E bravo Letta: il premier esulta per il contentino strappato a Bruxelles, che ci concede di spendere un po’ di soldi – i nostri, comunque – mentre il piano europeo di devastazione del paese va avanti indisturbato, e senza che i media mainstream e i partiti ne parlino mai. «Le vittorie di Letta sono quantitativamente insignificanti e servono a non parlare dei vizi strutturali macroeconomici dell’Eurosistema», accusa l’analista indipendente Marco Della Luna, che “smaschera” – conti alla mano – la reale portata dell’operazione d’immagine gestita dal governo. «Dal potere europeo – spiega Della Luna – Enrico Letta ha ottenuto 1,5 miliardi spendibili in due anni a partire dal prossimo gennaio, e altri 7 miliardi in cofinanziamento, cioè 3,5 messi dall’Italia e 3,5 messi dall’Ue, però con soldi dei contributi italiani, grazie a una deroga al plafond del 3% di disavanzo pubblico». Sostanzialmente, per tutto il 2014, «si tratta dell’autorizzazione a spendere soldi quasi tutti nostri».
Di fatto, si tratta di importi molto modesti: 7,75 miliardi sono «meno dell’1% della spesa pubblica complessiva e meno dello 0,5% del Pil». E’ meno di metà di quel 20% che l’Italia ha già versato nel Mes, il “Fondo salva-Stati” detto anche “Meccanismo europeo di stabilità”. Cifrette, pari a «meno del 3% dei capitali italiani fuggiti all’estero sotto l’azione del governo Monti». Quello che Letta si vanta di aver “rimediato”, continua Della Luna, rappresenta appena lo 0,7% della svalutazione del patrimonio immobiliare nazionale, franato sotto il governo Monti, ed è appena «il 25% del calo del Pil previsto per quest’anno». Di che vantarsi, dunque? «Questi 7,75 miliardi – aggiunge Della Luna – per il settore produttivo sono ancor più risibili in confronto ai 2.000 che la Bce ha creato per le banche, recentemente», con una manovra che in realtà vale «zero miliardi per l’economia reale», dal momento che “salva” solo il sistema finanziario. Ben diverso il peso della Fed, che immette ogni mese 85 miliardi di dollari, dopo averne creati 16.000 tra il 2007 e il 2011 per puntellare le banche di tutto il mondo.
Domanda: perché si danno migliaia di miliardi alle banche, per la speculazione finanziaria,e senza il minimo timore di scatenare l’inflazione, mentre al settore produttivo si lesina il diritto di investire i suoi stessi soldi? Ma niente paura, Letta esulta e ora cresce nei sondaggi: «L’impatto psicologico è soggettivo, non risponde ai numeri oggettivi e opera sull’immediato, non tenendo conto delle scadenze di autunno: ammortizzatori sociali, F-35, Iva, Imu, ondata di licenziamenti, legge di bilancio». L’effetto-sollievo è così effimero da ignorare il fatto che, «in Italia, ogni 20 minuti fallisce un’impresa», e che «nel 2012 gli investimenti stranieri sono crollati del 70% – evidentemente, all’estero è chiaro che la barca sta affondando». Prevale il profilo socio-psicologico, perché governo e mass media codificano i “successi” di Letta in questi termini: «Siamo stati obbedienti al modello economico-finanziario dominante e alle conseguenti prescrizioni dell’Autorità, quindi il potere effettivo ci premia, permettendoci di spendere di più (dei nostri soldi) e dandoci da spendere un po’ di soldi suoi (una piccola parte quelli che le avevamo versato noi)».
Per Della Luna, si tratta di «una visione paternalistica e infantile, nella quale vi è appunto un’Autorità, per sua natura detentrice della ragione e del potere, della legittimazione, che ci insegna come funziona l’economia, che ci dice come dobbiamo fare, che ci punisce se non obbediamo, che ci premia se obbediamo (compiti a casa)». Peraltro, il “premio” consiste «nel lasciarci usare i soldi nostri o nel renderci un po’ di quelli che abbiamo dato». In questa visione, «di tipo autoritario, paternalistico, antiscientifico e dogmatico», non è previsto che si verifichi seriamente se il modello economico-finanziario adottato sia stato confermato oppure confutato dai fatti, e se e le ricette prescritte abbiano avuto gli effetti promessi o, al contrario, siano state smentite. «Quello che conta è il rapporto di approvazione-disapprovazione con l’Autorità, non di successo-insuccesso con la realtà». Basterebbe applicare un minimo di razionalità per scoprire che il pazzesco sistema finanziario adottato nell’Eurozona, semplicemente, non avrebbe mai potuto funzionare: lo confermano i risultati e gli indicatori-chiave, cioè Pil, debito, occupazione, domanda, investimenti, bilance commerciali, convergenza tra i sistemi-paese, prevenzione delle crisi e stabilizzazione dello sviluppo.
