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martedì 3 settembre 2013

Pensioni d'oro: abbiamo qualcosa da dire?

Pensioni d'oro: abbiamo qualcosa da dire?

E' di questi giorni la divulgazione dei dati del Ministero del Lavoro sulle pensioni d'oro. Le pensioni tra i 4mila ed i 90mila euro al MESE sono oltre centomila.



di Romano Calvo

E' di questi giorni la divulgazione dei dati del Ministero del Lavoro sulle pensioni d'oro. 

Secondo quanto riportato dal sottosegretario Dell'Aringa, le pensioni tra i 4mila ed i 90mila euro al MESE sono oltre centomila Nella fascia di pensioni superiori ai 4.000 euro lordi mensili ci sono 104.793 persone e costano allo Stato più di 13 miliardi l'anno. Con un tetto alle pensioni collocato a 5.000 euro al mese si potrebbe ricavare un risparmio di quasi 7 miliardi annui. Cifra sufficiente a risolvere la questione IMU e la questione IVA. Ma non solo. 

La notizia è particolarmente urticante per noi Partite iva della Gestione separata, condannati a versare per 42 anni un terzo del proprio reddito per ricevere a 67 anni una pensione di 1.000 o 1.500 euro al mese (e solo per i più fortunati). 

E' un ulteriore segnale della mancanza di equità e coerenza nei meccanismi di calcolo applicati dagli istituti di previdenza. 

E' infatti lo stesso Ministero del Lavoro Giovannini ad affermare che buona parte di queste pensioni NON sono state interamente pagate con il versamento dei contributi. Sono invece lievitate a causa del combinato disposto del calcolo retributivo unito a privilegi di settore (ad es. la cassa previdenziale dei telefonici, oggi drammaticamente in passivo), più i privilegi personali (era sufficiente avere uno scatto di stipendio sei mesi prima del pensionamento, per garantire alla propria pensione un incremento esponenziale stabile e duraturo). 

Tutto ciò pone una grande questione etica e giuridica: i diritti acquisiti, in materia previdenziale, sono intoccabili? Sappiamo che un sistema giuridico serio deve garantire coerenza ed universalità nella applicazione dei suoi principi. Se qualunque ministro avesse il potere di mettere in discussione le regole decennali che hanno motivato le scelte professionali e previdenziali di milioni di persone. si rischierebbe il caos. 

E tuttavia è con sano realismo che ACTA si permette di chiedere a questo come ai precedenti Governi, perché a noi sì ed a loro no? 

Perché improvvisamente si è scoperto che l'INPS aveva bisogno di 3 o 4 miliardi delle partite IVA, portando l'aliquota su quote assurde (28% verso il 33% !!!) e non invece dei 7 miliardi delle pensioni d'oro? 

L'equità non dovrebbe essere misurata anche su scala generazionale e diacronica? 

Mi spiego meglio: quando ho aperto la partita IVA nel 1992 non esisteva la gestione separata. Io per anni non ho versato nulla, tant'è che avevo iniziato a versare contributi volontari ed auspicavo la nascita di una cassa previdenziale per le partite IVA. 

Poi dal 1996 nasce la Gestione Separata, con una modesta aliquota del 10%, che poi da lì in avanti è cresciuta al 28% con la promessa di portarla al 33%. Bene: dovrebbero spiegare quali sono i miei diritti acquisiti. Molte delle mie scelte professionali e previdenziali sono state influenzate dal quadro normativo esistente negli anni 1992-1995, che poi però è mutato, come sappiamo. 

Il rispetto dei diritti acquisiti non avrebbe forse dovuto tenere conto anche dei diritti da me acquisiti in quegli anni? La forza imperativa della Legge, non avrebbe dunque dovuto tenere conto del mio parere oltre che dei miei legittimi interessi? 

Invece no: come uno schiacciasassi le varie normative dal 95 ad oggi ci sono state imposte dall'alto dalla destra-sinistra della seconda repubblica. Quella stessa destra-sinistra che non ha mai avuto il coraggio di scoperchiare il pentolone delle pensioni d'oro (e delle baby pensioni) perché pieno zeppo di sindacalisti, dirigenti pubblici e dirigenti di aziende para-pubbliche. Quella casta che da decenni tiene bloccato il paese per mantenere i propri privilegi. 

Per questo motivo il tema dei diritti acquisiti ha le armi spuntate. La Rivoluzione francese, Napoleone e Lenin non avrebbero mai potuto produrre cambiamenti (comunque li si vogliano giudicare) se fossero stati vincolati al concetto di "diritti acquisiti". Tuttavia ogni cambiamento storico sociale si deve nutrire di consenso. Ed il consenso si struttura attorno ad una idea di equità e di solidarietà. E su di esso si costruisce un blocco sociale. 

Il punto per noi oggi è: vi è la possibilità di costruire un blocco sociale attorno al tema del patto tra categorie produttive e tra generazioni? Quale idea di equità e di solidarietà siamo noi in grado di esprimere?

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