Quasi oscurata dalle altre notizie che hanno occupato le prime pagine dei giornali la settimana scorsa, la tematica più importante è un’altra: il nostro paese si prepara a svendere immobili e altri gioielli di famiglia, oltre a varare nuove norme, per un totale, parziale quanto si vuole eppure niente affatto modesto, di 400 miliardi. Lo scenario è pertanto inequivocabile: come era facile prevedere stiamo entrando in una nuova fase dello smantellamento del nostro Stato. Dopo l’ondata delle misure di austerità imposte da Monti, una delle ultime importanti cose che il governo del professore del Bilderberg e di Goldman Sachs non aveva fatto in tempo a mettere in pratica è ora nelle mani di Enrico Letta, anch’egli, come sappiamo, degli ambienti del “Gruppo”. Stiamo parlando delle privatizzazioni e della messa all’asta di ciò che è nostro, onde far fronte ai debiti accumulati nel tempo.
Il governo vorrebbe, con questa operazione, tagliare appunto 400 miliardi di debito pubblico, facendo fede così al Fiscal Compact in partenza dal 2015. Secondo Brunetta, 100 miliardi arriverebbero dalla vendita dei beni pubblici, 40-50 dalla costituzione e cessione di società per le concessioni demaniali (chi saranno i proprietari di tali società?), 25-35 miliardi dalla tassazione ordinaria delle attività finanziarie detenute in Svizzera (come se la cosa fosse facile da applicare…) e ulteriori 215-235 miliardi da questa “operazione choc” di svendita. Appunto. Operazione choc: già la si chiama nel modo adatto a farla digerire all’opinione pubblica come una cosa indispensabile, necessaria, e non procrastinabile. “Ce lo chiede l’Europa, ricordate?”.
Questa operazione, a quanto pare, dovrebbe essere confezionata nel modo seguente: si vuole individuare una porzione di beni patrimoniali e diritti dello Stato, sia a livello centrale sia a livello strategico, e venderli a una società di diritto privato di nuova costituzione. Questa – attenzione che si arriva facilmente al punto – sarebbe costituita e partecipata da banche, assicurazioni, fondi bancari e altri soggetti. Ripetiamo: banche, assicurazioni e fondi bancari, oltre a qualche soggetto privato evidentemente facoltoso. Chiaro il punto? Ma non solo: tale società emetterebbe obbligazioni a 15-20 anni garantite dai beni. E siccome si tratta di un soggetto privato, questi titoli non andrebbero a ingrassare il debito pubblico. Lo Stato incasserebbe il corrispettivo e lo porterebbe a riduzione del debito. Ma i beni, ovviamente, non sarebbero più “nostri”.
Si tratta, con tutta evidenza, di un furto in piena regola. Con una aggravante decisiva: chi sarà in grado di andare a comperare i nostri immobili e i nostri terreni è lo stesso soggetto che, attraverso la speculazione e la crisi, ci ha indotto a metterli in vendita. Anzi, in svendita. Il processo è certamente chiaro a tutti i lettori del “Ribelle”. Se dai primi anni Ottanta siamo stati costretti – per via delle leggi che i politici italiani hanno approvato senza che nessuno di noi, ipnotizzato negli anni del boom economico se ne rendesse pienamente conto – a offrire nelle mani della speculazione internazionale il finanziamento dei nostri titoli di Stato, è esattamente da allora che abbiamo iniziato ad accumulare debito pubblico in maniera abnorme. Conti alla mano, la cosa non è in discussione. Sino a un anno addietro eravamo “appena” al doppio di allora, cioè a circa il 120 per cento. Complici la crisi indotta dalla finanzasovranazionale e i governi che attraverso tale crisi ci hanno imposto le misure che non hanno fatto che aggravarla ulteriormente ai nostri danni, oggi siamo arrivati, in tema di debito pubblico, a circa il 130 per cento. E probabilmente a fine anno si andrà ben oltre.
Per risolvere la situazione, visto che con le misure adottate non si può che continuare a farla incancrenire, adesso si arriva dunque alla svendita di noi stessi. Cioè del nostro patrimonio pubblico. Chi ha guadagnato da tutta l’operazione mediante i tassi di interesse crescenti che siamo stati costretti a pagare, e che saremo costretti a pagare anche in futuro, si trova dunque oggi con un gruzzolo cospicuo in tasca. E questo, sempre da parte degli stessi soggetti, sarà dunque utilizzato, a breve, per venire a fare spese in casa nostra. A prezzi di realizzo, ovviamente. E con un allibratore di provata fiducia, visto che Letta proviene dagli stessi ambienti. Prima ci hanno “creato” il debito, poi ci hanno fatto aumentare i tassi di interesse, quindi ci hanno imposto le condizioni per ripagarlo, e adesso ci requisiscono il patrimonio a prezzi da “monte dei pegni”. Una operazione di strozzinaggio legalizzato, insomma.
La lista degli immobili e del patrimonio in svendita non è ancora completa. E si tratta, ribadiamo, di una lista parziale ancora da approvare. Ma è certo che verso quella direzione si sta andando e che quella si proseguirà. Come peraltro già avvenuto in altri paesi, vedi ad esempio la Grecia e la svendita di aziende pubbliche, quando non di vere e proprie isole. Per ora la Banca d’Italia, dalla quale è necessaria l’autorizzazione (che ovviamente non mancherà, visto che è di proprietà delle banche e dunque dei banksters stessi) ha inviato una prima lista di 350 immobili per un valore di un miliardo e mezzo. A fronte di questo, il peggio è però l’aspetto che riguarda lo scenario nel suo complesso, cioè europeo e mondiale. Che non sta cambiando di un millimetro, se non in peggioramento.
La seconda ondata di crisi, ampiamente prevista anche nei tempi, cioè per il tardo autunno di quest’anno, inizia ad arrivare. La situazione di Portogallo e Grecia sta nuovamente avendo una nuova fase di peggioramenti. E anche le notizie in merito a queste due situazioni sono state nascoste dietro i fatti d’Egitto nei giorni scorsi. Mario Draghi ha dichiarato che la Bce continuerà a intervenire e che non pensa affatto, come invece si suppone stia facendo la Fed dopo le parole di Ben Bernanke delle settimane passate, a una exit strategy. Ma non è una buona notizia: perché se da un lato la cosa ci evita il tracollo totale e repentino, dall’altro non fa che spostare in avanti i termini di una questione già scritta. Peraltro, prendendo tempo, consente alla deriva predatoria dei mercati di continuare ad andare avanti e a percorrere i propri scopi. La svendita dell’Italia della quale abbiamo parlato è una ulteriore tappa di tale percorso.
(Valerio Lo Monaco, “AAA Italia svendesi”, pubblicato da “La Voce del Ribelle” e ripreso da “Come Don Chisciotte” il 14 luglio 2013).
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