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venerdì 6 settembre 2013

Maxi-debito contro la crisi: così Tokyo smentisce l’Europa

L’ipoteca che pesa sulla “Abenomics”, la “montagna di carta che non crolla mai” – il debito pubblico giapponese – ha toccato una vetta mai raggiunta: più di un “quadrillion” di yen, cioè più di un milione di miliardi. Per la precisione, a fine giugno la cifra dell’indebitamento dell’amministrazione centrale di Tokyo era questa: 1.008.628.100.000.000 yen. In euro fa 7.800 miliardi. E’ ovviamente un record: per il Giappone sin da quando lo yen è diventato la sua valuta ufficiale, nel 1871, e per il resto del mondo che non ha mai visto una quantità di “pagherò” del genere. Siamo attorno al 200% del Prodotto interno lordo (Pil): se si aggiungono i debiti delle amministrazioni locali, si arriverà al 247% a fine anno, secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale. L’Italia, attorno al 130%, se non avesse la zavorra dell’euro sarebbe un paradiso. Ma il Sol Levante, dotato di moneta sovrana, può permettersi di rinunciare all’austerity.
Il premier Shinzo Abe e il governatore della banca centrale giapponese Haruhiko Kuroda, ricorda Danilo Taino sul “Corriere della Sera”, in un Shinzo Abeservizio ripreso da “Come Don Chisciotte”, sono impegnati in una svolta economico-monetaria senza precedenti. L’enormità dell’attuale debito pubblico nipponico? «E’ il prodotto del “ventennio perduto”, della crisi strisciante che dall’inizio degli anni Novanta stringe il paese in un limbo di non-crescita: recessioni frequenti e continui episodi deflazionistici (cali dei prezzi)». Per contrastarla, i governi hanno molto, ma «i risultati sono stati modesti, se non si considerano i tanti ponti e tunnel che nessuno usa». Così, il debito si è impennato: nel ’90 rappresentava solo il 60% del Pil. Tokyo, osserva Taino, ha potuto permetterselo anche perché i privati giapponesi dispongono di grande liquidità: il patrimonio delle famiglie si aggira sul “quadrilione” e mezzo di yen, cioè il 50% in più del debito dello Stato, e le imprese risparmiano attorno all’8% del Pil ogni anno, cioè quattro quinti del deficit pubblico annuale.
Una massa enorme di denaro, parcheggiata nelle istituzioni finanziarie nipponiche, le quali lo usano per comprare obbligazioni (cioè debito) dello Stato: tre quarti sono nelle loro mani. L’estero, il quale pretenderebbe tassi d’interesse più alti, ne detiene solo il 5% (per lo più si tratta di banche centrali). La magia della “montagna di carta” che non crolla mai si spiega così, sostiene Taino. Nonostante ciò, lo scorso aprile l’Ocse – il think-tank ufficiale dei paesi ricchi – ha “avvertito” che la riduzione dell’indebitamento dovrebbe essere “la priorità” di Tokyo. Non la pensa così il premier Abe, che ha lanciato una nuova politica economica, “Abenomics”, che tra l’altro comporta un forte deprezzamento dello yen (già avvenuto) ed enormi quantità di titoli pubblici comprati dalla banca centrale (il 70% delle emissioni). Fatti, scrive Taino, che «potrebbero disincentivare i giapponesi dal tenere i risparmi nelle obbligazioni-samurai: nel primo caso perché Haruhiko Kurodaall’estero guadagnerebbero di più che a restare nello yen, nel secondo per timori di instabilità».
Se l’uscita degli investitori domestici dal debito pubblico diventasse massiccia, sostiene il giornalista, Tokyo rischierebbe «una crisispaventosa». Per questa ragione, l’anno scorso il Parlamento ha votato una legge che prevede l’aumento dell’Iva dal 5 all’8% il prossimo aprile e al 10% nell’ottobre 2015, facendo «un passo verso una politica di controllo dell’indebitamento». Ma a questo si oppone il premier Abe, eletto a fine 2012: «Per rilanciare l’economia, il governo vuole introdurre stimoli di spesa per 10.300 miliardi di yen». Non solo: «Abe ha fatto sapere di voler aspettare i dati sulla crescita dell’economia nel secondo trimestre dell’anno prima di confermare gli aumenti dell’Iva». Il suo orientamento, sottolinea Taino, è nettamente anti-austerità: «Ritiene che la crescita venga prima del consolidamento dei conti, e non vuole che l’aumento dell’Iva la blocchi». Con un debito «più alto del Monte Fuji», il Giappone è insomma diventato il maggiore test empirico del dibattito tra economisti più intenso degli ultimi anni: è il debito gonfiato a frenare la crescita o è la crescita frenata a gonfiare il debito? Avvertenza: il Giappone non è neanche lontanamente paragonabile all’Eurozona, perché la sua banca centrale può emettere moneta liberamente, consentendo al governo di creare economia e lavoro mediante deficit positivo, cioè spesa pubblica.

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