L’irruzione dei Brics nel G20 dimostra che i tempi stanno per cambiare: non potrà più essere solo Washington a dettare le regole del gioco. Una lunghissima stagione egemonica, dopo Yalta e Bretton Woods, forzata nel ’71 con la fine del Golden Exchange Standard, evento che fece crollare tutto l’impianto, «figlio della Rivoluzione Francese ed elaborato dalla massoneria mondiale». Fu in quell’occasione, rileva Glauco Benigni, che «la volontà di egemonia di una minoranza» si impose apertamente «contro il resto dell’umanità»: e il pianeta «paga tuttora quel progetto», che consente al dollaro di considerarsi (al 65%) moneta di riserva mondiale, quindi stampabile all’infinito, «solo perchè garantito e “coperto” dal bisogno di petrolio degli umani». Se la Guerra del Kippur nel ’73 siglò il secondo atto della tragedia e la caduta del Muro di Berlino una nuova pace provvisoria, lo scoppio del Nasdaq nel 1999 fu l’alba della nuova era, quella dalla quale il mondo sta ora cercando affannosamente di uscire.
La nuova instabilità, ricorda Benigni in un intervento su “Megachip”, si trasformò in “guerra al terrorismo”, a carattere permanente, con l’11 Settembre. Poco dopo, ecco la “nuovaguerra fredda” con lo scoppio della bolla dei subprime del 2008 e la coda devastante dei derivati. E dalla fine del 2012, con l’apertura in Iran del mercato in cui si compra petrolio ufficialmente “non in dollari”, grazie al sostegno di Russia e Cina in caso di conflitto sullo Stretto di Ormuz, «siamo entrati nell’anticamera del delirio». Gli scienziati biogenetici promettono cibo per tutti, a base di Ogm e cellule staminali. I cinesi, nel settembre 2011, hanno messo in orbita la propria piattaforma spaziale. E la rivoluzione digitale consente ad alcuni servizi segreti di spiarci costantemente. Fino al Duemila, l’Occidente controllava ancora le risorse del 70% del resto del mondo, anche se necessitava di una massa sterminata di consumatori “optimistic”, non più localizzati nell’area euro-dollaro ma «in quei luoghi del pianeta con i quali si erano avviate trattative e partnership che avevano condotto nel 2001 la Cina ad entrare nella World Trade Organization e che stavano conducendo anche l’Orso Russo nel grande luna park del “free trading”».
Bisognava dunque «rifare i conti e riorganizzare il potere su scala planetaria». Le 13 “famiglie” d’Occidente – i Rothschild, il Rockefeller Group, il cartello delle banche e delle multinazionali di largo consumo (e tutti i loro “maggiordomi” – pensarono allora di finanziare i paesi emergenti, e in particolare quelli del Brics, affinchè quei 2-3 miliardi di umani che non avevano avuto ancora accesso al consumo di massa potessero «indebitarsi e comprare», stabilendo e rafforzando la sudditanza fondata sul bisogno del superfluo, quella dell’uomo «che vive in condizioni di libera schiavitù, che si muove nella cornice di valori e aspettative proposta dai media mainstream, che accetta più o meno inconsapevolmente una Matrix». Si trattava di fare come in Italia al tempo del Piano Marshall, o in Thailandia e in Sud Corea negli anni ‘80, o nella Spagna di Aznar, quando «bastava aprire i rubinetti del gettito finanziario virtuale, offrire prestiti a individui e nazioni, potenziare l’emissione seduttiva e consolatoria dei media, infarcire il tutto con advertising, demonizzare le eventuali opposizioni, congegnare operazioni terroristiche di varia natura».
Ma il gioco non era tutto lì: il famoso 1% – detentore del potere occidentale – nonostante i solidi rapporti con le oligarchie locali e la compravendita dei leader periferici, non aveva “fatto i conti” con le diverse visioni del futuro di alcuni potenti “brahmini”: cinesi, russi, Islam. Nella seconda metà del ‘900, in Occidente, il liberismo «deregolato e integralista», famelico di profitti a scapito dei beni comuni statali, «aveva lentamente ma inesorabilmente indebolito i governi a favore dei “mercanti”». Nel Duemila, i brahmini-politici di ogni nazione del G7 tendevano la mano ai “mercanti” per farsi finanziare le campagne elettorali e costruire piccole-grandi fortune in modo illecito e veloce. I “mercanti” – finanzieri, banche, petrolieri, multinazionali di largo consumo e grandi distributori organizzati) – accettarono: per loro era facile, i soldi «li rollavano nelle Borse», fino a generare in breve tempo «quantità di valore di scambio pari al Prodotto interno lordo di nazioni medie, pari a manovre finanziarie». Una parte di quel denaro virtuale finiva nei conti occulti dei bramini-politici d’Occidente, mentre il resto andava ai “sudditi” africani, asiatici e sudamericani, «travolti da tsunami di denaro in arrivo dalla World Bank».
