Intervista a Barbara Spinelli di Silvia Truzzi, da il Fatto Quotidiano
Tra urla, appelli e minacce che accompagnano in questi giorni il dibattito sulla decadenza del senatore Silvio Berlusconi, pare che nessuno si sia posto una semplice, ma capitale, domanda: quanto costerebbe al Paese sacrificare un principio fondamentale come l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge? Lo abbiamo chiesto a Barbara Spinelli, scrittrice ed editorialista di Repubblica.
Perché sembra una bestemmia dire che una persona condannata definitivamente per frode fiscale – reato ai danni dello Stato – non può rappresentare i cittadini in Parlamento? Perché è difficile dire quel che pure è ovvio: questo nostro Stato si definisce a parole democratico, ma ha perduto la coscienza di essere una democrazia costituzionale, cioè dotata di una legge fondamentale che garantisce principi come la separazione dei poteri e, appunto, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Si procede con sospetta premura alla modifica dell’articolo cardine della Costituzione, il 138, che disciplina la revisione della Carta con procedure di garanzia. Tutto questo per volontà di un governo “contro natura”, nato da un’infedeltà elettorale, insieme a un Parlamento eletto con una legge fortemente sospetta di incostituzionalità. C’è più di qualcosa che non quadra. Cambiare la Costituzione con procedure accelerate che stravolgono l’articolo 138 – una valvola di sicurezza pensata dai Padri costituenti proprio per evitare manomissioni – è un colpo di mano. Si parla di deroga, ma la parola giusta è violazione della Costituzione: finché non è modificato, l’articolo 138 è legge da osservare. Tanto più è un colpo di mano se pensiamo alla presente congiuntura storica: un Parlamento di nominati, un governo di larghe intese che gli elettori non volevano e che distorce la democrazia. Infine il conflitto di interessi: immutato, esso resta il male volutamente non curato del sistema politico. Come rafforzare i poteri dell’esecutivo, quando chi più si batte per il rafforzamento è Berlusconi, condannato e interdetto dai pubblici uffici perché frodava lo Stato per i propri interessi di imprenditore mentre governava? Altra stortura, gravissima: la legge elettorale viene accorpata al riesame costituzionale, dunque chissà quando ne avremo una nuova. Come se il Porcellum fosse parte della Carta!
Che impressione ha di questa lunga discussione nella Giunta per le elezioni del Senato: stanno prendendo/perdendo tempo? Certo: già questo è un successo per Berlusconi. È come nei processi: rinvii, cavilli, dilazioni fino ad arrivare alla prescrizione. Anche in politica il traguardo pare essere una sorta di prescrizione. A forza di allungare i tempi si giungerà a ottobre, quando Berlusconi deciderà sull'affidamento ai servizi sociali e quando la Corte d’appello ridefinirà l’interdizione dai pubblici uffici. Sarebbe una vittoria per lui: vorrebbe dire che il parlamento non è riuscito a farlo decadere e che lo faranno i giudici, contro cui potrà inveire in nome del popolo sovrano e del Parlamento.
Il capo dello Stato martedì ha dichiarato: “Se non teniamo fermi e consolidiamo questi pilastri della nostra convivenza nazionale tutto è a rischio”. L’appello all’unità è stato messo in relazione con il braccio di ferro sulla decadenza di Berlusconi. Lei cosa pensa di questo intervento? Il Presidente è intervenuto due volte, in agosto e settembre, sulla decadenza. Un’interferenza abbastanza irrituale, che tradisce la sua gerarchia delle urgenze: la cosa che più conta è la sopravvivenza del governo delle grandi intese. In altre parole: dà a quest’ultimo il primato, e pesa sulla Giunta ricordandole che essenziale è non abbattere i “pilastri della convivenza nazionale” con una rottura tra Pd e Pdl. L’intervento è pericoloso, e anche singolare: se è vero che le sentenze vanno rispettate, e Napolitano lo ribadisce con forza, come evitare uno scontro fra Pd e Pdl? Nella sostanza, siamo a un bivio: se vuole ritrovare identità ed elettori, il Pd deve interrompere questa venerazione di Napolitano, che va ben al di là del rispetto istituzionale. È l’adesione a una visione emergenziale della democrazia italiana, fatta propria dal Quirinale: da anni siamo “sull'orlo del precipizio”, “a un passo dal baratro”, dunque in stato di eccezione. Nulla deve muoversi. La democrazia è sospesa. Io non ritengo affatto pericolosa la caduta di un governo. Ne abbiamo avute tante e l’economia ne ha risentito poco.
Napolitano è stato rieletto, per la prima volta nella storia repubblicana, al sesto scrutinio. Ma ci sono stati presidenti eletti al 21esimo. E così ora una possibile caduta del governo cui seguissero nuove consultazioni ed eventualmente un nuovo esecutivo sembra un strappo. Che fine ha fatto la fisiologia istituzionale? L’ideologia emergenziale permette a oligarchie chiuse di governare aggirando il normale funzionamento delle istituzioni, e anche gli esiti elettorali. È un ricatto sotto il quale viviamo da tempo. Ci ha anestetizzati. Il terrore del tracollo si è insinuato nelle menti, tanto ossessivamente viene ripetuto. Ci sono poi parole assassine: “governo di scopo”, “governo di servizio” trasmettono un’unica immagine: qualunque altro governo nato da elezioni non sarà “di servizio”. Nella migliore delle ipotesi sarà “senza scopo”, nella peggiore sarà in mano a populisti e malfattori.
Paolo Mieli ha detto: “Il ricatto di Berlusconi sulla caduta del governo è una pistola scarica”. Non è che tutto questo urlare alla catastrofe in caso di caduta del governo, carica quest’arma? Berlusconi si è sempre nutrito della retorica emergenziale. La sua idea del capo legibus solutus, non ostacolato da nessuno, è coerente all’idea, valida in tempi di guerra, dello stato di necessità.
Perché si sono consegnati mani e piedi a un uomo che stava per essere condannato? Nel 2009, a proposito del lodo Alfano, Ghedini disse che il premier non è un primus inter pares, ma un primus super pares. Che la “legge è uguale per tutti, non la sua applicazione”. Sono controverità entrate negli usi e costumi della Repubblica. Nella dichiarazione del 13 agosto, Napolitano ha preso atto della condanna di Berlusconi, ma al tempo stesso ha considerato “legittimi” gli attacchi e le rimostranze del Pdl contro i magistrati e la sentenza. Contrapporre la legittimità alla legalità è materia incandescente. È uno iato di cui s'è nutrita la cultura antilegalitaria delle destre e sinistre estreme, nella storia d'Europa.
Il capo dello Stato ha ricevuto il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che secondo il Corriere della Sera, è salito al Colle in veste di ambasciatore di Berlusconi. Il fatto in sé non mi scompone. Ma era il caso di riceverlo proprio in questi giorni? È il momento prescelto che inquieta. Come le telefonate di Nicola Mancino. Telefonare con Mancino è del tutto normale, tranne nel momento in cui l’ex ministro è indagato sulla trattativa Stato-mafia.
(12 settembre 2013)
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