Metodo: in teoria, ci si dovrebbe accertare sull’efficacia del sistema, verificare se e quanto funzioni, chi avvantaggi e chi svantaggi, se è sostenibile oppure no. «Se non ha funzionato, se ha causato danni, tendenze nocive e maggiori divergenze, allora obbedirgli è stupido: va cambiato o abbandonato perché è sbagliato». Peccato che gli inventori dell’euro ne fossero perfettamente al corrente fin dall’inizio: l’attuale crisiera precisamente l’esito voluto. «L’adozione dell’Eurosistema, ossia di un sistema di cambi fissi tra i paesi aderenti, mantenendo separati i loro debiti pubblici e stabilendo che questi dovessero essere finanziati sui mercati speculativi globali, territorio di caccia di pochi grandi gruppi privati sovranazionali che li manipolano, poneva un problema ovvio e gigantesco: come compensare gli sbilanci delle partite correnti tra i paesi membri, dato che i meno efficienti avrebbero importato di più ed esportato di meno, finendo per indebitarsi verso quelli più efficienti, cioè finendo per dover pagare loro flussi di interessi notevoli, il che avrebbe peggiorato ulteriormente la loro efficienza e competitività, in un avvitamento letale – che è ciò che stiamo vivendo in Italia». Tutto questo, oltre al fatto che i paesi debitori non hanno più potere negoziale, ormai concentrato nelle mano ai paesi creditori, «dando così a questi l’egemonia sulle strutture comuni e il modo di usarle sempre più nel proprio interesse, a spese dei paesi debitori».
Negli Usa, spiega Della Luna, il problema è stato risolto a monte grazie ad un unico bilancio federale, a un debito pubblico unico e comune a tutti gli Stati federati, e ad un’autorità centrale che trasferisce attivi e passivi ripianando i deficit degli Stati in difficoltà attraverso la leva della spesa pubblica, evitando così il default dei singoli Stati in affanno. «In Europa questo non è stato fatto, ed è il più importante dei difetti, la causa primaria del malandare. E ovviamente non se ne parla all’opinione pubblica, e non si fa nulla per correggerlo nelle sedi europee». Letta esulta, naturalmente, «ma non dice che, sul piano macro, non vi è stata – per compensare gli squilibri delle partite correnti entro l’Eurozona – l’ammissione dell’interdipendenza organica tra gli euro-paesi con l’istituzione di un euro-ministero federale delle finanze che compensasse gli squilibri, imponendo ai paesi con notevole e strutturale avanzo di reinvestirlo, in parte, nei paesi con disavanzo, e di neutralizzarlo, in parte, mediante l’aumento della domanda interna».
Vi è stata, invece, «la diabolica scelta – diabolica perché divisiva, contrapponente – da parte della Commissione Europea, di stabilire che sono accettabili (e non si deve intervenire) disavanzi delle partite correnti fino al 4%, ma surplus fino al 6%». Così, la Germania è stata “in regola” mentre, anno dopo anno, comprimendo i salari e la spesa pubblica, accumulava avanzi su avanzi e crediti su crediti, negli scambi intra-euro, con pari accumularsi di disavanzi e debiti e maggiori interessi passivi a carico dei paesi periferici, fino agli attuali scompensi critici. Proprio a causa del rifiuto di riconoscere l’interdipendenza economico-finanziaria tra i paesi membri, continua Della Luna, in Europa c’è stata «l’imposizione del principio “ciascuno per sé faccia i compiti a casa”, ossia che chi è in disavanzo di partite correnti debba e possa pareggiare (procurarsi denaro) solo offrendo alti tassi e tagliando i salari per competere nelle esportazioni, mentre i paesi già competitivi aumentano la loro competitività grazie all’afflusso dei capitali in fuga dal fisco e dall’instabilità e dalla recessione dei paesi deboli, e al conseguente minor costo del denaro». Tutto questo sta demolendo la competitività del sistema-Italia, perché genera una spirale negativa e implosiva, fatta di tasse, tagli, recessione, deflusso di capitali, “demonetazione” e credit crunch, insolvenze e fallimenti a catena.
Mentre aumenta l’indebitamento dell’Italia e degli altri paesi periferici verso i paesi euro-forti, conclude Della Luna, cresce anche l’emigrazione dei lavoratori, che dal Sud-Europa cercano uno stipendio in Germania e negli Stati nel nord, «oltre che verso altri paesi extra-euro che si difendono grazie al mantenimento di una certa autosufficienza monetaria, come Regno Unito, Usa, Giappone e Cina». Beninteso: nessuno vuole che si parli di questo perverso meccanismo macro-economico. La congiura del silenzio è imposta dalle massime autorità – Bce, Commissione Europea, Fmi – e giù giù fino al governo italiano e ai partiti che lo supportano. «Il fatto che il governone Letta non apra questa discussione, che in sede europea è quella che conta, ma si accontenti di più flessibilità e di qualche premio di buona condotta da parte dell’Autorità europea, lo palesa quale inutile arca di Noè della partitocrazia parassitaria, la quale – pur essendo causa essenziale del male nazionale – continua a millantarsi, all’interno, come soluzione di quel male, per non mollare colli e poltrone. E a offrirsi, all’esterno, come garante degli interessi del capitalismo straniero sul nostro paese».
(Marco Della Luna, “Letta, l’esultanza e la realtà”, dal blog di Della Luna del 4 luglio 2013).
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