In cambio, però, i “mercanti” chiedevano la fine della sovranità democratica degli Stati, declinata in tre richieste fondamentali. La prima: sistemi di norme favorevoli alle multinazionali finanziarie, scritte sotto dettatura della Wto e del Fmi. La seconda: non pagare le tasse, mettendo il denaro al sicuro nei paradisi fiscali attracerso società offshore. E infine la terza, le privatizzazioni: ovvero, la svendita organizzata su larga scala di asset strategici e aziende controllate dagli Stati. Nel frattempo, per occultare l’operazione e rassicurare il pubblico, si concedeva al mainstream di criticare apertamente il potere, anche con film di Hollywood contenenti «brandelli di verità». Come dire: «Vi prendiamo per il culo, le guerre le facciamo per questi motivi, i servizi segreti dei nostri governanti fanno questo e quello: le scie chimiche, la guerra batteriologica, il progetto Haarp, il traffico di organi e di rifiuti radioattivi». Tutto “vero-falso”, tutto “fiction”. «Tanto, che importanza ha? Noi abbiamo il timone della storia e disegnamo la geografia. Voi siete solo “civili di nazioni alleate”, schiavi dei vostri vizi e delle vostre pigrizie».
Poi giunse il fatidico 2008: l’Occidente ne aveva combinate così tante che «doveva per lo meno tentare un nuovo make up». Alla gogna due grandi banche d’affari, Merrill Lynch e Lehman Brothers. «Forse il governo Usa volle cogliere l’opportunità per prendere le distanze dalle lobby filoisraeliane, rappresentate dalla Lehman Brothers», che spingevano per la guerra in Medio Oriente. «Sta di fatto che la Lehman Brothers venne sacrificata e colò a picco». Quale conseguenza, continua Benigni, si aprì in Occidente un ennesimo fronte di guerra fredda: da una parte una vasta porzione della finanza ebraica, che non gradì, e dall’altra un vasto mosaico di interessi, innervati dal bisogno di ridare credibilità all’impero Usa e contemporaneamente di rafforzare le alleanze con pezzi di Islam e quant’altri antagonisti del sionismo. L’effetto congiunto delle rivelazioni sui derivati e sulla guerra finanziaria provocò nelle Borse l’evaporazione di trilioni di dollari, yen, sterline e altre valute. «Il mondo si svegliò in preda al terrore: “Aiuto! I nostri risparmi stanno diventando carta straccia!”. E, a quel punto, si capì che l’ipotesi non era da escludere».
I “mercanti” internazionali, «ispirati dal loro atavico cinismo», ritennero opportuno a quel punto attaccare l’euro. «Secondo la Prima Legge Imperiale “chi prende il piatto ha ragione”, questa valuta non era difesa politicamente né militarmente, e quindi la si poteva depredare», scrive Benigni. «La parte più debole d’Europa venne messa sotto pressione. La Grecia affondò fragorosamente e i Pigs cominciarono a tremare (e tremano ancora)». E attenzione: il 12 dicembre 2008 venne arrestato Bernard Madoff, ex presidente del Nasdaq, con l’accusa di aver ideato una frode da 50 miliardi di dollari. E l’11 dicembre 2010 suo figlio Mark venne trovato morto a Manhattan: suicidio? Poi, il 14 maggio 2011 venne arrestato a New York Dominique Strauss-Kahn, con l’accusa di tentata violenza sessuale ai danni di una cameriera d’albergo. Quattro giorni dopo “Dsk” rassegnò le sue dimissioni da direttore del Fmi. «Il suo progetto di rafforzare la moneta intergovernativa, detta “Special Drawing Rights”, subì una brusca battuta d’arresto». Infine, il 23 marzo 2012 Vladimir Putin spiccò un mandato di arresto contro George Soros, definendolo un “terrorista finanziario”. «C’è da ricordare che 21 anni fa, con il suo fondo Quantum, Soros contribuì a portare la nostra economia a un passo dal baratro».
Se questa è la storia che conta – quella dei “mercanti” che ricattano gli Stati o, a scelta, li “comprano” – c’è la storia parallela dei summit: sin dal 1975, ricorda Benigni, i ministri dell’economia delle grandi nazioni si erano incontrati qui e là in occasione dei vari G7, poi G8. Le nazioni del G8 (Usa, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada e dal ‘98 la Russia) rappresentavano il 13% della popolazione mondiale e il 53% del Pil del pianeta. Dal ’99, però, proprio a causa della globalizzazione, si cominciarono a tenere, oltre ai G8, summit denominati G20: «Non era più e solo l’Occidente a incontrarsi per decidere delle macro-questioni economiche», ma anche politici e banche centrali di 19 nazioni, «che rappresentavano i 2/3 della popolazione mondiale e l’80% del Pil e del commercio estero del mondo. Notevole cambio di prospettiva. «Importanti “esclusi” – tra cui Cina, India, Indonesia, Brasile, più due rappresentanti dell’Islam moderato, quali Turchia e Arabia Saudita – cominciavano a sedersi regolarmente attorno a un tavolo e parlavano».
