Italia svendesi: Enel, Eni, Finmeccanica. Tra i “gioielli di famiglia” che potrebbero essere ceduti, il presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini, include anche l’Ansaldo. Svendere i pezzi pregiati della nostra industria strategica: operazione sensata? «Dal punto di vista economico, no», risponde Alberto Bagnai, economista dell’università di Pescara: «Il tentativo di abbattere il debito tramite la cessione di attività pubbliche si è sempre rivelato un fallimento: ogni volta che si è proceduto in questa maniera, lo stock di debito non è stato sensibilmente intaccato; in compenso, lo Stato si è privato di una importante fonte di entrate». È evidente, aggiunge Bagnai, che se un’azienda viene ceduta all’estero (il governo Letta infatti parla di “afflusso di capitali esteri”) i suoi profitti andranno fuori dall’Italia. Lo ha ammesso persino Romano Prodi, regista delle prime grandi svendite degli anni ’90.
Lo stesso Prodi, ricorda Paolo Nessi su “Il Sussidiario”, fu anche il “notaio” dell’adozione dell’euro al cambio di 1.936,27 lire. «Ogni volta che un paese adotta una valuta troppo forte per le condizioni della propria economia, si espone al rischio di svendita», precisa Bagnai, anche se qualcuno sostiene che la valuta forte «rende l’acquisto delle nostre imprese particolarmente oneroso, mettendoci così al riparo dalle acquisizioni straniere». E invece? «E’ vero il contrario: la valuta forte distrugge la redditività delle aziende, mettendo gli imprenditori in condizioni di vendere. Inoltre, la mancanza di sovranità monetaria ha esposto l’Italia ad attacchi speculativi all’interno del mercato dei titoli pubblici e a un crollo delle quotazioni borsistiche. Le aziende che hanno visto i propri valori di mercato crollare sono diventate estremamente vulnerabili».
E le vendite che ha in mente il governo quali effetti produrrebbero sul debito pubblico? «Nessuno», sostiene Bagnai. «Il debito pubblico non si sostiene, alla stregua di qualunque altro tipo di debito, agendo sullo stock, ovvero sull’ammontare, ma sui flussi, cioè sui redditi. Mi spiego: chi è ricco, può permettersi forti indebitamenti». Ma allora che senso ha l’operazione annunciata dal governo Letta-Alfano? «Operazioni di questo tipo, contestualmente alla difesa della valuta forte, servono per favorire gli obiettivi dei delocalizzatori, ai quali conviene portare la produzione fuori dall’Italia, per beneficiare del basso costo dei salari». Obiettivo: tornare a vendere i prodotti in Europa, «dove l’euro forte rende estremamente facile importare da paesi più poveri». Non è un caso che questo governo sia fortemente allineato con Confindustria.
«Come se non bastasse – aggiunge Bagnai – queste iniziative, se fatte in condizioni di emergenza, quando i valori di mercato sono bassissimi, sono talmente poco redditizie che inducono un legittimo sospetto: servono per promuovere gli interessi dei creditori esteri e delle grandi banche d’affari, che ci guadagnano prima a suon di costose consulenze, e poi gestendo le suddette operazioni». Ma non ci sono beni pubblici che è ragionevole alienare, come le partecipazioni degli enti locali nelle aziende pubbliche? «Il cuore del problema consiste nella qualità della spesa pubblica e nell’efficienza nella gestione del patrimonio pubblico: occorre quindi abbattere la cattiva burocrazia che vessa il cittadino, sostituendola con una che sistematicamente compia i dovuti controlli», senza però privarsi di quote decisive dei beni pubblici, di proprietà dei cittadini.
Nessun commento:
Posta un commento