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sabato 4 maggio 2013

Sogni di ricchezza e incubi ambientali Il grande rebus del petrolio lucano



Doveva fare da volano economico per la regione. Ma a quasi 20 anni dalle prime trivellazioni la Basilicata è ancora divisa tra le possibilità di fare del territorio un Texas italiano e la paura di pesanti conseguenze per l'ecosistema e gli abitanti di tutta l'area. E sindaci della zona denunciano: "Non c'è stato alcun monitoraggio"

VIGGIANO (POTENZA) - C'è una palude tra la Val d'Orcia e il Texas. E' la palude dove è convinta di essere sprofondata la gente della Val d'Agri. A metà degli anni '90, arrivata a un bivio tra lo sfruttamento dei suoi giacimenti petroliferi e uno sviluppo alternativo fatto di turismo naturalistico, agricoltura di qualità e prodotti tipici, la Basilicata ha imboccato la prima strada convinta che avrebbe trasformato Viggiano in una piccola Dallas.

Oggi, a quasi 20 anni di distanza e con 800 milioni di euro in roayalties incassate, la speranza di fare del petrolio il volano della crescita resta forte a Roma e a Potenza, ma in Val d'Agri vacilla sempre più, mentre il sogno di assomigliare ai luoghi più suggestivi della Toscana, facendo della regione il laboratorio di un modello di economia sostenibile, si è interrotto bruscamente con la costruzione in pieno Parco Nazionale dell'Appennino Lucano del più grande impianto estrattivo europeo su terra ferma. Così, tra due futuri mancati, il presente per gli abitanti della valle è fatto di paura, sospetti e recriminazioni. Paura per la reale portata dell'impatto ambientale e sanitario dell'attività petrolifera e per i progetti futuri dell'Eni, sospetti su come è stata tutelata sino ad oggi la salute dei cittadini, recriminazioni sull'incapacità di fornire elementi davvero rassicuranti in materia di controlli sulla sicurezza. Nel mirino, più che il colosso energetico, ci sono la Regione e l'Arpab, l'Agenzia regionale per l'ambiente, il suo braccio "scientifico", ancora in pesante deficit di credibilità dopo il clamoroso scandalo che l'ha travolta con il caso Fenice.

Una delle rare sintesi di chi vive questo disagio è fornita dal dossier Malaria di Legambiente. "A distanza di 11 anni dalla stipula dell'accordo - si legge nel rapporto 2010 - si attende ancora l'affidamento operativo del sistema di monitoraggio nonostante l'urgenza dettata dai pochi e disorganici dati oggi disponibili". "Il numero ancora troppo esiguo di centraline - prosegue il documento - impedisce di avere a disposizione dei dati in maniera costante per tutto l'arco dell'anno. Oltre all'assenza di un archivio storico dei dati utile per monitorare negli anni l'andamento delle emissioni inquinanti in atmosfera, non è ancora stata ancora attivata una forma di monitoraggio sanitario".

I sindaci: "Nessun monitoraggio ambientale". La fotografia di una palude priva di punti di appoggio, dove è difficile distinguere tra catastrofismo e giuste preoccupazioni, tra rassicurazioni e propaganda. Una palude dove ci si agita allarmati, ma si rischia di sprofondare nella vaghezza di troppe denunce poco corroborate da numeri e documenti circostanziati. "La politica avrebbe bisogno di qualcuno che le tirasse una cima per farla approdare dalle debole certezze alla sponda del dubbio", dice Vincenzo Vertunni, sindaco di Grumento, uno dei due paesi insieme a Viggiano che si affaccia sul Centro Olio dell'Eni. "Dopo 13 anni di attività, il bilancio in termini di monitoraggio ambientale, a detta delle rappresentanze tecniche ed istituzionali della Regione Basilicata, è assolutamente negativo. In realtà non c'è praticamente stato, tanto per mancanza di trasparenza quanto di carenza di risorse destinate", denuncia Ennio Di Lorenzo, del circolo Legambiente della Val d'Agri. "Sono stata sindaco di Moliterno per due mandati e ora sono in commissione Ambiente della Provincia, ma a tutt'oggi non sono in grado di dirle se ci stanno avvelenando e ho paura del giorno in cui a farmi questa domanda sarà mia figlia", dice Angela Latorraca con un filo di emozione che le fa tremare la voce.

