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martedì 10 settembre 2013

Siria, i rischi della rivoluzione tradita



di Gianni Cipriani

Ha detto Domenico Quirico subito dopo la sua liberazione: "Ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana, ma può essere che questa rivoluzione mi abbia tradito. Non è più la rivoluzione laica e democratica di Aleppo, è diventata un'altra cosa. Molto pericolosa e molto complessa su cui bisognerà riflettere". 

Certo, potrebbero essere le parole risentite di una persona che - appunto - si è sentita tradita. Potrebbero. Ma sono parole identiche a quelle che - da tempo - mi vengono dette da persone che hanno a che fare direttamente o indirettamente con le vicende siriane; da persone che conoscono con maggiore puntualità quale sia lo schieramento di forze in campo; da persone al corrente di molti retroscena che fanno a pugni con l'idilliaca visione buoni/cattivi che pure lo stesso Obama cerca ancora di propagandare in queste ore. 

Da diversi mesi molti seri analisti (e nel suo piccolo anche molti articoli che potete leggere nell'archivio di Globalist) hanno denunciato la deriva fondamentalista della ribellione, il ruolo sempre più importante delle formazioni che si rifanno all'impostazione qaedista, le bande di tagliagola, le manovre più o meno occulte di stati, organizzazioni e lobby che finanziano lautamente e armano generosamente le formazioni più estremiste, avendo in mente un dopo Assad che sia tutto, fuorché uno stato laico e democratico. 

Personalmente (maggio del 1990) una delle prime esperienze che ho fatto da giornalista di inchiesta fu raccontare la "spy story" del cosiddetto Supercannone di Saddam Hussein, che il rais iracheno stava facendo costruire, tra l'altro in alcune aziende europee, Italia compresa. Saddam, il dittatore armato dall'occidente (gas compresi) perché considerato allora una barriera all'Iran di Khomeini. All'epoca - è bene ricordare ai tanti che non sanno e hanno dimenticato - chi parlava male di Saddam e di come veniva sostenuto dall'occidente era bollato come estremista o, al massimo, pacifista senza alcun senso di realismo. Figuratevi quanta simpatia ho avuto per Saddam. Ma chi può negare che l'intervento contro l'Iraq voluto da Blair e da Bush sia stato rimedio cento volte peggiore del male? 

Io penso che, oggi, non c'è bisogno di considerare Bashar al Assad un democratico e benevolo presidente per capire che missili e bombe invece di un serio negoziato porterebbero il popolo siriano da una tragedia all'altra. 

Domenico Quirico va preso sul serio. C'è bisogno di riflessione; c'è bisogno che la seria analisi prenda il posto della propaganda; c'è bisogno di un ruolo della comunità internazionale che imponga una soluzione politica seria e credibile per affrancare il popolo siriano da Assad e far arrivare davvero la primavera. Non c'è bisogno di bombe; non c'è bisogno né di Al Qaeda né dei suoi finanziatori occulti (occulti si fa per dire...), non c'è bisogno di nuovo fondamentalismo. 

E non c'è bisogno di un'America imperialista che si erge a gendarme del mondo, decide chi siano i cattivi da bombardare e chi siano i cattivi da proteggere sulla base dei suoi unici interessi strategici. Che spia illegalmente il mondo intero, compresi i suoi alleati, ma nello stesso tempo dà lezioni di democrazia, trasparenza e lealtà. Avevamo sperato - purtroppo invano - che gli Stati Uniti con Obama accantonassero una volta e per sempre quegli atteggiamenti da superpotenza muscolare che si riserva l'ultima parola e decide per tutti, forte delle sue armi. Ma questo è un altro discorso. Per ora sarebbe davvero opportuno fermarsi e riflettere. 

Fonte: http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=48744&typeb=0&Siria-i-rischi-della-rivoluzione-tradita

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