 luglio 2013)

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