L’acronimo Bric – Brasile, Russia, India, Cina – comparve per la prima volta nel 2001 in una relazione della Goldman Sachs. Bric, ovvero: i quattro paesi che avrebbero “dominato l’economia mondiale nei prossimi 50 anni”, o comunque avrebbero presidiato la scena mondiale. Nel 2009, lo storico vertice del Bric riunito in Russia e presieduto da Putin si concluse con una storica dichiarazione congiunta: «Crediamo che sia veramente necessario avere un sistema di divise più stabile (del dollaro statunitense), di facile pronostico e più diversificato». Il guanto della sfida era lanciato, dice Benigni, e gli Usa tuttora si rifiutano di raccoglierlo. Seconda puntata, Brasilia 2010 – con anche il Sudafrica, che completò il cartello, facendolo diventare “Brics”. Nel novembre dello stesso anno, il Fmi includeva i membri Bric tra i 10 paesi con diritto di voto più elevato insieme a Usa, Giappone, Francia, Germania, Italia e Regno Unito.
Sebbene la loro dimensione economica è paragonabile alla nostra, il reddito medio dei Brics è inferiore: se l’Occidente viaggia sui 37.000 dollari all’anno, in Russia ci si ferma a 17.000, in Brasile a 11.900, in Cina a 8.500 e in India a 3.700. Ma la forza del Brics è la crescita: il suo reddito medio dal 2000 è raddoppiato, e il suo Pil – in particolare in Cina e India – si avvia a superare quello del G7, «riconsegnando all’Asia il primato che aveva perso nel XIX secolo». Dati Goldman Sachs: «La Cina ha superato il Giappone nel tardo 2010 ed è previsto che superi gli Usa nel 2041». Altro aspetto molto rilevante, ildebito pubblico: quello dell’India è appena il 58% del Pil, quello del Brasile il 45%, quello cinese il 18% e quello russo 6%. Niente a che vedere con il debito pubblico medio del G7, che va dal 77% della Germania al 200% del Giappone. Nel frattempo, rileva ancora Benigni, i vertici del G20 si sono intensificati: come se i politici – soprattutto quelli del Brics – stessero tentando una controffensiva storica, per strappare ai “mercanti” le leve strategiche del comando. Sullo sfondo, la richiesta – mai decaduta, dal 2009 – di ridimensionare il ruolo del dollaro: la valuta Usa dovrebbe abdicare al suo status privilegiato. Pretesa «dura da digerire» per l’America, ma anche per i “mercanti”, che subirebbero «un ridimensionamento colossale».
Imporre un passo indietro ai “signori del denaro”: è la base rivendicativa del Brics al G20 di San Pietroburgo, in cui chiedono l’ennesima riforma del Fmi «finalizzata a ridefinire la globalizzazione finanziaria e il sistema bancario», ma anche «un’azione comune che consenta una exit strategy a quegli Stati che stampano valuta all’interno di unapolitica monetaria non convenzionale» e anche la fine dell’egemonia planetaria della Wto, che dovrebbe «considerare cruciale il contributo delle nuove economie al commercio multilaterale». E poi, ancora: norme anti-corruzione, il contenimento delle misure protezionistiche e una nuova politica di tassazione che escluda i paradisi fiscali. In sostanza, “hands off”: «Bisogna adeguare le Istituzioni Globali ad una nuova geopolitica in cui i pesi delle economie si stanno spostando da nord-ovest a sud-est». Tradotto: giù le mani (dei “mercanti”) dalla vita dei popoli. Richiesta esplicita: fine dell’occupazione “militare”, da parte delle élite, delle massime istituzioni mondiali come Fmi, Banca Mondiale, Banca dei Regolamenti Internazionali e Wto – quest’ultima ora diretta da un brasiliano, Roberto Azvedo.
«Le richieste non sono impraticabili», sostiene Glauco Benigni. «Per esempio, ci si rende conto che interrompere la droga pesante dello stampare valuta ad libitum per qualche Stato è difficile e si cerca una specie di metadone per lebanche centrali in mano ai privati. Basta però con il protezionismo di quei paesi, tra cui gli Usa, che chiedono agli altri nessuna barriera per le loro merci e però impongono invece dazi e dogane quando fa loro comodo». E basta con i paradisi fiscali, cioè il “forziere” cui attinge il super-potere dei “mercanti” per esercitare pressioni miliardarie, insostenibili, su Stati e governi. Quanto alla corruzione, fenomeno che flagella anche Russia e Cina, «fin quando le pene saranno quelle che sono, sia in Occidente che in Oriente, sarà facile comprare politici e amministratori del bene pubblico, con tutti i danni che ciò comporta». Nessuna illusione, ovviamente: quella del G20 «non è certo una delegazione di no-global», ma il summit stavolta è «più importante delle Olimpiadi», perché oltre ai potentissimi Putin, Medvedev, Xi Jinping, Li Keqiang, Manmohan Singh, nonché gli occidentali Obama, Van Rompuy, Barroso e Cameron (e i nostri Enrico Letta, Fabrizio Saccomanni e Ignazio Visco) ci saranno anche «donne di alto profilo quali Dilma Roussef e Cristina Fernandez de Kirchner, e altri potenti fra cui Jacob Zuma». Forse, per la prima volta, la partita è aperta.
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