di Alessandro Guzzini*
Il 26 giugno nell’ incontro a Parigi con il parlamento francese, il governatore Draghi ha commentato l’attuale situazione economica europea, soffermandosi in particolare sulle politiche monetarie adottate e sulle riforme che mancano per agganciare la ripresa.
In generale il discorso del governatore rivela una ideologia economica fondata sulle teorie neoliberiste, ovvero dell’economia dal lato dell’offerta: un passaggio chiave del discorso, che esemplifica il pensiero del governatore, è che la politica monetaria non può generare crescita economica.
Il ragionamento del governatore, in estrema sintesi, è che se l’economia non cresce è tutto un problema di competitività e la politica monetaria non può essere di alcuna utilità per risolvere un tale problema.
Ciò è palesemente errato e le esperienze recenti di Giappone e Stati Uniti dovrebbero essere più che sufficienti a dimostrarlo se non fosse che molte menti, compresa quella del governatore, sembrano del tutto appannate da un ‘ottusa ideologia economica”.
In relazione alla situazione dell’area euro è evidente infatti che se a livello di singoli paesi esiste certamente un problema di competitività, a livello complessivo di eurozona ne esiste di certo uno più importante di domanda aggregata insufficiente.
Non si spiegherebbe altrimenti perché la disoccupazione dell’eurozona continua a crescere mentre il tasso di inflazione continua a scendere pericolosamente verso la deflazione (deflazione già presente peraltro in numerosi paesi dell’eurozona come sottolineato dallo stesso Draghi).
Una politica monetaria più espansiva aiuterebbe quindi a rilanciare la domanda aggregata e a ridurre la disoccupazione, riportando al contempo l’inflazione a dei livelli più vicini a quelli del mandato della BCE.
Una politica monetaria differente, basata su un allargamento della base monetaria, potrebbe altresì aiutare a colmare i differenziali di competitività presenti nell’Eurozona: se i salare tedeschi salissero del 5-6% annuo per alcuni anni, sarebbe certamente più semplice per l’Italia, la Spagna e gli altri paesi periferici recuperare competitività senza cadere nella trappola della deflazione (senza dimenticare poi che i salari, contrariamente a quanto viene modellizzato nelle teorie economiche liberiste, nel mondo reale sono “vischiosi” e quindi ben difficilmente si muovono verso il basso…..se non portando il livello di disoccupazione ai tassi visti in Grecia!).
Infine un allentamento ulteriore delle politiche monetarie faciliterebbe una svalutazione dell’Euro che avrebbe evidenti effetti positivi sull’export, sul tasso di inflazione e quindi sulla crescita.
Quindi la BCE, piuttosto che continuare a dare lezioni alla politica (o meglio ricatti visto che la politica monetaria è stata spesso utilizzata dai governatori che si sono succeduti all’Eurotower negli ultimi anni allo scopo di condizionarne le scelte), farebbe meglio a concentrarsi sulle leve di politica monetaria che lo stesso ha a disposizione e su tutto quello che la BCE potrebbe, o meglio, dovrebbe ancora fare per rilanciare la crescita Europea.
Purtroppo la sensazione è che il presidente della BCE sia sempre più preoccupato di difendere la sua posizione a fronte dei continui attacchi che gli giungono dalla Bundesbank e, negli ultimi mesi, dal processo in corso presso la corte costituzionale tedesca, piuttosto che ad agire mettendo in funzione le potenti leve che solo la banca centrale possiede.
Le recenti notizie sui derivati che sarebbero stati accesi negli anni 90 dall’Italia per “aggiustare” i conti in vista dell’ingresso nell’Euro, nel periodo in cui lo stesso Draghi era a capo del tesoro, rischiano di indebolire ulteriormente la figura di un presidente che sembra ormai sempre più appiattito sulle posizioni tedesche.
*Amministratore Delegato Finlabo SIM
(2 luglio 2013)
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