Eni: "Scarsa conoscenza di quello che viene fatto". 
Ed è proprio alla sfera dell'emotività che l'Eni riconduce una vicenda che dal suo punto di vista è cristallina. "Un sistema di controllo puntuale ed efficiente è la migliore assicurazione sui nostri investimenti, la nostra forma di tutela più forte, possibile che la gente non lo capisca?", si chiede Enrico Cingolani, vice presidente esecutivo per la Regione Europa Meridionale e Orientale. "Tutto nasce dalla scarsa conoscenza di cosa si fa al Centro Olio, in tanti pensano sia una raffineria", spiega Ruggero Gheller, responsabile del Distretto meridionale del "cane a sei zampe". "A Viggiano  -  aggiunge  -  ci limitiamo a separare il petrolio dall'acqua e dal gas, un procedimento che richiede l'impiego di pochissima chimica e che produce quasi esclusivamente SO2, anidride solforosa. Emissioni che noi monitoriamo costantemente e rigorosamente, camino per camino, rispettando i limiti di legge e girando puntualmente tutti i dati all'Arpab sin dal primo giorno". "La gente  -  prosegue - è convinta che dalla fiamma esca il micidiale idrogeno solforato, H2S,  ma non è assolutamente così ed è pazzesco anche solo pensarlo". L'azienda rivendica quindi controlli rigorosi a tutto campo. "Stiamo per consegnare alla Regione le chiavi di una rete di monitoraggio unica in Italia e probabilmente in Europa, capace di verificare non solo la qualità dell'aria, ma anche dell'acqua e degli ecosistemi, che verifica la soglia del rumore e quella cattivo odore, vigilando inoltre su eventuali rischi di sismicità in un'area di 100 km quadrati", precisa ancora Cingolani. Anche le lamentele sulla mancanza del cosiddetto bianco, ovvero l'assenza di una serie storica dei valori precedenti l'attività estrattiva, sono per l'azienda un "non problema" perché i  valori di sforamento sono valori assoluti fissati per legge, a prescindere dai precedenti.

Parole che non scalfiscono minimamente la diffidenza e la paura dei valligiani. Anni fa fu avviata una procedura per affidare all'istituto Mario Negri uno studio indipendente sugli impatti sanitari del Centro Olio, ma il tentativo è finito misteriosamente nel nulla e nessuno è in grado di spiegare esattamente perché. Oggi un compito simile è stato affidato a Gianluigi De Gennaro, ricercatore in chimica all'Università di Bari, ingaggiato dal comune di Viggiano in qualità di consulente. Sulla base della sua relazione l'amministrazione ha deciso di non sottoscrivere il Protocollo operativo per il funzionamento della rete di monitoraggio che è in procinto di partire. "L'Eni  -  lamenta De Gennaro - si muove sapendo di avere a che fare con un interlocutore impreparato. Dopo ben dieci anni ha messo in piedi una rete di controlli che tecnologicamente è già obsoleta, senza contare che i primi dati forniti al comune sono assolutamente inconsistenti, non hanno né capo né coda. Mancano ad esempio i focus sulla presenza di idrocarburi e dei composti odorigeni, ma la responsabilità è anche della Basilicata che ha normative meno stringenti di quelle adottate in altre regioni per l'apertura di un caseificio, altro che Centro Olio".

Regione: "Dai controlli, tutto in regola". 
Critiche che non solo all'Eni, ma anche in Regione godono però di scarsa attendibilità. Il presidente Vito De Filippo se ha recriminazioni nei confronti dell'azienda le ha di carattere economico piuttosto che sanitario. "Se in Basilicata c'è un problema di inquinamento da polveri sottili è in centro a Potenza e non certo in Val d'Agri - rassicura De Filippo -  Con la società Metaponto Agrobios abbiamo eseguito inoltre circa settemila campionamenti per verificare eventuali residui nei prodotti dell'agricoltura e tutto risulta in regola". Qualcuno che in Regione si preoccupa in realtà c'è e risponde al nome di Gabriella Cauzillo, responsabile del Centro operativo regionale dell'Osservatorio epidemiologico lucano. "L'incidenza dei tumori maligni in Basilicata è in aumento e lo confermo  -  ha spiegato a più riprese alla stampa locale - Inoltre, la velocità di aumento dell'incidenza da noi è superiore". Parole che De Filippo in assenza di correlazioni certe boccia però come "facile allarmismo". Il sindaco Vertunni replica citando Manzoni: "Meglio agitarsi nel dubbio che riposare nell'errore".

Così il grido della Cauzillo va ad aggiungersi ai tanti strati di incertezza che rendono scivolosa la palude della Val d'Agri, aumentando quella che sembra un'inguaribile depressione collettiva. "Siamo spacciati, allo stato attuale delle cose questa valle ed i suoi cittadini potranno salvarsi solo se verrà approvata una legge regionale che contenga e preveda limiti molto più bassi degli inquinanti di quelli definiti attualmente dalla legge italiana", protesta Giambattista Mele, medico e consigliere di opposizione a Viggiano. "Che l'Arpab faccia il proprio dovere e la Regione la smetta di fare da semplice notaio alle richieste delle compagnie petrolifere", dice ancora senza dare l'impressione di sperarci davvero.
 

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